La banda ultra larga, asset strategico per la ripresa

Ai primi di settembre The European House Ambrosetti ha presentato al Forum di Cernobbio un documentato studio che fa il punto sulla situazione italiana della banda ultra larga delineando anche una precisa strategia per accelerarne lo sviluppo in supporto alla ripresa economica e sociale del Paese

Giovanni Caraffini 

Socio e proboviro ALDAI-Federmanager, componente del Gruppo Progetto Innovazione

L’evoluzione delle reti

“Banda ultra larga” è sinonimo di trasferimento di dati ad alta velocità. Allo stato attuale si intende per alta velocità quella superiore ai 30 Megabit al secondo.

La possibilità di estendere questa alta velocità su vasta scala è un problema più di carattere economico che tecnico. A causa della loro architettura, infatti, il costo delle reti si concentra nella parte più vicina all’utente (rete di accesso o ultimo miglio) e risulta quindi più o meno proporzionale al numero di utenti. Di conseguenza l’economia di scala risulta molto attenuata e la copertura capillare del territorio richiede investimenti ingenti il cui ritorno diventa problematico nelle aree scarsamente popolate. 

Con l’avvento del digitale si è pensato giustamente di minimizzare gli investimenti richiesti usando la rete telefonica legacy anche per trasmettere i dati, sviluppando una tecnologia ad hoc chiamata Digital Subscriber Loop (DSL). Ma la continua crescita delle velocità di trasmissione richieste dai servizi digitali a un certo punto ha mandato in crisi questo modello per cui è stato necessario l’upgrade delle reti in rame mediante la fibra ottica, che non pone praticamente limiti alla velocità di trasmissione. Gli investimenti necessari per la posa della fibra possono essere peraltro contenuti laddove si riesca a sfruttare le infrastrutture passive esistenti (cavi, condotte, pali, canaline, scatole, armadi, ecc).

Parallelamente a questa evoluzione della rete telefonica tradizionale hanno preso piede le reti cellulari, che venivano a coprire un’esigenza primaria fino ad allora insoddisfatta, la mobilità generalizzata dell’utente. In queste reti l’accesso fisico viene totalmente sostituito da collegamenti radio, con evidenti vantaggi in termini di investimenti. Per contro, la trasmissione dei dati su rete cellulare ha in genere una minore qualità sotto vari aspetti. Tuttavia, con i progressi delle tecniche di modulazione, la situazione è andata progressivamente migliorando e oggi si può tranquillamente affermare – ed è esperienza comune - che anche per i dati la rete mobile funziona in modo accettabile purché non si superino i 30 Mbit/s. Allo scopo di superare questo limite sono in corso importanti sviluppi, conosciuti nel loro insieme come “5G”, ossia comunicazione mobile “di quinta generazione".

Anche nelle reti cellulari rimane sostanzialmente irrisolto il problema della scarsa attrattività economica degli investimenti nelle aree periferiche e meno densamente popolate, in cui in genere occorre installarle un numero maggiore di antenne per superare le difficoltà di propagazione dovute agli ostacoli orografici e ambientali.

Lo sviluppo della connettività in Europa e in Italia

Dieci anni fa nasceva a Bruxelles l’Agenda Digitale Europea con il compito di definire una roadmap per la formazione di un mercato digitale europeo unico e interconnesso. Per il monitoraggio di questa evoluzione veniva creato un apposito indice, il Digital Economy and Society Index (DESI). Per quanto riguarda la connettività, l’Agenda prevedeva che entro il 2020:
  • tutte le abitazioni dell’Unione Europea fossero raggiunte da una rete capace di veicolare almeno 30 Mbit/s, considerata la soglia base per garantire la coesione territoriale;
  • almeno il 50% delle famiglie europee possedessero un abbonamento a connessioni a 100 Mbit/s allo scopo di anticipare le future esigenze di connettività;
  • tutte le aree urbane e tutti i percorsi di trasporto terrestre d’Europa fossero coperti in modo ininterrotto dalla futura rete mobile 5G per collegare sia persone che oggetti.
Subito dopo veniva approvato un nuovo Codice europeo delle comunicazioni elettroniche onde stabilire un quadro normativo più rispondente alle esigenze delle reti per servizi digitali ad alta velocità.
Nell’ambito di questa policy europea, e allo scopo di recuperare il ritardo infrastrutturale e di mercato dell’Italia rispetto agli altri Paesi europei, nel 2015 veniva varata dal Governo la “Strategia per la banda ultra larga”, conosciuta in genere come “Piano BUL”, che a sua volta fissava i seguenti obiettivi per il 2020:
  • copertura dell’85% della popolazione italiana con infrastrutture in grado di veicolare servizi a velocità pari o superiore a 100 Mit/s;
  • copertura ad almeno 30 Mbit/s della restante quota di popolazione;
  • copertura ad almeno 100 Mbit/s degli edifici pubblici, delle aree di maggior interesse economico e/o di maggior concentrazione demografica, delle aree industriali, delle principali località turistiche e degli snodi logistici presenti sul territorio italiano.
Gli effetti del piano posso essere giudicati tutto sommato positivi, come si vede dalle figure.

