Donne al timone per la ripresa del Paese

L’analisi del gender gap per nuovi orizzonti manageriali

L’Osservatorio 4.Manager ha valorizzato i risultati emersi dai rapporti biennali sulla situazione del personale maschile e femminile (2018/19) redatti dalle imprese e quelli delle best practice individuate anche attraverso interviste a 147 donne manager e imprenditrici della Community “Think4WomenManagerNetwork”. Dalla ricerca emerge un divario numerico, remunerativo e di collocazione nella gerarchia tra lavoratori e lavoratrici che occupano posizioni manageriali che la crisi pandemica probabilmente accentuerà.

L’entità del divario di genere

Alla presentazione dell’ultimo rapporto EIGE, European Institute for Gender Equality, la direttrice Carlien Scheele, commentando i lenti progressi in materia di parità di genere, ha posto la domanda: "Proseguendo a questo ritmo, possiamo permetterci di tollerare per altri 60 anni l’attuale divario di genere?"

I dati dell’agenzia europea EIGE dovrebbero essere presi in considerazione soprattutto da noi italiani perché mostrano tante luci, ma ancora molte ombre. I progressi delle donne italiane sono evidenti: tra il 1977 e il 2018 il tasso di occupazione femminile, (dati ISTAT 2020), è aumentato di 16 punti percentuali (dal 33,5 al 49,5%); nel 2010 il Gender Equality Index era 53,3/100, contro una media europea di 63,8/100, nel 2020 è balzato a 63,5/100, circa quattro punti meno della media dell’Unione (67,9/100). Inoltre, l'Italia ha conseguito un progresso verso la parità di genere a un ritmo più sostenuto rispetto a molti Stati membri: tra il 2010 e il 2020 la sua posizione in classifica è passata dal 22° al 14° posto. Ma il tasso di occupazione equivalente a tempo pieno, che tiene conto della maggiore incidenza dell’occupazione a tempo parziale delle donne e della durata della vita lavorativa, colloca l’Italia all’ultimo posto della graduatoria europea con 31 punti, contro 59 della Svezia e 41 della media europea. Anche l’indicatore sintetico EIGE sul lavoro attribuisce all’Italia il peggior punteggio europeo (63/100) contro una media EU28 di 72/100.
A rendere complessa la situazione contribuiscono una serie di fenomeni che caratterizzano la nostra società:
  • La profonda differenza territoriale: nel 2018 aveva un’occupazione il 32% delle donne meridionali contro il 60% delle donne del Nord;
  • La “segregazione” che caratterizza il nostro sistema educativo e produttivo, ovvero la concentrazione di donne in determinate aree o lavori e la scarsa possibilità di passare da un ambito lavorativo all’altro.
Anche in termini culturali è evidente il divario tra l’Italia e il resto dell’Unione; l’Eurobarometro rileva che la promozione dell’uguaglianza di genere è fondamentale per circa un quarto degli italiani, rispetto al 54% a livello europeo e all’84% degli svedesi.

Questi e altri studi mostrano quanto gli stereotipi sull’immagine delle donne siano ancora radicati nel nostro Paese, soprattutto sulla percezione del ruolo della donna nell’ambito della famiglia, del lavoro retribuito e non retribuito.

Digitalizzazione

Anche i dati EIGE sulla “Digitalizzazione nel mondo del lavoro” ci collocano in fondo alla classifica europea:
  • Nel 2019 il 10% delle donne hanno effettuato formazione sulle competenze digitali contro il 12% degli uomini (UE 18% delle donne e 22% degli uomini);
  • Gli italiani con competenze digitali oltre quelle di base è del 19% per le donne e 25% per gli uomini (UE 31% per le donne e 36% per gli uomini);
  • La quota di donne laureate in ICT nel 2018 è del 21% in Italia e 20% UE, nettamente inferiore alla maschile che supera il 79% in entrambi i casi;
  • Le donne che lavorano in ambito ICT sono il 27% in Italia contro il 37% in UE; differenza minore per gli uomini con il 37% in Italia e il 42% in UE.

