Funzione sociale delle innovazioni

Nel realizzare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), non si tratta di innovare per innovare, ma per contribuire alla soluzione dei grandi problemi del nostro tempo: problemi sociali, ambientali, economici

Antonio Dentato   

Componente Sezione Pensionati Assidifer - Federmanager
Singolarmente, ma anche attraverso altri termini affini ed espressioni esplicative, la parola “innovazione/innovazioni” è la più ripetuta nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Innovare: come? perché? Perché innovare è bello? Per vedere come funzionano le nuove tecnologie, e l’effetto che fanno? A guardare bene, sembra che il termine “innovazione/innovazioni”, questa volta, debba assumere un senso nuovo e prendere un indirizzo ben preciso. 
Si legge nel PNRR: “La digitalizzazione e l’innovazione di processi, prodotti e servizi rappresentano un fattore determinante della trasformazione del Paese e devono caratterizzare ogni politica di riforma del Piano”. Obiettivo che allo stesso modo si declina anche in Horizon Europe, il Programma Quadro Europeo per la Ricerca e l’Innovazione per il periodo 2021-2027. Budget di circa 95,5 miliardi di euro (vedi fig. n. 1). Il più ambizioso programma di ricerca e innovazione di sempre, finanziato dal tradizionale bilancio comune europeo e dal nuovo Recovery Instrumentum, Next Generation EU. [(Cfr. Horizon Europe, European Commission proposals Brussels, 3 March 2021 (OR. en) 7064/20; versohorizoneurope.it)]

Il nuovo significato di innovazione 

Qui si tratta però di andare ancor più nello specifico. Si tratta non di innovare per innovare, ma per partecipare alla soluzione dei grandi problemi del nostro tempo: problemi sociali, ambientali, economici. Guardiamo alle rivelazioni esplose durante questa crisi sanitaria da Covid-19. In particolare, guardiamo alle conseguenze che ne sono derivate sul piano economico e sociale, sul piano dei rapporti tra le persone e anche nell’ambito dei rapporti tra imprese, e all’interno di queste. Guardiamo agli sforzi che queste hanno prodotto per mandare avanti le produzioni e far vivere il Paese. Guardiamo alle categorie di personale di cui abbiamo avuto e continuiamo ad avere più bisogno: personale che ha affrontato e affronta il virus in prima persona e che, nonostante i rischi del contagio, si prodiga al di là del dovere, con grande solidarietà umana, pagando, a volte, con la vita. Diciamo degli operatori sanitari (medici, infermieri, assistenti), ricercatori, addetti ai trasporti di tutte le modalità, operatori ecologici, agenti addetti alla protezione collettiva, personale di assistenza nelle strutture per anziani, assistenti di persone fragili, affette da dipendenze. Fornitori alimentari e della ristorazione. E il personale della scuola? Pur nei limiti del “confinamento” ha mantenuto i contatti coi giovani, assicurando continuità formativa. E l’elenco è solo parziale, ove si considerino le tante persone che, senza apparire, hanno fatto da supporto a una società scossa, impaurita. Ne scopriremo di storie! Vogliamo riconoscere a queste persone i loro meriti, le loro attitudini, i sacrifici fatti? Ecco, quando parliamo di innovazione nel senso scritto nel PNRR e in Horizon Europe, oltre a darle senso con un tangibile riconoscimento in termini retributivi, la parola deve avere un significato più ricco, continuativo nell’applicazione: l’introduzione di nuove tecnologie e modifiche in termini di nuovi modelli organizzativi del lavoro, formazione continua dei lavoratori, operazioni meno stressanti, meno gravosi, nuove protezioni per la salute. Più ampio diventa il discorso se, al di là della crisi sanitaria in atto, guardiamo all’altra crisi indotta da una crescita economica sviluppatasi pressoché senza controllo. Al riguardo le innovazioni dovranno tener conto dei “perdenti”; e dare una prospettiva anche al loro avvenire. Uomini e cose. Famiglie colpite da malattie, aree rurali desertificate, produzioni agricole abbandonate, falde acquifere avvelenate, mari, fiumi, laghi inquinati; e quartieri urbani irriconoscibili. Innovare qui significa risarcire dei danni provocati; significa, riqualificare e dare servizi, restituire un ambiente vivibile. Colmare i divari in tutte le forme consolidatesi nel tempo: territoriali, generazionali, culturali, economici... La pandemia ci ha mostrato l’ampiezza dei problemi irrisolti della nostra società. E, pertanto, le innovazioni devono costituire opportunità, come si legge più innanzi nel Piano. L’OCSE, a sua volta, nel Rapporto Going for Growth 2021 raccomanda all’Italia: “Produttività ed innovazione devono aumentare nelle piccole e medie imprese, in uno sforzo di allineamento alle imprese più performanti”. Sei anni di opportunità e di sfide, dal 2021 al 2026, per riprendere un percorso di crescita economica sostenibile e duratura, ma anche per intensificare gli sforzi nel contrasto alla povertà, all’esclusione sociale; e, guardando più oltre, aggiungiamo, per sostenere quelle innovazioni che risolvano problemi di disabilità, di fragilità legati all’età; che aiutino la ricerca nelle patologie, anche di quelle più rare, con nuova disponibilità finanziaria. E questo non vale solo per le attività e i progetti che la mano pubblica mette in campo, che, per intrinseca natura, hanno funzione sociale, ma anche per le iniziative che saranno intraprese nell’economia privata. Certo, chi investe avrà diritto al suo tornaconto, a incassare l’utile prodotto dalla sua opera; avrà diritto di essere ripagato delle responsabilità e dei rischi di cui si fa carico. Ma la partecipazione all’innovazione, anche nel settore privato, deve proporsi una funzione sociale, che accompagni quella pubblica. In effetti l’altro termine, altrettanto ricorrente nel PNRR, è: “sociale”. Una maggiore evidenza di quest’aspetto dovrà essere, a nostro avviso, la qualificazione di opere e servizi finanziati coi fondi che vengono dal Piano. Chiariamo.

