Organizzazioni digitali per una società liquida

Il cambio di prospettiva è sempre più necessario perché il lavoro sia una leva del progresso.

Nicolò Boggian 

Managing Partner, Black Tie Professional  www.digitalworkcity.com
Il Guardian ha pubblicato un’inchiesta interessante su Google in cui dichiara come l’azienda abbia volutamente ritardato di ottemperare alla normativa sull’equità retributiva, e parliamo di decine di migliaia di persone nel mondo.

La questione dell’equità retributiva, che spesso viene associata alle piattaforme e alle aziende tech, vista la loro natura globale e il tradizionale clamore che le circonda(1), è il sintomo di un problema più generale che sia le aziende tradizionali(2), che i nuovi ecosistemi digitali, non sono ancora riusciti ad affrontare con successo:

In poche parole le organizzazioni sono più lente della società e una società digitale richiede delle organizzazioni “digitali”.

Iniziamo a capire meglio il perché facendo tre considerazioni che allargano il focus rispetto a quanto segnalato dal Guardian:

Il primo punto riguarda le cause e i meccanismi che alimentano la disuguaglianza di trattamento da parte delle organizzazioni. La mia ipotesi è che le aziende in quanto sistemi organizzativi, strutturalmente, e in alcuni casi volutamente, allocano risorse avvantaggiando chi le governa.  In questo modo danneggiano i propri azionisti, una categoria particolare di lavoratori(3) e il mercato del lavoro nel complesso, e di conseguenza economia generale-vedi potere d’acquisto etc. 
Perché succede ? 
È un tema complesso ma sicuramente si mescolano vari fattori fra cui l’azzardo morale, barriere cognitive e organizzative(4)  e infine incentivi legali e diritto del lavoro internazionale(5)

In sostanza, volendo iper semplificare la questione, le aziende in una società digitale (o liquida come la definirebbe Baumann) dovrebbero idealmente riorganizzarsi costantemente per accordare competenze, motivazioni e risorse a bisogni interni ed esterni così da migliorare la capacità di risolvere problemi e liberare spazio per un ulteriore crescita. 

Viceversa devono fare i conti con una serie di barriere a questa continua riorganizzazione. 
Queste barriere derivano da interessi personali ( il mio interesse non è del tutto allineato a quello dell’azienda), da limiti cognitivi ( non so che c’è un modo migliore di fare quello che sto facendo) organizzativi ( non voglio che il cambiamento renda instabile e faticoso quello che ho imparato a fare finora) e legislativi ( non posso riorganizzare perché violerei dei contratti o delle leggi). 

Il risultato di queste barriere è un danno per chi finanzia l’azienda, per il cliente che compra i prodotti, per la società in generale e per tutti i lavoratori che potrebbero partecipare a nuove configurazioni dell’organizzazione che invece non avvengono.

Secondo punto da considerare: la retribuzione non è il solo elemento che contribuisce alle condizioni e opportunità dei lavoratori. Altri sono la formazione, la libertà di scegliere gli orari e gli spazi di lavoro, l’accesso ai dati , la qualità delle relazioni , i benefit, le esperienza maturate etc. 

In sostanza lo svantaggio dei lavoratori alla periferia dell’organizzazione è probabilmente ancora più ampio della semplice differenza di retribuzione ma include una serie di fattori che in sostanza conducono queste persone ad una sorta di intrappolamento in una casta di svantaggiati. 

Terzo punto: questa disfunzione organizzativa o imperativo istituzionale(6) non solo danneggia alcuni lavoratori ma deforma in modo profondo la stessa capacità delle organizzazioni di svolgere con efficacia la propria mission. In sostanza parte del funzionamento dell’organizzazione è dedicato alla propria conservazione e alla distribuzione iniqua dei benefici di appartenenza e non allo svolgere un ruolo positivo nei confronti dei propri azionisti e della società nel complesso. 

Questa resistenza si manifesta anche nei confronti delle proposte di innovazione e sfocia occasionalmente in attività di lobby volte a garantirsi delle rendite di posizione.

La rilevanza di questo fenomeno può essere anche molto elevata arrivando a degli estremi in cui il contributo netto dell’organizzazione alla società diventa negativo(7). Il tema non riguarda quindi solo la discriminazione dei lavoratori che è invece solo una degli aspetti in cui si traduce il funzionamento non ottimale delle organizzazioni.

Cosa fare dunque per limitare o risolvere questo problema in modo strutturale?

