Lo striptease dello scrittore: La Casa Verde di Mario Vargas Llosa

"Scrivere un romanzo è una cerimonia che somiglia allo striptease”.

Il Premio Nobel 2010, Mario Vargas Llosa, al Festival della Letteratura di Pietrasanta, in Toscana ©commons.wikimedia.org

Alberto Cantoni

Non sono, queste parole, una bassa provocazione presa da un fenomeno che nulla ha da spartire con l’arte, ma l’inizio di una conferenza che lo stesso Vargas Llosa, parlando alla Washington State University, utilizza per presentare il cammino creativo del suo romanzo La Casa Verde (1966). 

Uno striptease al contrario quello dello scrittore, il quale inizia il suo lavoro nudo di tutto, privo di ogni ispirazione e intuizione, e con sofferto percorso giunge alla fine totalmente vestito della sua opera così completata. Chi osserva, chi vuole partecipare alla scena, non è sedotto dalla intrigante nudità, ma dallo svolgersi articolato e complesso dei fatti che prendono forma, testimoni di vita vissuta o d’irreale pensiero che diventano materia di scrittura che parla del reale e apre all’immaginario. 

La Casa Verde è l’opera compiuta che seduce: la lunga permanenza a Piura, città arida e sabbiosa in un mondo di mille sfumature, che partecipa al progresso della cultura occidentale, e la breve esperienza a Santa María de Nieva, isolato borgo primitivo prossimo alla foresta amazzonica, ove sfruttamento dei poveri e violenza come metodo di potere regolano la vita di indigeni e speculatori, diventano indelebile esperienza letteraria.
L’idea iniziale dell’autore era quella di scrivere nello stesso tempo, a giorni alterni, due romanzi autobiografici, uno ambientato nella città in cui era cresciuto, con le sue regole e le sue seduzioni, e un secondo tratto dall’esperienza di ignorati luoghi lontani ai margini della foresta. Fatti ed emozioni che ritornano alla memoria non seguono però regole costrette da scelte arbitrarie e Vargas Llosa si è reso conto che, mentre scriveva della città, il pensiero correva agli avvenimenti della foresta, e mentre scriveva dell’incontro con la vita ai margini della foresta il pensiero sempre lo riportava alla città ove era cresciuto, perché le immagini e le persone che popolano la memoria non sono fra loro estranei, ma si intrecciano e si completano oltre ogni ragione di tempo e spazio.
Da questa impossibilità di scrivere nello stesso tempo due opere indipendenti è nata la decisione di riunire il tutto in un unico lavoro nel quale una voce, apparentemente fuori campo, trasforma l’esperienza personale in racconto. Ne risulta un’opera composta da molteplici scene che si alternano fra la città e la foresta, ricca di persone e di storie straordinarie tracciate con infinti dettagli e improvvise immagini di scene apparentemente lontane, uno scritto quasi cinematografico che si sviluppa e si rivela nel corso degli eventi, tanto da diventare romanzo di fantastica autobiografia. Assistiamo così a un percorso che nulla tace delle persone che lo popolano, che non apre nessuna speranza per i poveri e gli oppressi e giunge al paradosso, fra i tanti possibili, di una sottile trama che racconta come le bambine sottratte dalle tribù della foresta per essere educate dalla suore nella missione di Santa María de Nieva, per non tornare nella foresta, vengono mandate a servizio dei ricchi in città e finiscono nella Casa Verde, squallido bordello di Piura. Un romanzo che alterna memoria di vita vissuta e racconti di cruda denuncia del dramma umano e sociale dei deboli della terra, da cui appare come la civiltà occidentale sia un abbaglio di benessere e non certo la salvezza di cui si parla con tutti i mezzi di comunicazione a cui oggi siamo abituati.

Vargas Llosa non è isolato nella sua indagine della vita – Faulkner e Sartre sono state sue passioni mai abbandonate – e della convivenza di culture spesso divergenti nel Sud America del XX secolo, convivenza indispensabile perché il Mediterraneo, il Nord America e l’Europa tutta hanno una forte presenza nei Paesi sudamericani. Nessuno può ignorare la drammatica esperienza di José María Arguedas, finita con il suicidio nel 1969, tragicamente esposta nel suo libro Rios Profundos (1958), la quasi autobiografia con nome illuminante di Paradiso (1966) di Lezama Lima, attivo promotore della cultura cubana e diretto collaboratore di Fidel Castro nel Consiglio Nazionale della Cultura. La Guerra Fredda non è certo estranea alle tendenze comuniste e alla grandissima varietà letteraria di Jorge Amado, il mondo multietnico brasiliano ha segnato il lavoro di Adonias Filho come le origini prussiane e il dissenso con il padre hanno preso corpo in lavori, Los siete Locos (1929), dell’argentino Roberto Alt. La sua avventura artistica non è esente dal pensiero di Kafka e riporta a César Aira, genio nascosto, all’irriducibile Macedonio Fernández e all’Uomo del Silenzio di Antonio di Benedetto. 
Una voce a sé meritano la grandissima rilevanza di Gabriel Garcìa Marquez, campione del Realismo Magico, e Jorge Luis Borges, vicini fra loro culturalmente, ma lontanissimi politicamente, e indiscussi maestri che si rispecchiano in Italia nei nomi di Umberto Eco e Italo Calvino, come Borges assurdamente negati del Premio Nobel.  
Un’ultima riflessione merita l’opera di Vargas Llosa e il suo attento dettagliare i ricordi della vita personale: dovremmo leggere le sue opere per approfondire nel dovuto modo la nostra conoscenza del mondo in cui si è sviluppata la sua esperienza, e leggere le opere degli autori sudamericani più rilevanti perché sono una voce corale che ci conduce alla ragione della loro grandezza. 
Non lasceremo così sfuggire dalla nostra memoria anche due miracoli dell’arte italiana come Amarcord di Federico Fellini, ironico e drammatico capolavoro di immagini come solo nel cinema è possibile, e La luna e i falò di Cesare Pavese, esempio di nostalgia delle proprie origini e ritratto immaginario di vita reale come La Casa Verde ci ha voluto mostrare.
SAVE THE DATE

L'incontro La Casa Verde di Mario Vargas Llosa  si terrà
giovedì 17 marzo 2022 alle ore 17:00

Per partecipare è necessaria la registrazione su www.aldai.it

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