Dalla gabbia all’avventura: tratti comuni nell’implementazione dell’intelligenza artificiale

Un giovane laureato all’università Cattolica di Milano, poi a Londra, San Francisco e in Vietnam, spinto dal bisogno di mettersi alla prova, discutendo ogni certezza e imparando da chiunque. Una testimonianza del mondo globale e dinamico nel quale emergono volontà capaci di immaginare nuovi modelli di business e creare a 31 anni PMI innovative con sedi in Italia, Slovenia, Irlanda e Vietnam. Partecipando in videoconferenza Zoom da Madrid il 22 maggio 2019 il giovane imprenditore ha condiviso idee ed esperienze con il Gruppo Progetto Innovazione ALDAI-Federmanager.

Giuseppe Iamele  

Managing partner 2Click Solutions
Chi vuole realmente cambiare è colui che ha più paura della gabbia che della morte” (Wilhelm Griesinger): questa è la definizione dell’innovatore secondo la prospettiva di uno psichiatra, ed è significativa per stigmatizzare la voglia di trovare strade nuove da parte delle persone, dei gruppi, delle aziende. In sintesi, meglio far qualcosa che nulla, altrimenti non si sopravvive; meglio provare l’avventura e rischiare di morire che rimanere fermi.

Nell’esperienza maturata nello sviluppo di software di intelligenza artificiale al servizio di aziende più o meno complesse, più o meno familiari, più o meno profittevoli, abbiamo osservato delle costanti, nella direzione del “tutto o niente”, del giocare in grande, dettate dalla paura di rimanere indietro. Alcuni dati rispetto ai progetti su cui abbiamo lavorato negli ultimi due anni e mezzo, possono essere citati come indicativi in questa direzione, ricavando dei “tratti tipici di riferimento”:
  • 1/3 del budget di progetto è stato investito prima di iniziare lo sviluppo tecnico (costo di avviamento), “aumento del rischio”;
  • 2 progetti su 3 coinvolgono risorse umane, organizzative e produtttive di diverse unità aziendali/dipartimenti, “intervento olistico”;
  • Il software è stato utilizzato in 3 casi su 3 a pieno regime già in versione Beta, “riduzione dell’attesa”.
Aumento del rischio, intervento olistico e riduzione dell’attesa sono i tre tratti caratteristici dell’approccio “all in” che le aziende in Europa mediamente prendono in considerazione quando decidono di investire in innovazione e intelligenza artificiale. Perché questo avviene e quali sono i benefici concreti che un software di intelligenza artificiale può apportare per non creare “rimpianti” di investimento?
Cerco di spiegarlo con due casi simili nella loro evoluzione e diversi per settore, esigenza e portata.