Iniziamo con alcune annotazioni:
  1. Le stesse organizzazioni, seppur straordinarie come Google, hanno difficoltà a porre rimedio perché il sistema si regge su rendite di posizione e di conseguenza intervenire significa in qualche modo danneggiare gli interessi di chi partecipa alla catena gerarchica.
  2. Secondariamente molti executive, le istituzioni, l’opinione pubblica non si rendono del tutto conto del problema o lo ritengono poco importante sovrastimando le problematiche etiche nel comportamento di manager, politici, società e imprenditori(8)
  3. Con l’evoluzione del lavoro ( digitale, immateriale , transnazionale ) e della società, il problema non sembra potersi risolvere da solo ma anzi aumenta il divario fra la crescente la complessità  della realtà  ( dimensione internazionale delle organizzazioni , maggior del peso degli Stati come datori di lavoro(9), nuove istanze di chi lavora, rallentamento della produttività del lavoro) e la rigidità delle organizzazioni tradizionali.
  4. Per ogni rigidità organizzativa formale si creano altrettante flessibilità informali, da cui nascono gli ecosistemi digitali ( vedi marketplace, piattaforme di lavoratori ect). Infatti la richiesta di cambiamento richiesta dal contesto in qualche modo deve trovare una risposta. 
  5. La tecnologia oggi in possesso e le nuove esigenze dei lavoratori per la prima volta ci offrono la possibilità di risolvere questo problema in modo strutturale, conciliando continuità aziendale con innovazione e inclusione.

Il punto è quindi far funzionare bene le organizzazioni in questo nuovo contesto favorendone la libertà e il dinamismo e prendendo contemporaneamente il buono degli ecosistemi digitali ( inclusione, flessibilità, produttività) e delle organizzazioni tradizionali ( stabilità, tutele).

La soluzione ad un tema così complesso non può essere indicata in poche righe, ma possiamo indicare qualche punto utile a modificare le organizzazioni:
  • rendere evidenti alcuni bias nel reclutamento (assumo non il migliore ma il più vicino ad un ruolo)
  • semplificare percorsi non tradizionali ( da impiegato a imprenditore, da mono a pluri committente, da imprenditore a consulente, da startupper a impiegato)
  • eliminare incentivi negativi ( es. uguale costo per contrattualizzare lavoratori in paesi diversi) 
  • favorire la contendibilità dei ruoli ( vedi attività a tempo come i progetti )
  • distribuire deleghe, servizi e informazioni qualificate dal centro alla periferia delle organizzazioni ( formazione, delega a cercare collaboratori, strumenti di analisi dei dati)
  • rivedere la regolazione del lavoro in modo da consentire la riorganizzazione continua senza togliere tutele a chi lavora
  • analizzare la natura dei rapporti di lavoro alla luce dei cambiamenti tecnologici in atto per definire cosa crea valore e come. 

La tecnologia oggi ci impone una maggiore velocità di cambiamento ma allo stesso tempo ci offre la possibilità di una straordinaria evoluzione nel modo in cui lavoriamo, allineando meglio le necessità delle organizzazioni, degli individui e della società nel complesso(10).

Compito delle organizzazioni è quindi di andare veloci quanto la società che le circonda. Se lo sapranno fare potranno dare sicurezza a tutti (oltre a mettere in sicurezza se stesse), se non lo faranno tutta la società soffrirà di uno scarso dinamismo, di una mancanza di innovazione e di una scarsità di tutele. 

Un cambio di prospettiva sempre più necessario perché il lavoro sia un alleato e non un freno del progresso. 

Note:
  1. Lo stesso meccanismo caratterizza generalmente anche le piccole organizzazioni o quelle in settori tradizionali
  2. Si legga su questo punto Humanocracy di Gary Hamel e Michele Zanini
  3. Giovani , donne , lavoratori espulsi da altre organizzazioni ‘fallite”
  4. Non sempre gli executive hanno informazioni sufficienti o leve organizzative che includono la contingent workforce nelle scelte di allocazione del budget
  5. Oggi è molto più semplice contrattualizzare un freelance con IVA che non un lavoratore subordinato a tempo parziale o in modo discontinuo a causa della non sufficiente cooperazione fra stati nel diritto del lavoro
  6. Così definito nella lettera di Warren Buffet del 1989 agli investitori di BH (https://www.berkshirehathaway.com/letters/1989.html).
  7. Non è chiaramente il caso di Google, Si immagini un monopolio che scarica sovra costi sulla collettività per mantenere una casta di mandarini   Si veda anche Acemoglu sulle realtà estrattive. 
  8. Interessante sarebbe il contributo dei sindacati anche se spesso sembra siano più interessati a mantenere i privilegi di posizione di alcuni più che aprire ad un modello più equo per tutti.
  9. Questi governano una burocrazia altamente conservativa e organizzazioni non così evolute
  10. Aziende cercano flessibilità, produttività e innovazione, individui libertà e tutele, società dinamismo e stabilità
Archivio storico dei numeri di DIRIGENTI INDUSTRIA in pdf da scaricare, a partire da Gennaio 2013.