Riforma IRPEF: a che punto siamo?
La riforma fiscale deve essere l’occasione per dimostrare le reali volontà e capacità di fare dell’Italia un Paese più moderno ed efficiente e di rispettare gli impegni presi nell’ambito del PNRR. Occorre innescare una strutturale crescita dell’economia, senza la quale i redditi resteranno fermi o, addirittura, si ridurranno. Occorre restituire alla politica fiscale il ruolo di strumento destinato a sostenere il mercato, incentivando la crescita e correggendo le diseguaglianze
Mino Schianchi
Presidente Comitato Nazionale di Coordinamento dei Gruppi Pensionati e Vicepresidente ALDAI-Federmanager
Uno dei principali problemi strutturali dell’Imposta sui Redditi delle Persone Fisiche (Irpef) è che la stessa si fonda prevalentemente sulla tassazione dei redditi da lavoro. Per effetto della forte evasione dei redditi da lavoro autonomo (evasione al 68 per cento, secondo le stime ufficiali), si basa, dunque, soprattutto sui redditi da lavoro dipendente e sui redditi da pensione, che costituiscono da soli l’84 per cento del gettito di questa imposta. Nel nostro sistema fiscale, all’imposta progressiva sui redditi di lavoro (soprattutto dipendente) e sulle pensioni si affiancano, per diverse tipologie di redditi, numerosi regimi sostitutivi IRPEF, con trattamenti fiscali incentrati su aliquote proporzionali.
Le modifiche normative introdotte in questi ultimi anni hanno accentuato la frammentarietà e la disorganicità del sistema. Esenzioni, agevolazioni, regimi particolari di favore, “bonus” di vario tipo si sono moltiplicati e sovrapposti, creando disparità di trattamento sempre più profonde. La pressione fiscale si è accresciuta notevolmente soprattutto sulle fasce di reddito medio-alte. Nelle fasce di reddito dichiarato oltre i 60mila euro di reddito, fasce ove vi sono prevalentemente dirigenti, professionisti, quadri, manager privati e pubblici, in servizio e in pensione, in base ai dati delle dichiarazioni del 2019, i contribuenti sono 1,6 milioni pari al 4% del totale e contribuiscono per più del 35% al totale del gettito Irpef. Non bisogna dimenticare, tra l’altro, che questi contribuenti sono gravati anche da una forma di progressività impositiva "occulta": all'aumentare dei loro redditi diminuiscono fino a sparire deduzioni e agevolazioni; più tasse si pagano meno servizi pubblici si ricevono. Inoltre gli stessi contribuenti in pensione, spesso sono caricati del fardello di riduzioni aggiuntive, variamente nominate (ad. es. contributi di solidarietà, contributi di perequazione, semplicemente “riduzioni”).
Gli obiettivi strategici della Riforma
Come segnalato dalla Corte dei Conti nel “Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica”, indipendentemente dal modello di base imponibile che si vorrà adottare, non si possono trascurare gli obiettivi strategici rappresentati da un lato dal contrasto all’evasione (che rimane a tutt’oggi il più rilevante vulnus all’equità orizzontale e verticale) e dall’altro dal processo di semplificazione, sia per ciò che riguarda la base imponibile, le aliquote e le innumerevoli spese fiscali presenti, sia per gli aspetti procedimentali, quali dichiarazioni, versamenti, rimborsi e, in generale, tutto ciò che attiene al rapporto con il contribuente.
Una vera riforma fiscale non può prescindere da una seria lotta all’evasione. L’Italia è uno dei paesi con l’evasione fiscale più alta d’Europa. Le misure introdotte fino ad oggi non sono bastate. Quando si parla di evasione l’attenzione si deve porre non solo su gettito, aliquote, base imponibile, ma anche su presupposti organizzativi (controlli, riscossione, sanzione) e giurisdizionali (liti, sanatorie, prescrizioni). Il tributo accertato, peraltro, va poi effettivamente riscosso. Aumentare la tracciabilità dei pagamenti è importante, ma a questa misura debbono aggiungersi almeno altri due interventi: investire nuove risorse nelle Agenzie che si occupano di lotta all’evasione e ridurre gli ostacoli che la legge mette sulla strada delle operazioni di verifica fiscale.
L'urgente realizzazione di una riforma delle aliquote e degli scaglioni Irpef deve andare nel segno della semplificazione e della giusta progressività, per rendere il sistema più efficiente, equo e coerente con i principi di solidarietà e uguaglianza.
