Intervista a Marco Padula, Direttore Commerciale BT Italia

Gli eventi imprevedibili degli ultimi anni stanno mettendo a dura prova le imprese e le persone che hanno la responsabilità di superare le sfide e assicurare la sostenibilità di lungo periodo.

Intervista di Silvana Menapace

Consigliere ALDAI-Federmanager
British Telecom (BT) fa il suo debutto in Italia nel 1995 attraverso Albacom, joint venture con BNL, che vedrà, successivamente, l’ingresso nell’azionariato di ENI e Mediaset. Nei primi anni 2000 BT acquisisce il totale controllo di Albacom, diventando BT Italia e focalizzandosi sul mercato delle aziende con un portafoglio di servizi e soluzioni che oggi abbraccia tutte le esigenze di grandi aziende e multinazionali in termini di networking, cloud, security, digital workplace e digital industry.
BT Italia offre i propri servizi a circa 300 grandi aziende della region italiana, incluse alcune delle principali realtà in ambito finanziario, industriale e delle utilities, a cui si aggiungono alcuni clienti globali di BT con headquarter in Italia, e le attività italiane delle multinazionali clienti di BT che in Italia conta oltre 600 professionisti delle telecomunicazioni e un'infrastruttura di rete proprietaria di oltre 17.000 km. 

Marco Padula, ingegnere gestionale laureato al Politecnico di Milano, dopo un’esperienza lavorativa in BTicino all’estero, entra in BT Italia nel 2000 contribuendo allo sviluppo dell’azienda in un contesto congiunturale complicato come quello di questi ultimi anni: la bolla finanziaria del 2008 e la sequenza di eventi imprevedibili degli ultimi tre anni che hanno profondamente cambiato il modo di essere manager per stare al passo con i cambiamenti.

Il percorso di crescita ha portato Marco Padula ad assumere responsabilità crescenti e lo scorso anno è stato nominato direttore commerciale di BT Italia. Al manager ho rivolto alcune domande per capire come viene vissuto questo periodo di incertezze e sfide imprevedibili. 

“Anni horribiles” è il modo in cui sono stati commentati gli ultimi anni; quali sono state le ricadute sull’impresa e sul lavoro? 

La pandemia ha rallentato e anche bloccato le attività di molti clienti, accelerando al tempo stesso l’adozione dei sistemi di comunicazione con evidente crescita dei sevizi internet di “smart collaboration”. Per superare il periodo si è generato una sorta di patto di solidarietà imprenditoriale collettiva per aiutare le imprese in difficoltà, che ha permesso di superare insieme la crisi generata dal Covid-19.

La guerra, altrettanto inattesa, sta generando, se possibile, persino maggior disorientamento e preoccupazione sulle prospettive economiche e sociali, perché non curabile “semplicemente” con un vaccino. A distanza di 9 mesi dall’inizio del conflitto, ancora non si sa quanto durerà e con quali nuovi equilibri. L’incertezza genera impatto psicologico difensivo sulle persone e sulle organizzazioni, in relazione agli aspetti sociali, economici e imprenditoriali, con il conseguente rallentamento degli investimenti.

In un contesto di tanta instabilità, il dirigente assume un ruolo determinante nell’individuare le opportunità, sviluppare un piano partecipato e “tenere la barra sugli obiettivi”, creando quel clima di fiducia in grado di prevenire scelte emotive o addirittura atteggiamenti di panico.

Le recenti crisi hanno accelerato l’adozione di nuovi modelli di gestione manageriale, con minore controllo sull’operato, maggiore delega e verifica dei risultati.

Le videoconferenze hanno permesso di superare le distanze, aumentando la presenza virtuale e incrementando la flessibilità “geografica”, ma di contro è notevolmente aumentata la rigidità nella gestione del tempo, strutturato in sequenze giornaliere di slot di 30 minuti, per vincere le sfide della continuità operativa, accrescendo però l’impegno, l’intensità e la responsabilità manageriale.

I problemi del distanziamento e delle minori relazioni informali hanno richiesto un maggiore intervento e controllo sociale sul clima del team per assicurarne l’allineamento e la motivazione. Con la guerra è aumentato quindi il contributo del manager nel dare fiducia e certezze in un mondo di incertezze.

Quali sono, in prospettiva, le principali minacce per il dirigente?

Senza dubbio l’incapacità di adattarsi ai nuovi contesti, rischiando di diventare in breve tempo obsoleti, incapaci di superare le nuove sfide sempre più impegnative; questo è il maggiore rischio. Anche l’allenatore di grande reputazione incapace di gestire il cambiamento perde la panchina. Le competenze – anche aggiornate – non basteranno; bisognerà acquisire l’abilità di analizzare rapidamente le opportunità del contesto in continuo cambiamento e anticipare le soluzioni e i modelli manageriali da adottare, evitando scelte emotive.

I cambiamenti e le difficoltà implicano problemi, ma anche opportunità; quali sono le opportunità (se ce ne sono) per il manager d’azienda?

Oltre alle opportunità per i manager in grado di offrire competenze nella transizione digitale e in quella ecologica, sempre più importanti per le imprese, le sfide e i cambiamenti danno al manager la possibilità di rendere evidenti le proprie competenze, la creatività e la leadership. I cambiamenti comportano anche trasformazioni organizzative che aprono, nel bene e nel male, il mercato del lavoro offrendo maggiori possibilità di transizione di carriera e reinserimento lavorativo. 

Quali sono le iniziative prioritarie per dare una svolta nella direzione dello sviluppo economico e sociale del Paese?

La formazione e l’aggiornamento delle competenze, insieme al riconoscimento oggettivo del merito, rappresentano quel salto culturale in grado di innescare i percorsi virtuosi per superare i noti problemi del Paese.  Anche la dirigenza con l’esempio di integrità e “moral suasion” può contribuire alla svolta meritocratica e alla rinascita di un Paese in grado di eccellere nell’industria, nei servizi e in molteplici settori.

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