Lavoreremo ancora ?

Tecnologie e ruolo futuro dei manager

Il lavoro manageriale nel tempo ha assunto connotazioni chiare più volte analizzate, modellizzate e divulgate (Peter Drucker “Managing in the next society”, Henry Mintzberg “Il lavoro manageriale”, Claudio Demattè “Il mestiere di Dirigere”).

Alfredo Biffi

Professore Associato di Organizzazione Aziendale presso l’Università dell’Insubria (Varese) e SDA Professor (Information System Unit, Università Bocconi di Milano)

Il lavoro manageriale nel tempo ha assunto connotazioni chiare più volte analizzate, modellizzate e divulgate (Peter Drucker “Managing in the next society”, Henry Mintzberg “Il lavoro manageriale”, Claudio Demattè “Il mestiere di Dirigere”). In particolare il compito del “dirigere” è stato uno dei capisaldi del ruolo manageriale: l’idea è quella di una persona che guida, con stili magari diversi ma spesso al contempo efficaci, altre persone nella direzione necessaria all’ottenimento di obiettivi formalmente pianificati e comunque concordati. Questa azione era necessaria nelle aziende e nelle istituzioni per poter coordinare masse di collaboratori difficilmente in grado, in modo autorganizzato, di raggiungere quanto prefissato. I numeri della massa, ed i caratteri specifici del ruolo, hanno rappresentato l’elemento per la sua diffusione anche in organizzazioni di piccole dimensioni, in particolare quando l’imprenditore ha avuto la necessità di disaccoppiare le attività di sviluppo d’impresa rispetto alla sua gestione quotidiana.

Negli ultimi 15 anni si è assistito ad alcuni  fenomeni che concorreranno alla riconfigurazione del ruolo:
  • momenti di discontinuità politico-sociale ed economica fenomenali, che hanno condotto all'attuale situazione di crisi permanente a vari livelli (dal dramma delle Torri Gemelle all’inizio del secolo, alle varie e successive crisi finanziarie di colossi d’impresa e di Stati, fino alla intensificazione delle azioni del terrorismo islamico);
  • crescita e proliferazione delle tecnologie informatiche e telematiche (ICT, Information e Communication Technology) che, al di là dell’elemento Internet come piattaforma di rete in grado di aggregarle, offrono prodotti e soluzioni che riescono ad entrare fino al più intimo elemento fisico dei processi produttivi e dei servizi di relazione (lo IOT, internet delle cose, è forse l’acronimo che, unitamente all’idea di factory 4.0 meglio rappresenta il concetto).
Questi due fenomeni stanno cambiando il modo di essere delle imprese e provocheranno effetti dirompenti sulla quantità e qualità del lavoro.
Le aziende, per fronteggiare la crisi e la instabilità politica, stanno imparando ad organizzarsi per fare lo stesso o maggiore business con meno risorse (riorganizzazioni, reingegnerizzazioni, downsizing, aggregazione, esternalizzazione, etc. sono alcune delle azioni utilizzate per meglio efficientare i propri processi). Questo ha come riflesso generalmente anche una riduzione di personale o comunque un blocco della sua crescita (come saldo netto tra entrati ed usciti).

All’azione organizzativa si accompagna il secondo fenomeno, l’impiego sempre più spinto di ICT che:
  • permette di individuare nuovi filoni di business per i quali si ha bisogno di un numero di collaboratori minore rispetto alle situazioni di innovazione del recente passato;
  • permette di progettare e plasmare processi operativi altamente automatizzati.
Quest’ultimo aspetto è stato anche nel passato fattore di riduzione di personale ed ha però, per la necessità di avere persone capaci di impiegare tali tecnologie, nel medio periodo generato nuovi ruoli che hanno prodotto ancor più posti di lavoro rispetto a quelli persi.

Ma le moderne tecnologie hanno una caratteristica che le fa ritenere capaci di una discontinuità permanente: riescono a sostituire o compendiare l’uomo non solo nell’azione fisica ripetitiva ed in quella concettuale di routine, ma entrano poco alla volta anche nelle attività concettuali non ripetitive, di creazione, immaginazione, decisione di alto livello.
Quanto più ci riusciranno, ed i segnali lasciano pochi dubbi in proposito, tanto più andranno a sostituire anche il lavoro “di livello”, manageriale compreso.

