Ricordare il passato per costruire il futuro
Tra poco più di un anno il rinnovo del contratto nazionale: l’esperienza dei negoziatori del passato viene a sostegno della futura trattativa. Ora come allora si tratta di difendere dignità e ruolo della categoria: l’Italia ha più che mai bisogno di una classe dirigente motivata.
Giuseppe Colombi
Consigliere ALDAI Federmanager
Di solito, introducendo qualche novità, si incorre in affermazioni quali: “Un tempo tutto questo non si faceva, solo di recente abbiamo cambiato ed esteso… la tal cosa o la tal’altra”. Tutte favole promozionali. Pensiamo all’internazionalizzazione: sembra quasi che sia la scoperta degli ultimi anni. Dimentichiamo che esistono grandi gruppi italiani (alcuni anche spariti), che la praticano da quasi un secolo, abituati già da allora a lavorare dappertutto in collaborazione con i popoli locali. Approfondendo, forse scopriremmo che negli ultimi anni persino la conoscenza media dell’inglese nel nostro Paese si è magari allargata ma non certo approfondita.
Ecco quindi che tutte le volte che si sente parlare di “un contratto nazionale innovativo per i dirigenti”, il pensiero corre al passato, quando già esistevano, e non erano certo in discussione, molte delle tutele che oggi con fatica cerchiamo di difendere.
Già nella prima Assemblea Generale dei soci del Sindacato Lombardo, il 2 febbraio 1946, si discussero gli argomenti del contratto nazionale di lavoro “postbellico” dei dirigenti, che fu poi aggiornato nel 1961. Il primo regolamento di un Fondo di Assistenza Sanitaria è del 1968 e nel 1970 si introdussero il diritto al trattamento di licenziamento in caso di trasferimento di proprietà, la disciplina dei licenziamenti individuali, compresa l'istituzione dei collegi arbitrali e l'indennità supplementare e infine il pieno riconoscimento delle rappresentanze sindacali aziendali.
Raccogliere l’opinione di qualche protagonista di passati rinnovi del CCNL Dirigenti ha il senso dunque di una necessaria operazione di memoria, che oggi ci eviti il rischio di “scoprire l’acqua calda”.
Bruno Losito, Presidente ALDAI dal 1987 al 1990 e Presidente federale dal 1991 al 1998 esordisce così: “La responsabilità di un rinnovo contrattuale è ascrivibile prima di tutto al Presidente: ricordo che una volta la delegazione trattante venne da me a consultarsi quando, dopo aver ottenuto un certo miglioramento salariale, la controparte negoziale ne richiedeva la parziale assorbibilità negli aumenti di merito. Dissi di no, che non si poteva accettare perché incremento contrattuale e merito non devono essere mescolati". E prosegue: “Eppure mi pare che siamo stati sempre lontani da una logica rivendicativa; conta molto anche la delegazione negoziale. In quegli anni partecipavano in veste tecnica anche cinque direttori territoriali di Federmanager e la delegazione, realmente rappresentativa della dirigenza, discuteva, prima, durante e dopo. Le alzate di mano avvenivano per ragioni forti".
Agostino D’Arco, Direttore ALDAI dal 1982 al 2005, ricorda come qualcuno nella delegazione confindustriale, allora, così si esprimeva: “Occupatevi di convergere sulle regole e sulle tutele, del salario sapremo farci carico noi…“. Altri tempi: “Oggi – dice D’Arco – spesso i dirigenti nemmeno sanno dell’esistenza di un contratto nazionale che li tutela e non si rendono conto che il Fasi è un ente di rilevanza contrattuale da difendere. In compenso alcuni colleghi sono stati messi nella condizione di non percepire un euro di aggiornamento salariale dal 2004: è una situazione da risolvere”.
Bruno Losito torna sui numeri: “Siamo tutti d’accordo che determinate manovre sul livello d’ingresso del TMCG pesano in modo irrisorio sul costo globale del lavoro dirigenziale: purtroppo il fatto è che alcuni vorrebbero proprio eliminarlo, il contratto dei dirigenti. Fino a quando sono stato coinvolto, sono sempre riuscito a firmare contratti, non in perdita, che portavano vantaggi alla categoria. Quando si è ceduto sulla difesa della retribuzione, lo si è fatto in nome dello sviluppo di un salario variabile. Ma la cogenza contrattuale del variabile non è mai stata raggiunta; così da quindici anni siamo in questa condizione di involuzione, assai poco gratificante; spacciata per modernità”.
Sulle tutele contrattuali, quelle che possono creare più stress e sofferenza per colleghi in età o situazioni critiche, D’Arco ricorda che c’è una situazione in evoluzione. L’arbitrato, nato nel 1970, ha ben difeso la categoria in questi decenni. Oggi, con il Jobs Act, è stato superato da una situazione che espone la dirigenza a condizioni di uscita in qualche caso addirittura peggiorative rispetto a tutti gli altri lavoratori. "La suddetta Legge prevede che in caso di licenziamento ingiustificato di un dipendente, per i primi due anni di anzianità, si applichi una penale di quattro mesi oltre al preavviso dovuto dalla categoria di appartenenza. Per i dirigenti, sino a due anni di anzianità, il Contratto Collettivo vigente prevede invece soltanto due mensilità, vale a dire la metà di quanto stabilito dalla Legge per gli impiegati, questi colleghi sono passati da 18 mesi ad 8. A tale proposito è d'uopo ricordare che il contratto dei dirigenti è stato firmato a dicembre 2014 mentre la disciplina prevista dal Jobs Act è entrata in vigore il 7 marzo 2015. Globalmente, la differenza tra il Contratto 2009 ed il 2014 è notevole: si passa da un minimo di 18 mesi/massimo 28 ad un minimo/massimo di 8 mesi (6 di preavviso +2 di indennità supplementare)”. Dice ancora D’Arco: “Ci fu riferito che durante le tumultuose fasi della trattativa per il rinnovo del 2014 la delegazione datoriale aveva lasciato intendere che il rinnovo, nelle condizioni di crisi in cui si trovavano le aziende, sarebbe stato possibile solo a costo zero. In più, le minori tutele in uscita avrebbero favorito nuove assunzioni. Il costo zero c’è stato, le tutele in uscita sono state rimodulate, ma sulle nuove assunzioni è preferibile stendere un velo pietoso...”.
Losito e D’Arco sono d’accordo nell’esprimere un’opinione favorevole alla costituzione di un nuovo ente bilaterale, si chiamerà 4.Manager, annunciato in ottobre. Entrambi sottolineano l’esigenza che l’ente sappia svolgere una funzione sostanziale nella difesa della categoria, evitando di concentrarsi su tematiche interne ed autoreferenziali.
“Ora come allora, concludono, si tratta di difendere dignità e ruolo della categoria: l’Italia ha più che mai bisogno di una classe dirigente motivata, serena, disponibile a mettersi al servizio dello sviluppo nazionale”.
Senza facili ottimismi, evitando che riformatori un po’ improvvisati si lancino in ipotesi che, per voler essere innovative e modernizzanti, risulterebbero alla fine solo strampalate, occorre intraprendere con pazienza il cammino che porta al rinnovo del contratto, coinvolgendo un numero significativo di colleghi, le RSA esistenti, i tecnici in grado di darci un supporto sostanziale.
Si continua dunque, nel cammino in cui per decenni si sono sforzati di inoltrarsi i dirigenti che ci hanno preceduto, che Losito e D’Arco hanno rappresentato così degnamente.
01 novembre 2017