Un Welfare da riprogettare

In occasione del Consiglio Nazionale Federmanager del 18 dicembre Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, ha presentato l’annuale indagine sul bilancio del sistema previdenziale italiano analizzando le conseguenze della pandemia e le prospettive in termini di Welfare

Mino Schianchi

Presidente Comitato Nazionale di Coordinamento dei Gruppi Pensionati e Vicepresidente ALDAI-Federmanager
Le osservazioni e indicazioni che vengono da “Itinerari Previdenziali” e presentate dal suo Presidente, spesso, costituiscono per noi oggetto di riferimento per adeguate riflessioni e anche per formulare proposte, dopo il vaglio ovviamente, delle nostre strutture di Rappresentanza. Perché i nostri associati ne siano informati e ne tengano conto anch’essi in dibattiti (a distanza) e riflessioni che si svolgono a livello locale, nonostante questo difficile tempo di pandemia, di seguito riprendiamo (in molte parti sintetizzandoli) alcuni passaggi importanti dell’analisi e delle considerazioni contenute nella presentazione di Alberto Brambilla. Ci auguriamo che, in qualche modo, servano anche a richiamare l’attenzione del personale politico e della dirigenza del Paese, perché assumano le decisioni più urgenti anche in conseguenza della crisi sanitaria in atto, ma anche per rispondere alle molte domande sociali da sempre lasciate senza risposte.

L’anno del Covid 19 e l’impatto sul sistema assistenziale e sull’economia

Innanzitutto alcuni dati. Al 3 dicembre 2020 i casi nel mondo avevano superato i 65 milioni, con oltre un milione e mezzo di morti. 

L’impatto in Italia sulla popolazione e sugli anziani. I decessi registrati in Italia dal 1° gennaio al 30 settembre 2020 sono stati 527.888, ossia 43.453 (8,97%) in più di quelli registrati in media nello stesso periodo degli anni 2015-2019. Per quanto riguarda la popolazione anziana (over 65), la mortalità nello stesso periodo del 2020 è aumentata del 16,14% rispetto alla media dello stesso periodo degli anni 2015-2019.
Stando al rapporto dell’Istituto Superiore della Sanità (ISS), formulato su dati al 25 novembre 2020, l’età media dei deceduti per Covid-19 in Italia è di 80 anni, il 95,36% di questi aveva 60 anni o più. Questi dati evidenziano che il sistema di protezione, cura e assistenza delle persone più indifese ha delle debolezze strutturali che sono state acuite dalla pandemia. Sia l’osservazione di quanto è successo all’estero, sia l’ISS, suggeriscono che proprio nelle RSA si sono concentrate le maggiori occasioni di contagio. La più colpita è stata, ovviamente, la popolazione anziana ivi ricoverata. L’indagine dell’ISS riporta che i decessi registrati nelle RSA, con sintomi riconducibili al coronavirus o risultati positivo al tampone, sono stati 3.772 su 9.154 totali (41,2%).

La pandemia ha riconfermato la necessità di ripensare alle prestazioni per la popolazione della terza e quarta età, nell'ambito dei sevizi e dell’abitare. Già in tempi normali i problemi che più aggravano la situazione degli anziani sono alcuni servizi, quali: pasti, trasporti, assistenza sanitaria, assistenza territoriale e domiciliare. Nella circostanza pandemica questi ultimi hanno mostrato tutti i loro limiti.  Le insufficienze hanno reso ancora più dura la solitudine delle persone avanti negli anni. Sono venute in evidenza le difficoltà che essi trovano nell’ approvvigionamento dei beni di prima necessità. Di qui l’esigenza dei negozi di prossimità; di qui l’esigenza di una rete di servizi pubblici e privati che rispondano alle loro esigenze primarie.

Il quadro demografico e i riflessi sul sistema assistenziale 

La speranza di vita è aumentata di oltre 30 anni in un secolo e continuerà ad aumentare di altri 5 anni nei prossimi 50 anni con aumento della popolazione anziana.

Il primo obiettivo in una società che invecchia e in cui aumenta l’aspettativa di vita è di far si che questa «vita in più» venga trascorsa in buona salute, nel miglior modo possibile. Per far questo occorre:
  • un rinnovato piano di assistenza sociale territoriale che «prenda in carico» i giovani anziani e gli anziani ancora autosufficienti, oltre la metà dei quali vive pressoché sola; la prima cura sarà quella contro la «solitudine» motore principale delle altre complicanze psico-fisiche, attraverso servizi sociali, centri diurni per l’aggregazione e il «reimpiego sociale» con l’assistenza di psicologi, alimentaristi, esperti di educazione fisica, medici e infermieri, check-up preventivi; insomma una offerta di prodotti e servizi adeguati ai bisogni e alle necessità dei Silver e iniziative che stimolino uno stile di vita salutare;
  • una profonda riorganizzazione delle RSA, dell’abitare con residenze miste giovani-anziani con tutti i servizi;
  • incrementare l’aspettativa di vita in buona salute attraverso l’offerta di prodotti e servizi adeguati ai bisogni e alle necessità dei Silver ad esempio, pacchetti salute turismo (quando la qualità dell’aria in certi periodi dell’anno affligge le popolazioni delle grandi città), iniziative che stimolino uno stile di vita salutare;
  • progetti specifici per la vita salutare e in movimento; cibi pensati per le esigenze nutrizionali, check-up preventivi e supporto alla mobilità.

