Quando la notizia è digitale

Il digitale e tutto quello che ne compete è entrato sempre di più nelle nostre vite, integrandole, amplificandole, ma anche apportando importanti e significativi cambiamenti nel nostro modo di essere lettori e fruitori delle notizie, prima tradizionalmente comunicate e condivise quotidianamente solo sulla carta stampata delle principali testate.

Silvana Menapace

Vice Presidente ALDAI

L’avvento di quella che viene considerata una vera e propria “rivoluzione”, non ha modificato solamente il mondo IT, ma anche i nostri comportamenti e le nostre attitudini che ora possono distinguersi in offline e online, per delineare la dimensione delle nostre interazioni e comunicazioni.
Ma come è cambiato il nostro approccio alle notizie, che differenza c’è tra un quotidiano cartaceo che ci aspetta ogni giorno puntuale all’edicola sotto casa e il portale che abbiamo come pagina predefinita della schermata del nostro pc? Siamo davvero tutti così digitalizzati come amiamo definirci o sotto sotto la carta rimane ancora una piacevole abitudine che non vogliamo abbandonare?
In un piccolo bar di via Solferino, adiacente alla storica sede del Corriere della Sera, in un pomeriggio di tarda estate ne parliamo con chi se ne intende davvero e del fare giornalismo in formato digitale ci ha fatto una professione: Federico Cella, giornalista milanese de il Corriere della Sera, blogger della rubrica “Vita digitale” mi incontra per un’intervista, insieme a Chiara Tiraboschi, giornalista e Responsabile Servizio Comunicazione e Marketing ALDAI, e al Coordinatore della Rivista Franco Del Vecchio. 

Federico, come sono le abitudini del lettore di oggi? Esiste una differenza  tra il lettore prettamente digitale rispetto a quello più tradizionalista, legato al quotidiano cartaceo?

Lettore digitale e lettore old style, legato cioè al cartaceo, rappresentano tendenzialmente due pubblici molto diversi. Al giorno d’oggi, l’online interessa e tocca praticamente il 100% dei cittadini italiani. Noi come Corriere.it registriamo un numero di utenti unici su base mensile che è equivalente al numero di italiani che vanno in rete almeno una volta al mese. Questo significa che ogni 30 giorni il numero di persone che almeno una volta viene su Corriere.it è equivalente a quello di chi va in rete almeno una volta in Italia. I lettori fedeli alla versione cartacea del nostro quotidiano hanno un’età molto più elevata (la media fino a 10 anni fa era 58 anni), un dato che potrebbe sembrare stonato per un editore che punta al futuro invece che al passato. Al contrario, l’età si abbassa per quanto riguarda la lettura del quotidiano sfogliato su tablet e smartphone. Si tratta comunque di pubblici tendenzialmente molto differenti: chi si compra il giornale continuerà a comprarselo, un mezzo non cannibalizza l’altro e questo ci consente di declinare i contenuti a seconda delle esigenze, da una parte o dall’altra. 

Il mezzo è evoluto, possiamo affermare quindi che è cambiato anche il modo di fare giornalismo?

In un certo senso sì. Sono cambiati i tempi, dove per tempi intendo soprattutto quelli  di reattività,  e anche un po’ i modi: un giornalista oggi utilizza anche altri strumenti oltre la parola scritta per raccontare le cose, se il lavoro quindi sostanzialmente è lo stesso, il mezzo è completamente cambiato.
A questo si aggiunge che mentre prima l’utente, e quindi il lettore, subiva e basta quello che il giornalista scriveva e riportava, o al limite poteva intervenire scrivendo una lettera alla Redazione, adesso si va oltre l’e-mail: c’è la possibilità di commentare in diretta e quindi la possibilità non solo di correggere ma anche di aggiungere contenuto. Il lavoro quindi non è cambiato, anzi fondamentalmente è un ritorno alle origini, è diventato ancora più puro. 

Come si colloca quindi la figura del giornalista in questo contesto?

La metafora che uso sempre è quella dell’idrante: il lettore è assetato di notizie, se prova però a informarsi tramite Internet sostanzialmente è come se si sparasse un idrante direttamente in bocca. Non solo rimane assetato, ma rischia anche di morire affogato perché il flusso di informazioni è violentissimo. 
Il lavoro del giornalista è proprio quello di regolare il flusso dell’acqua, cioè di arrivare a selezionare quello che realmente vale e farlo diventare una fonte che disseti e che non diffonda cattive informazioni. Paradossalmente il mestiere è portato ancora di più alle origini.