La formazione nel futuro del manager

Un identikit del ruolo del management nei processi di apprendimento, per la competitività dell’impresa, è quanto propone il progetto di Fondirigenti Learning Mindset Manageriale, frutto di una collaborazione con AIDP. La ricerca ha coinvolto i direttori del personale di alcune tra le principali aziende italiane. I risultati sono stati presentati il 18 aprile in un webinar organizzato presso Assolombarda

a cura dell'Ufficio Stampa Fondirigenti

I cambiamenti di uno scenario economico e geopolitico sempre più incerto, unitamente alle grandi transizioni legate a sostenibilità e digitalizzazione, fanno emergere l’importanza della formazione come principale fonte di vantaggio competitivo, indispensabile non solo come elemento di competitività dell’impresa, ma anche un fattore critico per la sua stessa sopravvivenza.
Lo confermano i dati di Fondirigenti, il fondo interprofessionale – promosso da Confindustria e Federmanager – leader in Italia per il finanziamento della formazione continua del management, che dimostrano una forte ripresa dell’attività formativa nel periodo post-pandemia. Dal 2019 al 2022, si rileva un aumento superiore al 20% nell’utilizzo delle risorse da parte delle 14mila imprese aderenti per il finanziamento dei piani formativi rivolti al proprio management. 
Massimo Sabatini - Direttore Generale Fondirigenti

Massimo Sabatini - Direttore Generale Fondirigenti

Solo nell’ultimo anno sono stati approvati, tramite Conto Formazione e Avvisi, ben 2.400 piani formativi, per oltre 27 milioni di euro, che hanno coinvolto 2.700 imprese italiane in quasi 290mila ore di formazione per 12.200 dirigenti. Numeri in forte crescita, anche se differenziati per classi dimensionali, con una netta prevalenza di grandi imprese, che hanno assorbito oltre il 70% delle risorse, seguite dalle medie e dalle piccole che faticano ancora a utilizzarle appieno.
Leadership, visione strategica e change management sono le principali tematiche oggetto degli interventi, ai quali è dedicato circa il 50% delle ore di formazione: ma cresce l’importanza di competenze più tecniche, relative alla transizione sostenibile e digitale delle imprese (circa il 20% delle ore), alla loro capacità di fronteggiare e prevenire rischi e crisi improvvise (17%) e alle competenze linguistiche per l’internazionalizzazione (circa il 10%). La trasformazione è l’elemento che accomuna queste imprese, che sembrano affrontare il cambiamento proprio con l’upskilling del management: il corporate learning si conferma come uno dei principali fattori abilitanti delle trasformazioni.
Una delle principali risposte alla pandemia è stata, quindi, il cambiamento attraverso l’apprendimento. Si tratta di un trend che si situa nel solco delle raccomandazioni della Commissione per l’Anno europeo delle competenze, che sottolineano l’importanza della capacità delle organizzazioni di facilitare i processi di apprendimento continuo per favorire la competitività in un contesto al tempo stesso mutevole, sfidante e ricco di opportunità.
In questo quadro, è soprattutto il management ad essere chiamato in causa: le aziende “sagge” che vogliono innovare puntano infatti, in primo luogo, sulla testa di chi il cambiamento lo deve guidare. Si fa largo l’esigenza di sviluppare una leadership inclusiva, basata su un mix di competenze soft e hard in grado, prima di tutto, di valorizzare in modo proattivo il proprio team, piccolo o grande che sia, e rendere l’organizzazione più innovativa, sostenibile e resiliente. E di plasmare queste organizzazioni in trasformazione, proprio dal punto di vista delle competenze.
Prende forma il contorno di una figura nuova, quella del “manager formatore” (fig. 1) che approccia alla trasformazione dell’azienda sfruttando in maniera attiva la formazione propria e quella della squadra. Per saperne di più Fondirigenti ha promosso uno studio sul tema, in collaborazione con AIDP (Associazione Italiana per la Direzione del Personale) il principale network dei manager e professionisti HR. L’indagine, i cui risultati sono stati presentati e discussi lo scorso 18 aprile – ha coinvolto oltre 2.500 responsabili delle risorse umane – ed è stata realizzata mediante interviste e focus group con testimoni privilegiati di alcune tra le più importanti aziende italiane e internazionali e una survey dedicata. A giudicare dal tasso di risposta elevato, lo studio ha suscitato grande interesse, consentendo di tracciare un primo identikit del manager capace di usare la leva formativa sull’intero corpo aziendale, per indirizzare il cambiamento e guidare il team.
Per un manager non è più sufficiente presidiare aree tecniche, ma è necessario fare dell'azienda un’organizzazione che apprende, sia dall'esterno, in ottica di Open Innovation, che internamente, attraverso una costante attenzione ai fabbisogni di crescita delle competenze dei collaboratori. 