A fine 2019, cioè alla vigilia dello scoppio della pandemia, l’Italia aveva raggiunto un livello di connettività pressoché pari a quello medio dell’Europa.

Lo studio Ambrosetti ha cercato di quantizzare i benefici economici derivanti dall’implementazione del Piano BUL utilizzando un modello econometrico piuttosto complesso, basato essenzialmente sulla correlazione fra intensità d’uso del digitale, investimenti in infrastrutture e tasso di nascita di nuove imprese. È risultato che nel triennio 2017-2019 il dispiegamento della connettività a banda ultra larga ha generato ogni anno 14 miliardi di Euro in più di PIL ad essa direttamente correlato. Sono stati inoltre quantizzati, per lo stesso periodo, i benefici non strettamente economici corrispondenti al maggior benessere per i cittadini, ottenendo un valore complessivo di 3,1 miliardi di Euro. Infine è stata fatta una proiezione dalla quale è risultato che dal 2020 al 2025 il dispiegamento della banda ultra larga produrrà complessivamente 96,5 miliardi di Euro di PIL aggiuntivo ad esso direttamente correlato. Considerando il decennio 2020-2030 questo valore sale a 180,5 miliardi di Euro.

Osservando la seconda figura, balza subito all’occhio l’impressionante disallineamento fra le diverse componenti della trasformazione digitale. È chiaro che l’indice globale di digitalizzazione non può che risentirne, ed in effetti l’Italia si è venuta a trovare al 25° posto su 28 paesi europei nella classifica della digitalizzazione, oltretutto perdendo due posizioni rispetto all’anno precedente. Solo Romania, Grecia e Bulgaria hanno fatto peggio. Da segnalare in particolare il gravissimo ritardo dell’indice relativo al capitale umano.

Un segnale importante è poi venuto dal fatto che durante il lockdown per Covid-19 la rete italiana ha retto molto bene l’urto: le transazioni digitali nei siti di e-commerce hanno superato quelle effettuate nei negozi fisici, lo smart working è esploso, passando dalle 500 mila persone nel 2019 a circa 8 milioni, quasi 7 milioni di studenti, l’80% circa del totale, ha potuto proseguire la didattica attraverso le piattaforme online. E in un solo mese (da febbraio a marzo) il traffico su rete fissa è aumentato del 46,5% e quello su rete mobile del 21%.

I modelli di sviluppo e le ricadute economiche

Che conclusioni trarre? Appare evidente che la connettività a banda ultra larga può e deve contribuire efficacemente allo sforzo che siamo chiamati a produrre nell’immediato futuro per risalire la china della crisi economica provocata dalla pandemia di Covid-19. Preso atto che si parte da una situazione già abbastanza buona, che gli incrementi di banda ultra larga contribuiscono sensibilmente al PIL abilitando un maggior benessere per i cittadini e contribuendo alla trasformazione digitale del paese, si tratta ora di identificare le modalità di sviluppo che comportano un’ottimizzazione degli investimenti e delle modalità di effettiva utilizzazione dei servizi.

In questa prospettiva e allo scopo di identificare un approccio il più possibile concreto e razionale alle modalità di accelerazione dello sviluppo delle reti a banda ultra larga in Italia, lo studio si rifà innanzitutto alle esperienze già fatte in alcuni Paesi abbastanza paragonabili al nostro, in cui l’upgrade delle reti in termini di velocità di connessione è stato implementato applicando diversi modelli di separazione delle reti di accesso fra i diversi operatori.

Sono stati inoltre esaminati e discussi i vari modelli di competitività previsti dal Codice europeo delle comunicazioni elettriche e le loro possibili applicazioni al contesto italiano.

In definitiva, i criteri che lo studio suggerisce per il dispiegamento accelerato della banda ultra larga in Italia sono i seguenti.
  • È essenziale la presenza di un operatore completo, cioè capace di gestire non solo la semplice connettività ma anche le nuove infrastrutture di rete necessarie per supportare i servizi evoluti offerti al cliente (cloud, edge, server, ecc.).
  • La separazione della rete di accesso fra diversi operatori non è rilevante, in quanto in nessuno dei Paesi esteri esaminati si è verificato un aumento sostanziale della concorrenza (come indicato dalla quarta figura).
  • È necessario agire per recuperare il grave ritardo delle aree a fallimento di mercato (le cosiddette “aree bianche”) anche con il contributo della finanza pubblica dove ciò sia indispensabile.
  • Il rischio di duplicazione degli investimenti in determinate aree (le cosiddette “aree grigie”) può essere evitato o ridotto senza deprimere la concorrenza adottando il modello competitivo del co-investimento in una delle sue forme possibili (joint venture, accesso reciproco, one-way sharing);
  • La neutralità tecnologica rende più veloce ed omogeneo il dispiegamento delle reti;
  • Si raccomanda di semplificare i vincoli normativi che tuttora frenano il dispiegamento della rete 5G;
  • È da favorire la realizzazione di soluzioni miste fisso-mobile per le reti di accesso;
  • Occorre incentivare la sottoscrizione dei servizi di connettività a banda ultra larga da parte delle famiglie, anche attraverso misure regolamentari;
  • Nell’approccio al cliente occorre favorire soluzioni che favoriscano la transizione tecnologica.