La sanità Integrativa.

Non solo in Italia, ma nel mondo intero, il coronavirus ha trovato la via spianata per diffondersi. È venuta in evidenza l’impreparazione generale del sistema sanitario pubblico. In particolare in Italia, l’aspetto più critico si è manifestato nella carenza dei posti letto ospedalieri: mancanza dei posti di terapia intensiva e scarsità del personale sanitario. A tutto questo si sono aggiunte ampie carenze nell’assistenza sanitaria integrativa e nelle polizze di assicurazione che poco hanno potuto fare per i propri assicurati nel pieno della crisi.
Sono mancati investimenti nella Silver Economy mostrando gravissime carenze nella cura degli anziani, l’insufficienza dei servizi territoriali e delle RSA.

Che dire, in particolare, della sanità integrativa? Limiti e debolezze operative, troppo basata sul sistema sanitario pubblico o convenzionato, cosicché non ha avuto la capacità di funzionare con un minimo di autonomia.  E, infatti, appena il Governo ha bloccato l’operatività del SSN, polizze sanitarie e fondi di assistenza integrativa hanno pressoché cessato di fornire i vantaggi della “solvenza” in termini di canali preferenziali senza liste di attesa per visite specialistiche, esami di laboratorio o clinici e terapie.

Tutto negativo dunque? Non proprio. L’esperienza Covid-19 si propone anche come un'opportunità. Perché fa intravedere quali siano le potenzialità operative del settore integrativo nel sostegno al reddito nell’assistenza LTC (Long Term Care) e nella sanità integrativa rendendola più strutturata e autonoma rispetto al SSN, anche nell’interesse pubblico nell’invecchiamento in buona salute e nell’assistenza ai Silver, dai grandi autosufficienti ai grandi NON autosufficienti.
Ecco quindi le opportunità nella tutela della salute per la popolazione e per gli anziani:
  1. la realizzazione di call center collegati H 24, 7 su 7, per un primo screening con un esperto, o con il medico generico o specialista per un primo consulto medico;
  2. la fornitura di apparati e device di monitoraggio e trasmissione dati al centro convenzionato che funziona indipendentemente dalle strutture pubbliche (battito, temperatura, saturazione, elettrocardio e così via);
  3. piccole strumentazioni domestiche (i nuovi elettrodomestici del futuro per esami del sangue, urina o saliva con tamponi o altri rilevatori), per favorire processi di telemedicina e avere consulenza sanitaria in tempi brevi;
  4. tramite apposite convenzioni con strutture indipendenti, dopo la diagnosi a distanza, anche la possibilità di fare visite specialistiche a domicilio, test e tamponi e primi interventi evitando pronto soccorso e ospedali per quanto possibile, nonché convenzioni dirette con laboratori analisi, centri polispecialistici, infermieri e medici.

Che cosa si dovrebbe fare? 

Stando ai dati offerti nell’analisi svolta da Brambilla, a nostro avviso, i decisori politici dovrebbero operare scelte fondamentali al più presto.  Sono proposte, ma offrono una buona traccia per le necessarie valutazioni e decisioni:
  1. Maggiori investimenti nella sanità pubblica: nel 1980 avevamo 595.000 posti letto (1 ogni 95 abitanti) nel 2017 solo 151.600 (1 ogni 398 abitanti). Terapie intensive:1 posto ogni 7.500 abitanti. Nella classifica degli infermieri per abitanti l’Italia è 28° su 36; è 10° nella classifica medici per abitante; 23°in quella di posti letto per abitante.
  2. Più Europa e riforme: MES, SURE, Next Generation EU, BCE, BEI saranno cruciali per il grande piano di rinnovamento. Sono finanziamenti vincolati a progetti di Riforme non più rinviabili: riorganizzazione della sanità territoriale, scuole, carceri, piano di ammodernamento degli ospedali, ricerca e sviluppo su materiali sanitari tecnologici e di consumo, creazione di posti di lavoro anziché sovvenzioni, grandi opere.
  3. Più investimenti ESG nel rispetto della natura. Molti scrittori, molti divulgatori scientifici hanno richiamato l’attenzione su secoli attraversati da epidemie. Abbiamo appreso qualcosa? La popolazione mondiale continua a crescere dopo oltre 15mila anni di storia umana: nel 1800 eravamo meno di 1 miliardo, nel 1918 siamo arrivati a 1,7 miliardi, oggi siamo 7,4 miliardi. Ci abbiamo messo almeno 11.800 anni a raggiungere un miliardo di terrestri e 200 anni per passare da 1 miliardo  a 7,4 miliardi Dobbiamo comprendere che non siamo i padroni di Madre Terra e che è grave il rischio di sovrappopolamento, esaurimento risorse e scarsità alimentari.

