Verso un nuovo contratto dei dirigenti?
A neanche due anni di distanza dall’ultimo travagliato rinnovo contrattuale, riprendere a parlare del contratto della categoria può apparire azzardato e fuori tempo.
Giuseppe Colombi
Componente Commissione Sindacale e Consigliere ALDAI
E forse lo è, se la prospettiva è quella che nel prossimo futuro sparisca il contratto nazionale, magari sostituito da un “quadro di riferimento leggero”, a cui, a livello aziendale, affiancare accordi limitati a quel contesto. Esistono elementi per pensare che questa linea di tendenza potrebbe configurarsi a breve. Sarebbe, si permetta allo scrivente un monito inquietante, un altro passo decisivo verso la fine della categoria.
Nella sua “Geografia”, Heindrick Williem van Loon, un grande divulgatore olandese-americano di quasi un secolo fa, definito da Wikipedia “il Piero Angela dei suoi tempi”, dice del nostro Paese:
“Geologicamente parlando, l’Italia è una rovina”. I recenti fatti dell’Appennino Centrale purtroppo confermano l’intuizione di van Loon.
Per quanto ci riguarda, si potrebbe ora parafrasarlo per dire: “Sindacalmente parlando, il contratto dei dirigenti è una rovina”. Vediamo la situazione, e supportiamola con un po’ di numeri:
- i dirigenti attivi continuano a calare di numero di circa un 3-4% annuo;
- le nuove nomine di giovani non sono cresciute, anzi, sono in costante calo, malgrado il suicidio salariale che è stato accettato, proprio "per favorire le nuove nomine", anche con l’abolizione del secondo livello di garanzia: nella fascia 39-44 anni il numero di dirigenti si riduce del 10% annuo;
- di più, siccome si è anche accettato un parallelo suicidio di tutela nei licenziamenti, al punto che le tutele in uscita del dirigente sono peggiorative persino rispetto al jobs act, molti giovani preferiscono rimanere quadri, visto che la dirigenza ormai ha perso quasi tutti i vantaggi.
Ora, non si può certo dire che pochi inascoltati a suo tempo non si fossero sforzati di evidenziare queste problematiche: non sono stati tenuti in considerazione alcuna, coperti di ostracismo, emarginati, sopportati a fatica. A suo tempo Federmanager ha molto lamentato atteggiamenti vessatori della controparte ed ha rilevato che la drammatizzazione costituita dalla disdetta formale del contratto in essere, storicamente, costituiva un “unicum” nella storia delle trattative.
Forse solo i fatti di questo ultimo periodo, gettando una luce sinistra sul livello di crisi in cui versa Confindustria, spiegano che da un interlocutore in queste condizioni ci si poteva aspettare di tutto, e oggi c’è da augurarsi che l’organizzazione imprenditoriale trovi rapidamente una soluzione ai suoi problemi, per il bene di tutti.
Guardando a noi stessi da un punto di vista per così dire ”sociologico”, quando una categoria identifica complessi sistemi di elezione da parte del suo Consiglio Nazionale, questo dovrebbe garantire alla sua Delegazione trattante rappresentatività, capacità negoziale e forte motivazione.
Non è stato così finora: se guardiamo alla sua più recente composizione, nella Delegazione si distinguevano responsabili di risorse umane, anziani colleghi formalmente ancora “in servizio” e persino un vicepresidente provinciale della controparte negoziale. Per non parlare dell’individuazione di determinate professionalità a supporto che sarebbe stato meglio evitare. E chi aveva le competenze, e i numeri (in tutti i sensi…) per negoziare seriamente, non è stato tenuto in considerazione. Per di più, era evidente che determinate esigenze di continuità lavorativa di qualcuno avrebbero potuto influire sull’evoluzione cronologica e sostanziale delle negoziazioni.
Dopo il rinnovo, da parte di alcuni si è scatenata un’interessata azione di difesa del magro risultato ottenuto, con interventi orali e scritti ben oltre il rischio del ridicolo. Ma siccome “Le chiacchiere stanno a zero”, la situazione attuale, sempre che si abbia l’onestà intellettuale e la volontà di leggerla, può mostrare agli occhi di tutti a che punto siamo. Dunque, se si crede ancora alla difesa della categoria, al senso di appartenenza e di orgoglio che dovrebbe caratterizzare i veri dirigenti, se mai continueranno ad esistere, occorre ripartire, qui ed ora, subito.
Con umiltà e determinazione, bisogna che gruppi di colleghi riprendano a “studiare” il testo contrattuale e, sulla base di pochi principi, facciano crescere dal basso e condividano elementi essenziali da porre come cardini di un futuro accordo nazionale, che sappia rimotivare le persone. Elementi che poi, sono quelli di sempre, perché, con buona pace di chi si pensa moderno ed innovatore quando solo non conosce (e quindi disprezza) il pregresso, è difficile inventare cose davvero innovative: e gli elementi di continuità con i primi dirigenti del dopoguerra non sono certo inferiori agli elementi di differenziazione da loro.
Anche senza scatenare rivendicazioni salariali, che sarebbero tanto giustificate quanto poco proponibili nel permanere della situazione attuale, concentrandosi semplicemente sulla tutela dei colleghi in difficoltà lavorativa, sforzandosi di mettere in atto strumenti efficaci di tutela materiale della loro vita, introducendo limiti allo smontaggio indiscriminato delle strutture aziendali, riproponendo condizioni di miglior favore nelle indennità di uscita dei dirigenti, c’è lo spazio più ampio per riguadagnare prima di tutto credibilità.
Perché forse, se ne convincano quei personaggini che, nella speranza di conservare il loro strapuntino nella pletorica organizzazione federale, sono disposti ad avallare anche il più inaccettabile compromesso, la credibilità è proprio l’elemento che è mancato nelle vicende contrattuali più recenti. Una delegazione negoziale trasmette agli interlocutori messaggi a vari livelli, ed è percettibile se si presenta supportata da un lavoro autorevole, condiviso e forte.
A Milano di recente, con la richiesta unanime del Consiglio ad una collega seria, esperta e credibile di far parte della delegazione negoziale, forse ci siamo messi su questa strada, mentre qualche volonteroso collega in servizio ha cominciato a riunirsi e a prefigurare scenari. Si tratta di segnali modesti ma molto importanti che andrebbero colti e resi centrali: è importante che non rimangano mera espressione di una “Vox clamantis in deserto”.