Partire dal bisogno per trovare soluzioni nuove, scoprendo un mondo inaspettato

La PMI in questione è una realtà operante nella produzione di semilavorati in legno. Il nostro primo contatto risaliva a due anni prima del progetto in questione, e nacque dall’esigenza specifica di sostituire il gestionale precedente con una soluzione custom, che potesse in qualche modo adattarsi a logiche di ERP completamente nuove. Fu allora che capimmo di avere a che fare con un’azienda coraggiosa e proiettata in avanti. L’intelligenza artificiale non è mai stata l’obiettivo, ma è nata come scelta tecnologica e strategica più avanti per risolvere un problema immediato: troppi item di scarsa qualità erano portati fino alla fine della catena di semi-lavorazione, incorporando difetti e generando una riduzione di circa il 40% rispetto alle previsioni di vendita su base annua. Il problema quindi nasceva da una inefficienza importante, le cui cause avevano molti fattori: la scelta dei tronchi di legno da lavorare a volte non era corretta e non c’era un adeguato controllo qualità; le informazioni sul tronco da portare in lavorazione erano poche, soggettive rispetto all’attenzione del tecnico, e frammentate. L’introduzione di una tecnologia di image recognition nacque quindi con l’intenzione di riconoscere le caratteristiche morfologiche dei tronchi di legno tramite una foto inoltrata direttamente al sistema centralizzato per suggerire modalità di lavorazione più appropriate, identificare idoneità della materia prima a entrare nella catena di lavorazione, predirre i tempi di vendita e arricchire la conoscenza del materiale per migliorare continuamente le decisioni.
Le complessità del progetto nascevano dal fatto che per risolvere un problema specifico, si sarebbe corso il rischio di spaziare su nuove problematiche, che richiedevano nuove “abitudini lavorative”. Il tratto dell’intervento olistico si materializzò quindi non intenzionalmente, nonostante ci fosse un interesse culturale all’introduzione delle nuove tecnologie, al di là del need immediato. L’impatto di un semplice sistema di “scatto di una foto” e di invio intelligente di informazioni, poteva in realtà cambiare un modo di intendere il proprio lavoro e il processo di lavorazione in sé. Questo è un elemento centrale per capire l’intelligenza artificiale, specialmente in contesti pratici, diretti e specifici come quelli produttivi o di lavorazione: non si può decidere di introdurre tale innovazione pensando di navigare in mare piatto, bisogna inglobare la complessità derivante e avere il piacere di accogliere nuove domande, che prima non si pensavano nemmeno, proponendo nuovi problemi al di là delle soluzioni. Primo tra tutti: cosa ne faccio di questa nuova tipologia e quantità di dati? O ancora: chi può essere idoneo in una azienda così tecnica ad utilizzare le informazioni in modo strategicamente rilevante? E infine: come faccio a non diventare dipendente da un processo technology driven, i cui rischi non mi sono ancora chiari?

Intraprendere il viaggio per essere al passo con un nuovo tipo di mercato

Il settore della consulenza aziendale è un mondo complicato dove poter fare innovazione: la logica dei processi interni è completamente aderente a quella della delivery dei progetti sul cliente, non c’è una catena del valore, c’è un punto esclamativo del valore, succede tutto nel qui ed ora e sempre ad hoc. Queste caratteristiche organizzative impattano fortemente sulle scelte tecnologiche e l’adozione di soluzioni di intelligenza artificiale, con risvolti per molti versi positivamente sorprendenti.
Abbiamo sviluppato per una società di consulenza in ambito HR, una piattaforma di assessment innovativa, che, attraverso componenti di analisi predittive di dati (machine learning), riconoscimento vocale e video, riesce a stabilire dei livelli di dettaglio particolari e specifici per capire la persona che si sta valutando, sia in un contesto reale di intervista, che, soprattutto remoto in ambito di test. Il sistema nasceva da dataset molto vasti accumulati negli anni precedenti e dalla necessità di differenziarsi nettamente dall’universo un po’ ridondante dell’HR tradizionale.
La logica del progetto si è quindi evoluta su due dimensioni: di ricerca, da un lato, per capire cosa la “scienza” riservava per trovare modi nuovi di capire come le persone prendevano decisioni; di implementazione tecnologica, dall’altro per ottenere uno strumento scalabile che potesse ridurre i pregiudizi del consulente nella valutazione delle persone. Il risultato è una piattaforma di analisi del parlato, proponendo alla persona che effettua il test di argomentare le scelte effettuate, elaborando un pensiero di “spiegazione della decisione”. L’aspetto innovativo e la logica del “hic e nunc” (qui e ora) della consulenza nel mercato, ha generato una forte “riduzione dell’attesa”, per cui il sistema è stato messo subito a disposizione di grandi aziende già nella sua versione beta.

Conclusione

I due casi rappresentano delle storie emblematiche: da un lato il bisogno che genera insieme alla curiosità la voglia di scappare dalla “gabbia” e affrontare il viaggio, dall’altro il valore di essere diversi e provare subito ad esserci, andando al di là dei limiti culturali o delle prassi consolidate.
Non c’è altra via dunque: bisogna essere coraggiosi, affamati e curiosi. Questa è la ricetta per mettere l’Italia davanti a tutti, proprio a tutti, nel prossimo ventennio che sarà caratterizzato dall’intelligenza artificiale.
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