Dopo la Cina ... che delusione

Nemo propheta in patria: un numero crescente di giovani e di manager preferisce le prospettive e il riconoscimento del merito in altri Paesi

Intervista al collega Enzo a cura della redazione

Enzo C. 63 anni, manager con esperienza internazionale maturata con attività di lungo periodo in Cina, India, Nord America oltre che in diversi Paesi europei. Attualmente in Germania in qualità di responsabile del Busisness Development per una Società attiva nella produzione di componenti sospensione e trasmissione per vetture da competizione ed hyperCar. Una carriera sviluppata per lo più nell’industria dell’auto, con diversi incarichi come Direttore del Project Management e del Business Development ed Innovazione

Cosa ha motivato il trasferimento in Cina, quanti anni sei rimasto e quali attività hai svolto?

Quando ricevetti l'offerta di una società di ingegneria austriaca per un possibile trasferimento in Cina lavoravo in Piaggio: ambiente stimolante (soprattutto per le frequenti trasferte in India), ma con scarse prospettive di crescita, non appartenendo io ad alcuna "cordata". 

Così accettati il loro invito per l'esperienza all'estero e dopo due call mi invitarono a Shanghai per vedere da vicino la realtà nella quale sarei andato a lavorare (lo stabilimento della Joint Venture fra Dongfeng e Peugeot di Wuhan) con la qualifica di capo progetto alla testa di un team di 101 persone, (98 locali e tre francesi).

L'accoglienza fu entusiastica e da parte mia ero affascinato dalla possibilità di conoscere da vicino il lontano Oriente. Non ebbi il tempo di ambientarmi che fui mandato direttamente sul campo a fronteggiare un team sino-francese del cliente, estremamente esigente e, devo dire, anche molto preparato. Lo scoglio principale fu entrare rapidamente in sintonia con il modo di pensare cinese che è molto distante da quello occidentale, ma questo avrebbe bisogno di un articolo a parte...

Il progetto riguardava l'assemblaggio e il commissioning della linea di saldature della scocca e della linea di assemblaggio pilota della Peugeot 2008.

È stata una esperienza fantastica! Sebbene da solo, ho vissuto quei mesi a 300 km all'ora, arrivando a lavorare anche 60 ore la settimana, senza sabati né domeniche, ma con grande soddisfazione sia a livello professionale che umano.

Finito il progetto fui trasferito a Shanghai dove dopo qualche settimana venni chiamato da EDAG (Società di ingegneria tedesca) per una posizione di Sr. Project Manager con la responsabilità di seguire un progetto di sviluppo di una nuova vettura per un costruttore cinese. A quel punto mi offrirono un contratto che mi permetteva di avere la famiglia con me, e ai ragazzi di frequentare un liceo internazionale a Shanghai.

Per loro fu un piccolo shock, piansero lasciando Milano, ma piansero forse ancor di più nel lasciare poi la Cina.

In EDAG dopo l'incarico come Sr. Manager fui promosso a Direttore del Project Management e infine a Direttore del Business Development e Innovazione: l'ultimo mio successo commerciale fu la stipula di un contratto del valore di 23 milioni di euro con un costruttore francese per la localizzazione in Cina di un loro veicolo.

In totale sono rimasto in Cina quasi 8 anni: i figli per motivi di studio erano rientrati in Italia e così decidemmo di rientrare anche noi.

Quali sono state le motivazioni del rientro in Italia e quali competenze pensavi potessero essere apprezzate?

Il rientro in Italia fu dovuto innanzitutto alla "stanchezza" globale: la Cina con i suoi ritmi è molto stancante, avevo voglia di rallentare un po' e di rimettermi in gioco con la mia esperienza, in Italia.

Mi era stata offerta un'interessante opportunità come Business Development Manager (e membro del CdA) presso una media impresa milanese attiva nella produzione di vernici per legno, con l'incarico specifico per il mercato nordamericano. Correva l'anno 2020 - che certamente non fu uno dei più facili a livello commerciale - ma, nonostante tutto, il mio mercato di riferimento segnò una crescita del 5% anno su anno: ma non fu sufficiente. La famiglia ritenne che il mio apporto alla Società fosse stato irrilevante e dunque troncò il contratto, che naturalmente prevedeva la clausola di rescissione allo scadere dei 6 mesi.

Fu un duro colpo in quanto pensavo veramente che le esperienze messe in campo fossero valutate con maggiore responsabilità e obiettività, visti anche i positivi risultati commerciali ottenuti in così poco tempo nel particolare momento di mercato e soprattutto da parte di una persona che avrebbe potuto sviluppare sempre di più il business dopo il periodo di avviamento. Ma così non fu.

Quali altre opportunità di lavoro al rientro dalla Cina?

