Tribunale dell’Aquila - Illegittima sospensione dal lavoro del dipendente non vaccinato anti-Covid

Una sentenza in totale contrasto con le pronunzie della Corte Costituzionale che hanno, viceversa, legittimato gli interventi del legislatore in merito alle obbligazioni vaccinali

Foto di succo da Pixabay

Avv. Marco De Bellis

Studio Marco De Bellis & Partners
È recentemente salita agli onori della cronaca una sentenza del Giudice del Lavoro dell’Aquila relativamente al vaccino anti-Covid.

Infatti, con sentenza del 13 settembre 2023, il suddetto Tribunale ha ritenuto l’illegittimità del provvedimento di sospensione da lavoro e retribuzione posto dalla Regione Abruzzo nei confronti di un proprio dipendente, ultracinquantenne, che non si era sottoposto alla vaccinazione obbligatoria antiSars-COV2 ex art. 4, quinques DL 44/2021. 
In particolare, secondo la tesi del suddetto Tribunale, non vi sarebbe “alcuna evidenza scientifica che abbia dimostrato che il vaccinato, con i prodotti in commercio, non si contagi e non contagi a sua volta”.
Anzi, secondo il Tribunale, l’inefficacia del vaccino sarebbe confermata dalla asserita “comune esperienza di tutti (personale, familiare, della cerchia di amici)” (!).

Dunque, ritenendo “venuto meno il presupposto per il quale alcuni lavoratori possano entrare nei luoghi di lavoro ed altri no”, il Tribunale ha deciso che la sospensione motivata con la mancata vaccinazione sarebbe “senza alcun fondamento”.
Poiché inoltre la suddetta sospensione avrebbe riguardato solo i lavoratori non vaccinati e non “i colleghi che hanno continuato a lavorare”, la suddetta sospensione sarebbe da ritenersi anche discriminatoria.
Per questi motivi, la Regione Abruzzo è stata condannata nei confronti del dipendente alla restituzione degli importi relativi alla retribuzione non corrisposta (e connessa con la sospensione del lavoro).

Come se non bastasse, la Regione Abruzzo è stata condannata anche al risarcimento del danno biologico che il lavoratore riferiva di aver subito; per completezza, si soggiunge che il danno è stato “accertato” esclusivamente sulla base della documentazione prodotta dalla difesa del lavoratore (senza neppure disporre una consulenza tecnica d’ufficio per verificarne la sussistenza).

Si tratta di una sentenza in totale contrasto con le pronunzie della Corte Costituzionale che hanno, viceversa, legittimato gli interventi del legislatore in merito alle obbligazioni vaccinali (cfr. soprattutto la n. 14 e la n. 15 del 2023).

Riguardo tali pronunzie, il Tribunale del Lavoro dell’Aquila, lungi dall’ignorarle, si è orgogliosamente discostato, ritenendo che le stesse non avrebbero alcun valore vincolante per gli organi giudicati di merito.

Come detto, la stampa ha dato ampio risalto a questa sentenza e qualche testata è giunta a ritenere che la sentenza potrebbe essere la prima di una lunga serie sullo stesso filone interpretativo.

In verità, è sufficiente un attento esame delle motivazioni, soprattutto se raffrontate con gli argomenti più volte espressi dalla Corte Costituzionale, per evidenziarne gravi ed evidenti criticità.

La sentenza, infatti, appartiene a quel filone “creativo” dell’organo giudicante che intende sostituirsi al legislatore.

E’ bene rammentare, infatti, che il Magistrato ha l’onere di applicare la legge attribuendo alla stessa esclusivamente il senso “fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse dall’intenzione del legislatore” (art. 12 preleggi).
Dunque, ove il Magistrato ritenesse la norma non conforme al dettato costituzionale, potrebbe/dovrebbe sollevare d’ufficio la relativa questione e trasmettere gli atti alla Corte Costituzionale.
Parimenti, ove ritenesse la norma non conforme al Diritto Europeo, il Magistrato dovrebbe fare altrettanto nei confronti della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Viceversa, nel caso specifico, il Tribunale ha deciso semplicemente di non applicare la norma, preferendo seguire convinzioni personali e valutazioni pseudo scientifiche (che sarebbero “confermate” dall’asserita “comune esperienza di tutti”).

Proprio riguardo ai dubbi sulla costituzionalità della norma, è opportuno soggiungere che la stessa Corte Costituzionale aveva già affrontato e risolto i dubbi sollevati dal Tribunale dell’Aquila, ribadendo in più occasioni (cfr. sentenza 14, 15 e 171 del 2023) che il Sindacato sulla ragionevolezza delle scelte del legislatore debba essere “effettuato alla luce della concreta situazione sanitaria ed epidemiologica in atto” sulla base “dello stato delle competenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni, organismi – di norma nazionali e sovranazionali – a ciò deputati” (Corte Cost. sentenza n. 15 del 2023).

La Corte Costituzionale, pur riconoscendo la ovvia non infallibilità del vaccino anti-Covid (l’infallibilità non appartiene a nessun tipo di vaccino …), ha riconosciuto che gli obblighi posti dal legislatore fossero coerenti con i dati forniti dalle agenzie del farmaco (AIFA, LIS e EMA), che avevano confermato l’efficacia dei vaccini del contenimento della diffusione pandemica del virus e nella prevenzione di casi gravi (sentenza n. 14 del 2023).

In verità la Corte aveva anche affrontato l’aspetto dell’asserita discriminazione, valutando che l’eccezionalità dell’evento e la circostanza che il vaccino fosse disponile a tutti i lavoratori per i quali non vi fossero controindicazioni sanitarie, doveva ritenersi assorbente nell’escludere qualsiasi aspetto discriminatorio.

Come si è visto, viceversa, il Tribunale dell’Aquila ha ritenuto il contrario; tuttavia, a parere di chi scrive, le motivazioni della Corte Costituzionale appaiono di ben altro spessore rispetto alle personalissime convinzioni espresse dal Tribunale del Lavoro dell’Aquila.

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