Il quadro economico e la spesa per welfare

Perché il quadro rappresentativo delle esigenze e delle Riforme da attuare sia completo non può mancare anche l’aspetto che riguarda la spesa. Chi dovrà pagarla? L’analisi che offre Brambilla è molto eloquente. Spiega che mentre essa aumenta, il suo carico è addossato sempre più a una ristretta cerchia di contribuenti.

Dall’analisi IRPEF 2018 emerge che:
l’IRPEF grava sempre di più su ben determinate categorie di contribuenti, minando in prospettiva anche la capacità di finanziamento del nostro sistema di welfare. 

Su 60.359.546 cittadini residenti in Italia a fine 2018, i contribuenti dichiaranti sono stati 41.372.851; per contro, i contribuenti versanti, cioè quelli che versano almeno 1 euro di IRPEF, sono stati 31.155.444. In altre parole, quasi la metà degli italiani, 29,204 milioni pari al 48,38%, non ha redditi e vive quindi a carico di qualcuno. 
Il 13,07% dei contribuenti con redditi da 35mila euro in su versa circa il 58,95% di tutta l’IRPEF.

I contribuenti delle prime due fasce di reddito (fino a 7.500 e da 7.500 euro a 15mila) sono 18.156.997, pari al 43,89% del totale, e versano il 2,42% di tutta l’IRPEF.

Tra i 15.000 e i 20.000 euro di reddito lordo dichiarato, abbiamo invece 5,724 milioni di contribuenti, i quali pagano un’imposta media annua di 1.966 euro, che si riduce a 1.348 euro per singolo abitante: un importo ancora insufficiente a coprire per intero anche il solo costo pro capite della spesa sanitaria (circa 1.886,51 euro).

Basta un semplice confronto tra imposte versate e servizi ricevuti dallo Stato per far comprendere come molti italiani siano a carico dei propri concittadini. I primi 3 scaglioni di reddito (da 0 a 20.000 euro) versano in totale circa 15,4 miliardi non sufficienti per coprire solo i loro costi della sanità; per coprire tale loro spesa si devono aggiungere altri 50,325 miliardi.

Si potrebbe certo obiettare che pagano comunque anche imposte indirette, IVA e accise, ma è poi vero che oltre alla sanità andrebbero considerate molte altre spese statali, come quella per le infrastrutture, l’istruzione o per l’assistenza, in ovvia crescita dopo Covid-19. 
Chi sostiene quindi il welfare state italiano?
Quale fotografia ci viene restituita da questa analisi sulle dichiarazioni dei redditi formulata da Itinerari Previdenziali? È la riproduzione eloquente, con dati inconfutabili, di un fisco iniquo, incapace di scovare chi evade ed elude le tasse, e pervicace nel prendere sempre più dalle tasche di chi dichiara onestamente i propri redditi. È anche la rappresentazione dei gravi limiti del sistema fiscale: l’entità delle entrate non sembra più in grado di sostenere un moderno welfare.

Meno imposte si pagano e maggiori sono le prestazioni incassate, tanto che a disposizione del 58% degli italiani con redditi sotto i 15mila euro c’è un’autentica giungla di agevolazioni, bonus e altre forme di sostegno al reddito, in aumento dopo la pandemia e spesso concesse senza verificare, in assenza di una banca dati centralizzata dell’assistenza e in balia di un ISEE facilmente raggirabile, che ce ne sia un effettivo bisogno.

L’analisi svolta da Brambilla è densa di numeri e di proposte. Ne abbiamo esposte alcune, le più significative. Ma che ci consentono di fare alcune riflessioni di fondo sull’insufficienza del sistema sanitario in atto, sulle esigenze che ci impone la pandemia ancora non sconfitta, sulle risorse finanziarie necessarie, e sull’esigenza di rendere più equo il sistema fiscale. E, infine per dire, a proposito dei più anziani, che non possiamo passare il tempo a guardare i dati giornalieri perché sappiamo perfettamente che la speranza di vita aumenta, le tecnologie offrono nuove modalità di assistenza, il contesto cambia. E c'è quindi tanto da fare. Presto.
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