La scarsa valorizzazione del capitale umano femminile, alimenta rischi per il nostro benessere economico e sociale. I tassi di occupazione delle donne all’uscita dagli studi e la probabilità di occupare posizioni lavorative adeguata al percorso formativo conseguito è inferiore a quella degli uomini. A quattro anni dal raggiungimento di un titolo universitario di primo livello, svolgono una professione coerente al loro livello di istruzione il 67% delle donne, contro il 79% degli uomini; per i laureati di secondo livello il divario si riduce a 2 punti percentuali. Il divario si manifesta anche nel livello di reddito: a tre anni dal conseguimento del titolo di studio il gap è di 233 € per i laureati di primo livello e di 275 € per quelli di secondo livello. Vi è ampio consenso nel ritenere che se la partecipazione femminile raggiungesse i livelli di quella maschile ne conseguirebbe una notevole espansione PIL.

Madri lavoratrici

Le donne lavoratrici italiane subiscono una forte perdita salariale con la maternità: l’INPS stima che a seguito della nascita di un figlio la perdita reddituale sia del 35% nei due anni che seguono il parto e del 10% negli anni successivi. Inoltre, il tasso di occupazione degli uomini di 25-54 anni con figli conviventi è dell’89% mentre quello delle madri nella stessa fascia d’età è del 57% e si abbassa al 53% con figli in età prescolare.

Le scelte lavorative e le difficoltà che le donne italiane devono affrontare alla nascita di un figlio contribuiscono maggiormente alle asimmetrie di genere nel nostro mercato del lavoro. L’INPS ha stimato che a quindici anni dalla maternità:
  • I salari lordi annuali delle madri sono inferiori di 5.700 € a quelli delle donne senza figli;
  • I contratti part-time delle donne con figli è quasi tripla rispetto alle donne senza figli.
La perdita nei salari delle madri dalla nascita di un figlio è pari al 53%, di cui 6% dovuto alla riduzione del salario settimanale, 11,5% dovuto al part-time e 35,1% per il minore numero di settimane retribuite.

Il divario retributivo di genere è un fenomeno complesso che colpisce soprattutto le professioni manageriali anche in altri paesi europei, a causa di:
  • Segregazione settoriale: circa un terzo del divario retributivo di genere è spiegato dalla presenza femminile in settori a bassa remunerazione, mentre nei settori meglio retribuiti (tecnologia, ingegneria, finanza, ecc.) prevale la percentuale di uomini.
  • Equilibrio tra lavoro e vita privata: in media le donne lavorano complessivamente più degli uomini, ma le ore di lavoro retribuito sono inferiori rispetto agli uomini, mentre superiori agli uomini sono le ore di lavoro non retribuito.
  • Il soffitto di vetro: in Europa meno del 10% degli amministratori delegati delle principali aziende sono donne.

L'impatto della pandemia

La crisi pandemica sta mettendo a rischio le conquiste degli ultimi decenni sulle asimmetrie di genere; i primi dati indicano che i posti di lavoro perduti nei mesi di pandemia erano occupati in quota maggiore dalle donne e in particolare da donne con figli. Questo fenomeno si spiega sia perché la crisi sta colpendo soprattutto settori produttivi ad ampia partecipazione femminile, sia perché i settori che stanno reagendo meglio alla crisi sono caratterizzati da un’ampia presenza maschile (ad esempio, solo 2 donne su 10 sono attive nel campo dello sviluppo di nuove tecnologie); l’INAPP ha recentemente rilevato la crescita dell’abbandono del lavoro delle donne come “scelta familiare” per la prevalente gestione femminile della cura di figli e anziani durante la pandemia. Il 90% delle donne ha utilizzato interamente il congedo Covid19 e solo l’8% ha diviso i giorni con il partner. La penalizzazione delle donne causata dalla pandemia non è omogenea ma è amplificata da altre asimmetrie che la pandemia sta ulteriormente dilatando: quella tra Nord e Sud; tra aree centrali e aree interne; tra grandi e piccoli comuni.

