La crescita e la flessibilità
Il tema che da qualche anno agita l’agone politico nazionale, nonché le varie sedute, meeting, tavole più o meno rotonde, consessi comunitari, esperti economici, media ecc. ecc. è la ricerca di combattere la crisi e la stagnazione attraverso la crescita economica.
Edoardo Lazzati
Presidente Federmanager Pavia
Il dibattito si fa vivace e tecnicamente interessante quando le decisioni del Governo si orientano a dare incentivi alle forze sociali più deboli, per incrementare la spesa e quindi i consumi; v’è d’altra parte chi sostiene, con convinzione, ed anche autorevolezza, che la via maestra per la ripresa della crescita è il taglio di un sistema fiscale ormai opprimente e spesso ingiusto che finisce talvolta per punire chi ha sempre pagato tutto e per premiare invece un mondo di evasori piccoli e grandi. Ma, si obietta, con quest’ultima ricetta, si tagliano le entrate e si danneggia un bilancio già in difficoltà.
Esiste peraltro un parere, sostanzialmente condiviso, di prendersela con l’Unione Europea alla quale si chiede maggiore flessibilità; ecco, la parola magica diventa flessibilità, termine pieno di suggestione ed amabile per l’udito: flessibilità è antitesi di rigidità; ma perché l’Europa è così ottusa da non capire un concetto così banale, così semplice; basta la concessione di un punticino o giù di lì di flessibilità per il nostro bilancio per fare ripartire la macchina; così pensano molti.
Ma è davvero così? Intanto cerchiamo di fare un po’ di chiarezza e di chiamare le cose con una terminologia forse meno elegante ma più elementare.
In sostanza si chiede all’Europa di chiudere un occhio sulla mostruosità del nostro debito pubblico e si pretende l’autorizzazione a sforare, nella legge di bilancio, il livello di debito annuale già concordato in precedenza con le strutture comunitarie.
Ma non sono già anni che continuiamo a sostenere questa richiesta?
Infatti il debito pubblico, malgrado i tagli di spesa dichiarati in ogni legge di stabilità, aumenta inesorabilmente; infatti per i primi sei mesi del 2016 la Banca d’Italia ha dichiarato un aumento del debito pubblico di più di ottanta miliardi, a fronte di un piano comunitario, da noi sottoscritto, che prevede una graduale ma continua riduzione del debito pubblico.
Del resto se dal macrosistema Stato si passa al minisistema famiglia, non mi risulta che si sia mai verificato che, ottenendo di aumentare il debito con la banca, una famiglia sia mai riuscita a rimettere in moto il proprio benessere.
Abbiamo già avuto modo di parlare del nostro debito pubblico, come di un mostro, un cancro che si mangia tutte le cellule vive e produttive di benessere, procurando, nel tempo la morte di un Paese.
Eppure questa sembra la preoccupazione minore per la politica del nostro Paese: avete mai visto un qualche convegno, anche modesto, che affronti con chiarezza questo tema? Tanto, pensa la politica, il debito è talmente enorme che si spalmerà su diverse generazioni future, mentre sono le generazioni attuali a votare.
Non si parla più di un piano serio di riduzione della spesa pubblica improduttiva, sono passati come acqua sul marmo ben quattro Commissari per la spending review.
Nessuno, o quasi, dichiara pubblicamente quanti investimenti produttivi di crescita potrebbero avvenire da un serio programma annuo di tagli di spese inutili dello Stato, delle Regioni, delle Provincie (che sono sparite ma sono rinate con il nome di Area Vasta) dei microscopici comuni che non hanno alcun senso se non quello di spendere inutilmente denaro pubblico per alimentare le loro strutture, delle Comunità montane (molte delle quali, soppresse, sono rinate, sotto un’altra etichetta…Terre di …).
E che dire ancora degli sprechi continui che si verificano, specie in alcune Regioni (autonome o meno), nelle aziende municipali, molte delle quali congeniate solo per creare posti di sotto politica e sulle quali, malgrado le dichiarazioni dai Governi Berlusconi in poi, nessuno ha più osato riprendere l’argomento, nel timore certamente comprensibile, di perdere voti nelle clientele troppo spesso presenti in queste numerosissime aziende.
Il nostro Paese è davvero seduto su una montagna di debiti, anche se la BCE di Draghi ci sta dando una mano incredibile a comprare BTP, CCT, BOT e via dicendo; ma fino a quando? Non certo per sempre: e poi quando cambierà Governatore?
In nome di quel popolo italico sempre evocato nelle dichiarazioni dei politici (“il popolo ci chiede”), da piccola formichina di un manager come me, pur sempre popolo, leva il suo impercettibile grido di dolore per la mancanza di volontà di tutta la politica per affrontare il terribile mostro.
Si tratta di un tema per il quale invocare l’unità nazionale; sarebbe davvero opera santa. Oppure no?