Spunti di riflessione

Attività e opere, in quanto sovvenzionate con risorse provenienti dal bilancio comunitario, e quindi coi soldi non solo dei contribuenti italiani ma, addirittura, dei contribuenti di tutti i Paesi UE, proprio a motivo della provenienza delle risorse, non potranno essere finalizzate che a una funzione sociale. Non solo per questo, che sarebbe già motivo sufficiente, ma, a nostro avviso, anche in ragione di principi più alti. Non scopriamo niente di nuovo. Riteniamo che quei principi vadano individuati nell'evoluzione storica dei lavori preparatori svolti dai Padri costituenti. Questi assegnarono alla legge il compito di indirizzare e coordinare l’attività economica pubblica e privata “a fini sociali”, (Cost. Art. 41, co. 2). Fini che si ritrovano in stretto coordinamento con la “funzione sociale” assegnata alla proprietà privata (Cost. Art. 42, co. 2) che va intesa, qui, non con riferimento ai beni di consumo o beni destinati a una utilizzazione strettamente individualistica, e come tale tutelata dalla Costituzione, ma alla “proprietà” in termini di “beni produttivi”, potenzialmente idonei a produrre beni e servizi di utilità sociale. 
Letti congiuntamente i due articoli appena citati rivelano il compromesso raggiunto dalle tre grandi correnti ideologiche che si fronteggiarono in Assemblea costituente: la corrente marxista, la cattolica e la liberale. (Cfr. La costituzione italiana - testo storico con i lavori preparatori, pref. V.E. Orlando, Biblioteca Camera dei Deputati,1949). Si tratta perciò di valorizzare quei principi cui furono ispirate le norme costituzionali appena dette. Non riprenderemo, per ovvi motivi di spazio, tutto il dibattito in materia, successivo alla Costituente. Sicuramente però la dottrina giuridica saprà guidarci alla migliore comprensione degli indirizzi che emergono dalla Costituzione in ordine all’attività economica, reinterpretati secondo i principi (o “doveri”) di solidarietà dell’UE; principi attivati con misure concrete in situazione “di calamità naturale o provocata dall’uomo”. (V. Art. 222, clausola di solidarietà, Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, versione consolidata). Per parte nostra vogliamo solo evidenziare i necessari mutamenti di prospettiva delle politiche innovative a fronte della “calamità” pandemica che stiamo vivendo. Non cambi epocali: si tratta solo di andare oltre le disposizioni particolari che regolano: a) l’iniziativa economica privata in rapporto alla responsabilità sociale di impresa e b) il diritto di proprietà in ordine alla sua funzione sociale. Quanto alla prima (a), va tenuto conto delle disposizioni più flessibili in materia di aiuti di Stato a seguito della pandemia. [(Cfr. Temporary framework for State aid measures to support the economy in the current COVID-19 outbreak - COM 2020/C 91 I/01; e altre,  a partire dalla Comunicazione (2021/C 153/01)]. E, pertanto, andranno reinterpretate le precedenti norme restrittive in materia. Quanto al complesso normativo che dispone sulla proprietà (b), va tenuto conto che si tratta di norme emanate prima dell’entrata in vigore della Costituzione e, d’altra parte, anche prima della «spinta»  data  dal diritto europeo. Va appena ricordato che l'art. 1 Prot. 1 allegato alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (C.E.D.U) posto a difesa della proprietà privata apre, tuttavia, “al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale…” e l’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 2 dicembre del 2000, confermando anch’essa l’intangibilità del diritto di proprietà, dispone comunque che “l’uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti dall’interesse generale”. Nozione che evolve allo stesso modo che evolve il diritto comunitario. Questo non guarda tanto alla forma delle leggi quanto, piuttosto, alla sostanza. E la sostanza, ora, sta negli eventi che stiamo vivendo e nella visione solidaristica che caratterizzano i mutati orientamenti politici dell’UE. Rispetto a questi fatti, riteniamo che la “proprietà”, nel senso di “beni produttivi” o “strumentali” come sopra precisato, sarà sempre più indirizzata verso beni e servizi qualificati dalla “funzione sociale”. Concezione che, nel nostro Paese, recupera quella che fu già nel richiamato dibattito dei nostri Padri costituenti. Lo stesso discorso vale per l’iniziativa economica privata. 