Secondo i calcoli effettuati, nell’arco dei prossimi dieci anni lo sviluppo accelerato della banda ultra larga attuato alla luce di questi criteri produrrebbe ulteriori benefici rispetto allo sviluppo inerziale del Piano BUL, così riassumibili:
  • 12,2 miliardi di Euro di incremento del PIL come effetto diretto del dispiegamento della rete a banda ultra larga;
  • da 1,2 a 6,0 miliardi di Euro (a seconda dello scenario) di risparmio per mancata duplicazione della rete;
  • da 2,0 a 4,7 miliardi di Euro (a seconda dello scenario) di ulteriori benefici non monetari derivanti dal recupero dei “costi del non sviluppo” per le famiglie residenti nelle aree con assenza di connettività.

Lo studio suggerisce poi un certo numero di azioni utili ad accelerare il reale grado di utilizzo della rete a banda ultra larga facilitando anche la relativa transizione tecnologica. Le proposte, che tengono conto anche delle carenze emerse durante il lockdown, sono le seguenti.
  • Portare la fibra ottica in tutte le aule e gli uffici delle strutture educative italiane: si tratta di oltre 57mila istituti scolastici pubblici e privati e di circa 100 università con 1,7 milioni di studenti.
  • Dare al procurement pubblico la possibilità di modificare le forniture contrattualizzate in vista di un miglior utilizzo delle tecnologie disponibili, creando anche in Consip un’unità dedicata a tale valutazione.
  • Dare priorità all’interoperabilità tra le banche dati della Pubblica Amministrazione: a fronte di circa 23 mila Amministrazioni, esistono oggi in Italia circa 11 mila data-center e 160 mila basi dati.
  • Rendere operativo quanto previsto già nel 2011 dalla National e-Health Information Strategy in materia di Centro Unico di Prenotazione, Fascicolo Sanitario Elettronico, Telemedicina, e-Prescription e Certificati telematici. Si ricorda che sul territorio italiano operano 101 Aziende Sanitarie Locali, 25 mila strutture sanitarie pubbliche e private, 44 mila medici generici e 8 mila pediatri di base.
  • Connettere a banda ultra larga tutte le strutture di giurisdizione sia ordinaria (Giudice di pace, Tribunale ordinario, Corte d’Appello, Corte d’Assise, Corte Suprema di Cassazione, Magistratura) che speciale (Consiglio di Stato, Tribunali Amministrativi Regionali, Corte dei Conti, Tribunali militari) per un totale di 136 Tribunali presenti sul territorio nazionale.
  • Lanciare un grande piano di formazione digitale per: gli insegnanti delle scuole primarie e secondarie centrato sull’integrazione del digitale nelle modalità di insegnamento; i medici ed il personale sanitario chiamati ad utilizzare i servizi di teleassistenza e telemedicina; il personale della Giustizia coinvolto nei programmi di estensione della digitalizzazione dei procedimenti giudiziari.
  • Prevedere, per i progetti con cui l’Italia si candida ad ottenere fondi europei, clausole e approcci “digital first”, con il duplice vantaggio di qualificarsi meglio ed aumentare il potenziale di tali progetti in termini di trasformazione digitale.
  • Prevedere incentivi e/o sgravi fiscali per le imprese che attivano percorsi di life-long learning per formare ed aggiornare le competenze digitali dei propri dipendenti.
Le azioni proposte hanno il pregio di essere concretamente e rapidamente realizzabili e la loro attuazione costituirebbe senz'altro un primo decisivo impulso allo sviluppo del processo di trasformazione digitale del nostro Paese. Ma non si può sottacere il fatto che, oggi come oggi, le condizioni di tale sviluppo risultano in Italia fortemente asimmetriche. Mentre infatti lo sviluppo della connettività si può considerare abbastanza in linea con i traguardi della trasformazione digitale, tutti gli altri fattori di base (capitale umano, uso dei servizi internet, integrazione delle tecnologie digitali, servizi pubblici digitali) risultano più o meno fortemente deficitari. È quindi urgente intervenire su di essi definendo ed attuando le opportune strategie di sviluppo. Ma bisogna anche essere consapevoli che questo ancora non basta. Occorre anche perseguire e conseguire l'integrazione di tutti i processi digitali che interessano i cittadini e le aziende. Una condizione necessaria per l'effettivo diffondersi di una "cultura digitale" che consenta di sfruttare appieno i vantaggi offerti dalla tecnologia. 

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