Gestire, innovare, crescere
La sinergia tra PMI e managerialità rappresenta la chiave di volta attraverso cui il Sistema Paese può non solo reggere l’impatto della rivoluzione in atto, ma anche cavalcarne l’onda per riaffermare l’eccellenza della nostra manifattura.
Mario Cardoni
Direttore Federmanager
L’effetto virtuoso si realizza nel 70% delle PMI che hanno in organico, in media, 4 figure manageriali dedicate ai diversi aspetti della vita d’impresa: dalla gestione alla produzione, i manager sono in grado di garantire alle loro aziende risultati in termini di crescita, sviluppo, organizzazione e fatturato.
Il nostro Paese ha ancora pochi grandi player industriali in grado di guidare la trasformazione dell’industria manifatturiera italiana, ma ha altri punti di forza: dovranno essere le aziende leader di media o medio-grande dimensione, presenti prevalentemente nei distretti industriali, a guidare e coordinare il processo evolutivo delle catene del valore della filiera. Abbiamo oltre 900 prodotti in cui siamo sul podio a livello mondiale su circa 5.000, e per 235 di questi siamo leader perché sono di qualità ed esprimono la cultura e la storia del nostro Paese. Ma ampie aree del Paese rischiano di rimanere distanti e progressivamente marginalizzate.
Se ci confrontiamo con la Germania, vantiamo un numero doppio di imprese (3,8 ml v/so 2,1 ml) che danno lavoro a circa 10 milioni in meno di persone ( 15,2 ml v/so 24,7 ml)). Il 94,6% sono aziende micro, con meno di 10 dipendenti. Questo segmento è il nostro tallone d’Achille e i rischi di impatto sono altissimi, se il processo non viene accompagnato con i modi e i tempi necessari. La dimensione delle nostre imprese è diventata ormai una criticità e lo sarà sempre di più in futuro perché incide negativamente su due componenti sempre più strategiche per essere competitivi nell’era della globalizzazione: il tasso degli investimenti in conoscenza (R&S, capitale umano, IT), e la presenza su mercati esteri.
Esiste poi una propensione tutta italiana all’autoimprenditorialità, che deve essere fatta emergere maggiormente e che favorisce la nascita di start up o di imprese innovative attraverso la sintesi tra le due generazioni. In sostanza, sussiste un “problem setting” da considerare: un Paese in grado di offrire maggiori opportunità ai tanti giovani talenti che oggi scelgono altri Paesi in cui costruire il proprio futuro.
Il capitale umano è la nostra vera forza, l’eccessiva frammentazione del tessuto produttivo è la nostra debolezza e ciò richiede una nostra via per Industria 4.0 che deve saper coniugare il valore della persona, il nostro saper fare, con l’innovazione, ponendo quest’ultima al servizio della prima e non viceversa.
Dobbiamo costruire un modello basato sulla complementarietà in cui la diffusione della cultura digitale avviene sia lungo la filiera delle nostre aziende player nazionali o di distretto, sia attraverso la realizzazione di piattaforme di competenze locali adeguate da mettere in connessione tra loro con altre reti cognitive globali.
Tra i 5 pilastri individuati dal Piano Industria 4.0 varato dal Mise (Governance, infrastrutture abilitanti, formazione per le competenze digitali, sistema di istruzione e centri di eccellenza di ricerca scientifica e tecnologica e, infine, open innovation per imparare a gestire i dati e a usare l’Internet of Thing), il tema centrale è quello della formazione delle competenze.
È di tutta evidenza che bisogna innanzitutto aumentare la consapevolezza degli imprenditori rispetto a questa opportunità, per consentire gli sviluppi in tecnologie per valorizzare le imprese.
È da questa necessità che ha preso spunto l’indagine condotta da G&G Associated per Federmanager che ha voluto analizzare se e in che misura le PMI stiano recependo questo messaggio e in che modo si stiano attrezzando per affrontare il cambiamento attraverso l’innovazione.
Nell’ambito di un campione rappresentativo dell’universo PMI del manifatturiero italiano – al netto delle micro imprese -, 7 aziende su 10 sono a conoscenza di Industria 4.0, con quasi il 90% degli intervistati che dichiara di aver avviato nell’ultimo anno una o più attività per affrontare questo cambiamento.
Si tratta di misure in formazione (82,1%), ricerca (57,9%), assunzione di nuove figure professionali (42,6%) e poi investimenti in infrastrutture di rete (35,3%), comunicazione digitale (31,6%) e in reti di impresa (15,3%).
Infine il 65% delle aziende intervistate è consapevole che la sfida dell’innovazione e della competitività su scenari globali si vince con figure manageriali in grado di gestire il cambiamento.
La formazione ritorna ai primi posti quando si parla di interventi da avviare nell’immediato futuro, a prescindere che il focus sia orientato all’innovazione, alla competitività o all’essere 4.0. Stessa chiave di lettura per gli investimenti in ricerca e sviluppo, che vengono prima della formazione se l’obiettivo è rappresentato da competitività e innovazione.
Manager e ricercatori, quindi, si confermano i veri driver del cambiamento. Ricerca e capacità di trasformare l’innovazione che nasce dalla ricerca attraverso una maggiore presenza di competenze manageriali nelle imprese, sono i cardini del modello Industry 4.0 che dobbiamo adottare e che dovrà estendersi anche al segmento delle imprese più piccole per favorirne una crescita evolutiva ed evitare di gestire una discontinuità da cui se ne salverebbero poche.
01 maggio 2017