I provvedimenti di semplificazione dovrebbero pertanto tendere a eliminare i regimi speciali e le eccezioni, salvaguardando tuttavia le detrazioni e deduzioni legate al welfare contrattuale (previdenza e sanità integrative), e al welfare aziendale, strumenti efficaci di riduzione del cuneo fiscale, che contribuiscono alla sostenibilità dei rispettivi sistemi pubblici. In particolare noi Dirigenti auspichiamo si possa ampliare il campo di applicazione delle agevolazioni fiscali relative alla retribuzione variabile, correlata alla produttività ed ai risultati aziendali. Attualmente il regime fiscale agevolato riferito ai premi di risultato non si applica ai titolari di reddito di lavoro dipendente di importo superiore a 80.000 euro: in virtù di tale disposizione la categoria dei dirigenti viene esclusa in misura considerevole dal beneficio.
Il documento di indirizzo delle Commissioni Finanze di Camera e Senato
Il 30 giugno scorso le Commissioni Finanze congiunte di Camera e Senato hanno presentato il documento conclusivo di proposta di riforma del sistema tributario. Si tratta di un documento importante, perché rappresenta un atto di indirizzo politico al governo il quale si è impegnato a recepirne le indicazioni nel disegno di legge delega di prossima promulgazione.
Ad una prima lettura il testo elaborato dalle Commissioni appare complessivamente sbilanciato sull’Irpef e un suo forte limite è dato dall’assenza di ogni indicazione sulle coperture delle riforme ipotizzate, riforme che vanno tutte nella direzione di una riduzione del carico fiscale a vantaggio della crescita economica.
Per quanto riguarda la determinazione della base imponibile Irpef le Commissioni suddette raccomandano il modello della “dual income tax”: il che significa assoggettare alla progressività solo i redditi da lavoro (e assimilati), mentre gli altri redditi rimangono soggetti ad aliquote proporzionali. Inoltre a parere di tali Commissioni l’unità impositiva dovrebbe restare il reddito individuale, non quello familiare, sconfessando così i modelli di imposizione familiare (quoziente o splitting).
Per quanto riguarda le aliquote, le Commissioni Finanze congiunte di Camera e Senato esprimono una preferenza per il mantenimento della struttura a scaglioni rispetto al passaggio alla progressività continua. Propongono la riduzione dell’incidenza della pressione fiscale sui redditi della “classe media” (tra 28 mila e 55 mila euro) e delle aliquote marginali effettive, che sono già molto alte a partire dai 28 mila euro. Questa è una misura molto attesa in quanto oggi i contribuenti che dichiarano più di 28mila euro, pur essendo solo il 25 per cento del totale, contribuiscono al 70 per cento del gettito dell’imposta.
Nel documento delle Commissioni Finanze non si fa espresso riferimento ai redditi immobiliari e più in generale non si parla di imposte patrimoniali, né di imposte di successione; analogamente non si affronta il tema della tassazione della prima abitazione, né quello della revisione del catasto, prerequisito per una equa imposizione sul patrimonio immobiliare.
In conclusione possiamo dire che le vaghe indicazioni del documento circa la struttura delle aliquote e delle detrazioni, sollevano dubbi e incertezze sugli effetti sull’equità orizzontale e verticale della nuova Irpef delineata, equità che, ricordiamo, dipende congiuntamente dalla definizione della base imponibile, dalla struttura delle aliquote e dalle detrazioni.
La legge delega per la Riforma Fiscale
Ora tocca al Governo cogliere gli aspetto positivi di tale documento e tradurli in una proposta di riforma organica e coerente con gli impegni presi nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
Come ha dichiarato il Presidente CIDA, Mario Mantovani: la riforma fiscale deve essere l’occasione per dimostrare le reali volontà e capacità di fare dell’Italia un Paese più moderno ed efficiente e di rispettare gli impegni presi nell’ambito del PNRR. L’Italia è al terzo posto in Europa per la tassazione del lavoro e ciò ha effetti negativi su crescita e occupazione. Occorre innescare una strutturale crescita dell’economia, senza la quale i redditi resteranno fermi o, addirittura, si ridurranno. Occorre restituire alla politica fiscale il ruolo di strumento destinato a sostenere il mercato, incentivando la crescita e correggendo le diseguaglianze.