Di fatto mi ritrovai senza una reale opportunità in mano, con un network in Italia ormai molto ridotto: mi ero nuovamente iscritto a Federmanager/ALDAI e speravo che questo potesse offrirmi qualche chance in più, ma purtroppo ho scoperto a mie spese come il tessuto industriale italiano, soprattutto post-Covid, si trovasse in una situazione difficile, nella quale apparentemente non c'era posto per una figura con le mie caratteristiche. L'esperienza in numerosi campi era d'interesse, ma i 61 anni d'età mi ponevano in una fascia di mercato con aspettative retributive considerate sempre troppo alte sebbene non abbia mai ricevuto un'offerta o un approccio alla valutazione retributiva. Le competenze non erano valorizzate perché probabilmente non erano previsti progetti ambiziosi. Ho avuto la percezione di approcci "È meglio assumere due trentacinquenni, pagarli la metà con l'illusione che facciano il doppio del lavoro, che assumere un professionista di grande esperienza".

La sensazione peggiore è stata quella di sentire che per il mercato del lavoro ero "trasparente" cioè non solo nessuna opportunità, ma neanche la voglia di parlare con me per valutare un'eventuale opportunità. 

Nel frattempo avevo ripreso il contatto con una società tedesca che avevo conosciuto a Shanghai, che produce componenti per il motorsport e hypercar, la quale mi propose di dare loro una mano sul mercato italiano, francese e spagnolo, inizialmente con un contratto di collaborazione e tempo parziale.

Cosa ha motivato il tuo nuovo lavoro in Germania?

La cosa singolare è che il messaggio che ricevetti dai miei colleghi tedeschi è stato che avevano bisogno di me per i miei "capelli bianchi" e per l'esperienza che potevo mettere in campo nelle trattative con clienti internazionali. Accettai dunque di buon grado sia per creare un minima opportunità di guadagno (nel 2021 sono rimasto per 10 mesi senza un singolo euro di introito...) sia per la totale assenza di una qualsivoglia opportunità di lavoro in Italia, c'era poco da sperare. Nel 2022 ho avuto modo di svolgere alcuni assessment per il Digital Innovation Hub nell'ambito del progetto di Sviluppo PMI che mi ha permesso di conoscere e confermare il giudizio sull'attuale panorama industriale italiano rispetto all'imprenditoria di altri Paesi.

Al termine del primo contratto di collaborazione, è arrivata la conferma di un contratto a tempo indeterminato; mi è stato anche chiesto se volevo restare in Italia, ma vista la tassazione (inferiore al 30%) ho preferito andare Germania.

Certo a 63 anni speravo veramente che il mio Paese fosse in grado di offrirmi qualcosina: purtroppo non è stato così...

Cosa manca all’Italia per essere un Paese non solo bello, ma anche attrattivo per chi vuole lavorare?

Certo l'Italia ha le proprie eccellenze: grandi nomi (quali ad esempio la Brembo), realtà tecnico scientifiche di assoluto valore (PoliMi) e numerose piccole medie imprese che riescono ad affermarsi con autorità sul mercato nazionale ed estero, ma quello che manca è innanzitutto la volontà di fare squadra. Ognuno pensa di essere il sale della terra e di non avere bisogno degli altri per condividere eventuali opportunità di crescita comune. Esiste poi il problema del ricambio generazionale: la possibilità di poter ricorrere a un manager esterno per risolvere questo aspetto è ancora duro da digerire per i nostri "imprenditori" e nel tempo la situazione non andrà che peggiorando visto anche l'innegabile scarso livello di preparazione delle nuove generazioni (e non solo dell'ultima...) che soffrono la mancanza di un'istruzione di base di livello appena appena superiore, e di essere cresciuti e mantenuti protetti da ogni esperienza negativa, cosa che non ha certamente contribuito a formare un carattere pronto ad affrontare le sfide di questi tempi, non solo a livello tecnologico ma anche sociale e geopolitico.

Concludendo non do un giudizio molto positivo sull'attuale panorama dell'industria italiana, e certamente non per le mie esperienze negative degli ultimi due anni, ma perché in Italia l'esperienza, la competenza e la visione sono considerate qualità accessorie, nice to have. Una visione imprenditoriale di corto respiro, con scarsa managerialità, finanziariamente fragile, impreparata e destinata a cedere alle prime difficoltà.

Il tema è molto ampio, ma desidero concludere facendo solo notare il numero di grandi imprese rimaste in Italia (poche) e al contrario quelle che sono state acquisite da partner stranieri (tante): questo dovrebbe farci capire che la nostra politica industriale degli ultimi trent'anni è stata un fallimento totale. Si è pensato che fosse possibile crescere con i servizi e la finanza dimenticando che chi offre la vera crescita non sono i (tanti) soldi in mano a pochi, ma al contrario i (pochi) soldi in mano ai tanti che producono valore aggiunto. 
Archivio storico dei numeri di DIRIGENTI INDUSTRIA in pdf da scaricare, a partire da Gennaio 2013.

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