“Un piano ambizioso e lungimirante” ha detto la Presidente Ursula von der Leyen consegnando il PNRR, ormai approvato anche in sede UE, al Capo del Governo italiano Mario Draghi a Roma, sul set di Cinecittà (22 giugno 2021). Un piano articolato in sei Missioni (M), finanziato dalle risorse del PNRR cui si aggiungono quelle rese disponibili dal REACT-EU (Recovery Assistance for Cohesion and the Territories of Europe, Pacchetto di assistenza alla ripresa per la coesione e i territori d'Europa da spendere negli anni 2021-2023) nonché quelle derivanti dalla programmazione nazionale aggiuntiva (Fondo complementare) (vedi fig. n. 2). Ora sarà la capacità della politica e dei relativi operatori a disporre strumenti perché il Piano venga attuato “in maniera efficiente, efficace, ma anche con onestà" ha detto Draghi; sta alla loro attitudine dare forma alle ambizioni e alle lungimiranza del Piano; sta alla loro sensibilità e alla prefigurazione che intendono dare al futuro del Paese fornire gli strumenti necessari perché le “innovazioni” siano qualificate dalla “funzione sociale”. Capacità e sensibilità che, in maniera più immediata, dovrebbero concretizzarsi, come pure si legge nelle indicazioni in materia, in due specifiche modalità: 
  1. fissare un quadro normativo nel quale gli operatori privati, le imprese complessivamente, trovino conveniente investire nelle “innovazioni” tecnologiche e ambientali, per i vantaggi fiscali o bancari che, ad esempio, ne ricavano, ma che assicurino anche utilità collettive; 
  2. inserire in tutti i bandi emanati dallo Stato e dalle sue articolazioni, per la fornitura di servizi e realizzazione di opere, clausole che privilegino la migliore organizzazione e sicurezza del lavoro, le tecnologie più avanzate, rispettose dell’ambiente, che preservino la biodiversità, la qualità dell’acqua e del suolo, siano conformi alla tutela dei siti archeologici, storici, culturali del nostro Paese.

Un impegno collettivo

La qualificazione che i nuovi progetti di ricerca e di innovazione avranno dal punto di vista della funzione sociale potrà essere la vera innovazione, dopo tre anni di preparazione del nuovo programma europeo Horizon Europe e dopo la messa a disposizione di ingenti risorse finanziarie nel PNRR. Vigilare perché questo accada è un impegno che non appartiene solo alle pubbliche Istituzioni, bensì ai cittadini, singoli e come collettività. È un impegno che discende, anche questo, dai principi di solidarietà economica e sociale di cui è permeata la nostra Costituzione, in costante evoluzione interpretativa

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