La leadership al femminile

Le difficoltà che le donne incontrano nel raggiungere posizioni di leadership sono diffuse in tutti i settori della vita sociale ed economica e il nostro Paese primeggia tra quelli europei con ampi margini di miglioramento.
L’INPS (2019) indica che in Italia su 605mila posizioni manageriali solo 168mila sono affidate a donne (28%). Tale quota si riduce al 18% se si considerano le posizioni lavorative dirigenziali; su circa 123mila dirigenti italiani, le donne sono poco più di 22mila, una percentuale cresciuta negli ultimi dieci anni di 0,3 punti per anno. In più, nel nostro Paese la professione con le maggiori differenze di retribuzione di genere è proprio quella dei manager.

La legge Golfo-Mosca sulla parità di genere nei CdA delle società quotate e delle controllate pubbliche, ha determinato un notevole incremento delle donne nei board; tuttavia solo in una esigua minoranza di imprese le donne occupano posizioni apicali nei CdA (AD o Presidente). Inoltre, questi provvedimenti non hanno innescato fenomeni di emulazione da parte di imprese non interessate dalla norma. Tuttavia, nel biennio 2018/2019, si rileva l’incremento del 3,7% delle donne dirigenti, contro una diminuzione di 1,3% degli uomini e il rapporto donne/uomini raggiunge il 20%; andamento che riguarda anche la componente dei Quadri. Fra i settori si registra un aumento del 9,9% nell’assunzione di donne nell’ alimentare, 3,75% nella fabbricazione prodotti chimici (0,95 la maschile), 3% nella raffinazione petroli (0,96 maschile), 2,33% nel settore computer, apparecchi elettronici, ottici (0,77 maschile).

Dal monitoraggio effettuato sulle comunicazioni delle imprese le organizzazioni più complesse riescono meglio a contribuire alla sostenibilità di genere. L'Osservatorio 4.Manager ha stimato che le aziende che si limitano a dichiarare l'intenzione di mitigare le disuguaglianze di genere, rappresentano circa l’85% del campione analizzato, quota che supera il 90% nel caso di aziende di piccola o media dimensione. Sono circa il 10% quelle che, sporadicamente e in modo non strutturato, realizzano azioni concrete e cominciano a elaborare strumenti di misurazione dei progressi compiuti nel campo dell’uguaglianza di genere. Solo il 4% realizzano strategie e piani di breve, medio e lungo periodo, investono risorse crescenti per allineare uomini e donne, anche in campo manageriale. Solo nell’1% delle imprese di grandi dimensioni, esistono specifici programmi per mitigare il divario di genere manageriale e la distribuzione di genere tra i livelli gerarchici e remunerativi tende realmente a convergere.

Dal punto di vista demografico, un’occasione da sfruttare è la prospettiva dei pensionamenti dei baby boomer; migliaia di posizioni dirigenziali si libereranno e merita attivare programmi di coaching, sponsorizzazione dei talenti e formazione alla leadership per rendere le imprese più agili, resilienti, veloci e inclusive, anche verso le donne manager.

In prospettiva

L’Expert Panel converge sulla necessità di ripensare i riferimenti utilizzati per affrontare la parità di genere: flessibilità, orari, permessi, disponibilità di asili, trasporti, welfare aziendale, etc. L’emergenza Covid-19 ha agito da “acceleratore di processi”, portando le imprese ad affrontare trasformazioni, spesso radicali, che coinvolgono i modelli di business, i processi d’innovazione e la transizione verso modelli più sostenibili di produzione.