Le fasi della ricerca

Un manager formatore è in grado di passare da uno stile di leadership di controllo, del comando, a uno stile di coinvolgimento e motivazione, dove l'engagement e soprattutto la retention sono due temi importanti. I Millennials e le Generazioni Z chiedono alle imprese trasparenza e chiarezza nella definizione dei possibili percorsi di carriera, da un lato, e attenzione allo sviluppo delle competenze dall'altro. Quest'ultimo aspetto è connesso a una chiara consapevolezza che il lavoro e le sue esigenze stanno cambiando più rapidamente che mai. Le generazioni più giovani si aspettano, più che in passato, che i datori forniscano opportunità di crescita professionale. Questi processi sono possibili solo se il management è in grado di creare le condizioni per lo sviluppo della formazione in tutta quanta l'organizzazione. 
La ricerca ha previsto un percorso di 15 interviste semi-
strutturate con direttori del personale di aziende di varie dimensioni, utilizzato come base per la creazione di una survey che ha consentito di verificare alcune tendenze emergenti nel nostro Paese, tra aziende diverse per tipologie e dimensioni. Dall’indagine emergono 3 tipologie di aziende: imprese consolidate, imprese trasformative e imprese agili (fig. 2 e 3).

L'impresa consolidata è un'impresa più tradizionale, che mantiene le sue strutture gerarchiche e i suoi modelli, anche se ha un’innovazione nel campo digitale in atto, dove la chiave di lettura è prevalentemente votata all’efficienza, al rafforzamento, al consolidamento dello status quo; queste imprese risultano una minoranza.
La maggioranza delle imprese incontrate sono imprese trasformative che vivono profondi processi di trasformazione, alcuni superficiali, altri più profondi, sul modo di operare, per fusioni, per trasformazioni, e che si stanno aprendo a nuovi modelli, che mettono in gioco il ruolo del management su di sé e sul suo team. 
Il terzo tipo è l'impresa agile che lavora su progetti, che ha rotto alcuni legami consolidati, passando dal governo delle persone, al sostegno dell'ambiente, del sociale ecc.
L’indagine ha previsto anche una survey, cui hanno risposto 222 referenti, prevalentemente direttori HR, per rilevare in che misura l’utilizzo di competenze digitali è stato accompagnato da un orientamento verso la direzione per obiettivi, facendo emergere l’importanza della capacità del management di costruire un contesto di apprendimento continuo. I manager devono poter disporre di maggiori strumenti per la comprensione del loro contesto. Il tema è fornire loro gli strumenti per la comprensione del proprio contesto e anche per la previsione futura, per guidare e orientare il proprio team di lavoro e nelle transizioni orientate allo sviluppo che interessa all'impresa.
Si tratta di risultati incoraggianti che potranno essere utilizzati sia per diffondere nel tessuto produttivo e presso la business community modelli formativi adeguati, sia per supportare gli investimenti delle imprese per rafforzare le competenze manageriali. Fondirigenti conferma il suo impegno in questa direzione.

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