Allora la domanda se ci sarà bisogno ancora di dirigenti, e di quanti, e quali caratteristiche avrà il ruolo del manager nel futuro diviene pertinente ed impellente.
Un ricerca svolta da SDA Bocconi per conto di AICA (www.aicanet.it) ha avuto come obiettivo capire i reali effetti della diffusione nel business e nella società. Nell'indagine sono coinvolti i principali attori interessati al tema (opinion leader ed esperti, manager, startupper, responsabili del personale, studenti) con i quali si cerca di comprenderne il grado di conoscenza e di consapevolezza del fenomeno.
Grazie alla disponibilità e collaborazione di ALDAI-Federmanager è stata condotta una indagine esplorativa presso gli associati attivi, proprio per capire se esiste un pensiero condiviso sull’argomento capace di dare indicazioni per eventuali azioni in merito. Le prime evidenze del campione dei manager (257 rispondenti ad un questionario) offrono qualche prima indicazione esposta in sintesi in tabella 1.
Gli associati sono consapevoli del tema, circa il 64% ritiene che la distruzione del lavoro sarà argomento di responsabilità delle aziende che lo dovranno affrontare: se da un lato l’ICT è e sarà una reale opportunità di efficientamento e di innovazione, dall’altro il senso di responsabilità sociale dovrà anche tenere conto degli effetti.
Al riguardo, chi studia il fenomeno, accademici e pratictioners, non presenta un accordo definitivo su numeri ed effetti, ma i principali filoni di pensiero sembrano indirizzarsi verso l’idea che avremo meno lavoro e che resta il dubbio sulla possibilità di crearne nuovo a sufficienza, in altri ambiti e domini economici e sociali od in quelli esistenti. In questo i manager paiono allineati.

Sollecitati sulla proposizione di linee di azione macro economico sociale o micro (azienda) per mitigare o eliminare gli effetti della ICT sul lavoro, coerentemente con quanto appena detto, il pensiero sembra uniforme nel porre la formazione delle persone come strumento cruciale:
  • educazione e formazione dei giovani per essere competenti e competitivi in un mondo altamente tecnologizzato;
  • formazione degli “anziani” perché possano ricollocarsi in questa realtà altamente tecnologica;
  • educazione e formazione dei giovani ad essere creativi e flessibili nella relazione di lavoro, per poter scoprire nuovi ambiti ed adattarsi ad essi.
Ed i manager cosa faranno e cosa saranno? Più in dettaglio rispetto alla sintesi della tabella 1, le attività delle aziende saranno basate su processi altamente automatizzati, per i quali il manager sarà più un progettista ed acceleratore della loro innovazione e meno un gestore delle persone che li eseguono.
In organizzazioni sempre più appiattite (più tecnologie e meno persone non possono che contribuire ad orientare in questa direzione la progettazione organizzativa) la competenza manageriale sarà diffusa, ci saranno quindi tecnici manager in grado di coordinarsi in modo autorganizzato tra loro. In sostanza uno spostamento dalla gestione delle persone all’innovazione e gestione dei processi.
Se fosse così ecco che le competenze di innovazione e quelle di capacità organizzativa, quest’ultima in particolare, saranno quelle più importanti e prioritarie da sviluppare per svolgere un ruolo manageriale moderno ed efficace (fig. 1). 
Un ruolo quindi che non scompare ma che diventa, direbbero oggi i giovani, più “smart”: che tende a ridurre le logiche di pianificazione e controllo quotidiano (saranno attività svolte dalle macchine) per orientarsi a logiche di generazione e costruzione di idee basate sulla capacità di visioning a medio e lungo termine.
Una riflessione finale sul tema dei numeri: dal quadro emerge come il processo di integrazione orizzontale delle attività di impresa dalle logiche verticali del recente passato si stia spostando anche nel campo delle competenze e dei ruoli.
Capacità ed abilità tipicamente manageriali sono immaginate come diffuse orizzontalmente nella struttura aziendale: la specializzazione tende ad orientarsi verso un management creativo e di innovazione e meno di gestione, ove la componente di trasversalità nell’impiego della tecnologia ha il sopravvento su quella della specificità di un elemento del processo. Abbiamo già persone sufficienti e preparate per innescare il cambiamento in questa direzione?
Archivio storico dei numeri di DIRIGENTI INDUSTRIA in pdf da scaricare, a partire da Gennaio 2013.

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