Lo Smart Working si va configurando come una vera e propria “filosofia manageriale” e organizzativa, che esalta la flessibilità (spaziale e temporale) e l’autonomia dei lavoratori. L’emergenza ha trasformato la cultura, la struttura e le dinamiche dell’organizzazione aziendale, che tendono a focalizzarsi sul raggiungimento degli obiettivi, spostando l’attenzione dell’organizzazione dalle “persone” all’efficienza, dalle ore lavorate al raggiungimento degli obiettivi, mettendo in risalto i talenti, le competenze e la capacità creativa dei manager; una sorta di grande “livella” che facilita l’acquisizione di talenti e le competenze manageriali superando i tradizionali meccanismi culturali che intervengono nei processi di selezione, progressione di carriera e determinazione della remunerazione.

Sulla base di tutto ciò, l’HR Manager riveste particolare importanza nelle strategie di gestione delle disparità manageriali di genere e assume un ruolo anche nel marketing interno all’organizzazione, fungendo da connettore tra l’imprenditore e le risorse umane manageriali e tra le esigenze di business e quelle di sostenibilità interna ed esterna.

Le imprese dovranno affrontare scelte dirompenti, a prescindere dal genere, guidate dall’obiettivo di rendere più veloce, reattiva e resiliente l’azienda, abbattendo tutti gli ostacoli alla produttività, alla qualità del prodotto, alla creatività e all’innovazione. Per farlo, dovranno: demolire silos e burocrazie interne; snellire e rendere trasparenti i processi decisionali; valorizzare i leader in prima linea. Tutte azioni che possono trarre beneficio sia da un maggior coinvolgimento delle donne nei processi di riorganizzazione, sia dalla valorizzazione dei talenti manageriali femminili ancora inespressi, sia dalla rottura di meccanismi patologici che generano “soffitti di vetro” e “pavimenti appiccicosi”.

Come mostrano gli studi dell’Osservatorio e quelli condotti da altri centri di ricerca, la diversità in azienda:
• Facilita l’innovazione e stimola la creatività;
• Favorisce lo sviluppo del business su nuovi prodotti e mercati;
• Migliora le performance aziendali;
• Aumenta l’attrattività aziendale verso i talenti e le nuove generazioni;
• Amplifica la capacità di risposta ai bisogni sempre più eterogenei e mutevoli dei consumatori;
• Rafforza l’organizzazione nel suo insieme e la rende più resiliente, veloce e reattiva.

Si diffonde l’esigenza di andare oltre il concetto di “equità di genere” per immaginare “organizzazioni intelligenti” basate sulla valorizzazione delle competenze e dei talenti.

Le raccomandazioni

La pandemia ha innescato nuovi processi aziendali e sta modificando la cultura e l’organizzazione che, nei casi più virtuosi, stanno diventando “organizzazioni intelligenti” nelle quali si consolida la parità di genere.

Spetta ai leader politici comprendere le trasformazioni in atto per adattare le misure legislative alla nuova realtà, intervenendo sullo squilibrio tra lavoro remunerato e non remunerato delle donne, sui servizi per l’infanzia e l’educazione scolastica, sull’inclusione digitale, sull’incentivazione dello studio delle materie STEAM tra le giovani donne, sugli incentivi alla “sostenibilità interna” e alla “trasparenza di genere” delle aziende.

I leader aziendali dovranno sviluppare una nuova capacità di leggere i fenomeni aziendali anche dal punto di vista del contributo che le donne manager possono fornire alla creazione di valore.

Il contrasto alle disuguaglianze di genere può essere risolto solo mediante l’impegno collettivo e coordinato tra operatori pubblici, operatori economici privati e famiglie, tra mondo della scuola e della formazione, tra operatori della comunicazione e dell’informazione del nostro Paese.

In questo contesto, gli organismi di rappresentanza devono e possono giocare un ruolo decisivo di guida e di esempio per le organizzazioni e i cittadini che rappresentano.
 
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