Il nostro welfare ha bisogno di un mercato del lavoro forte ed equilibrato
Il Paese ha bisogno di visione, coraggio e scelte prioritarie a beneficio dell'intera collettività e della reale crescita
a cura del Gruppo Cultura/Cultura Finanziaria
I recenti dati relativi al quarto trimestre 2023, appena pubblicati da ISTAT, ci danno l’opportunità di valutare lo stato di salute del mercato del lavoro del nostro Paese e di fare qualche considerazione in prospettiva sul futuro del nostro welfare.
Partiamo dai dati chiave: l’occupazione cresce in termini tendenziali (da quarto trimestre 2022 a quarto trimestre 2023, quindi in un anno) di 533mila occupati (+2,3%), coinvolgendo i dipendenti a tempo indeterminato (+3,3%) e gli indipendenti (+1,3%) ma non i dipendenti a termine che diminuiscono (-1,4%); continua il calo dei disoccupati (-3,2%) e degli inattivi all’interno della cosiddetta popolazione di riferimento (soggetti in età lavorativa 15-64 anni). Tale dinamica si riflette nel tasso di occupazione (+1,4% a/a) e nel tasso di disoccupazione e inattività che diminuiscono (-0,2% e -1,2% rispettivamente). La direzione imboccata, positiva, si inserisce in un quadro europeo che ha la stessa tendenza e che non cambia il peso del nostro Paese in un confronto competitivo con gli altri Paesi europei e soprattutto con l’esigenza di aumentare il numero di individui attualmente occupati (vedere figura 1). Sappiamo che la consistenza e la composizione del mercato del lavoro, e in particolare il numero di occupati, determina i redditi delle persone e da questi le imposte per i servizi fondamentali del nostro Stato, gli oneri contribuitivi per il nostro welfare, i consumi, il risparmio e gli investimenti per le nostre imprese.
Dalla figura 1 emerge che l’Italia, con il suo 66% (che è un valore medio nazionale) ha uno dei peggiori tassi di occupazione tra i principali Paesi dell’Europa. Il tasso di occupazione è il rapporto percentuale tra chi è occupato (e ha quindi una retribuzione) e la popolazione di riferimento (individui della popolazione tra i 15 e i 64 anni). Semplificando, in Italia per ogni 100 persone in età lavorativa, 66 sono occupate mentre 34 risultano disoccupate e/o inattive. In Francia, per gli stessi parametri, la ripartizione è 74/26, in Germania 80/20, 75/25 è la media UE. Passando a valori assoluti, l’Italia ha un numero di occupati di 23,8 milioni, la Francia di 31 milioni e la Germania 45,7 milioni. Questo confronto evidenzia, in maniera indiscutibile, un significativo handicap di potenzialità e sviluppo del nostro Paese se paragonato a quelli che sono partner, ma anche competitor, sul mercato globale. I nostri 23,8 milioni di occupati (dati ISTAT quarto trimestre), si ripartiscono in 15,8 milioni a tempo indeterminato, 3 milioni a termine, 5 milioni di indipendenti (vedere tabella 1).
Preoccupa il numero elevato di occupati a termine e di indipendenti (3+5 = 8 milioni). Quindi, l’occupazione nel nostro Paese non è solo numericamente inferiore ma anche di dubbia qualità. Infatti, dal lavoro a termine (e spesso discontinuo) e da quello indipendente si producono redditi dichiarati bassi e conseguentemente lo sono gli oneri contributivi per il nostro welfare (in primis le pensioni) e le imposte verso lo Stato (dalle quali si ricavano servizi essenziali quali la sanità, la sicurezza, la difesa, l’istruzione).
Nel 2022 lo Stato ha incassato dalle imposte 544 miliardi di euro. La tassa più importante, l’IRPEF, cioè l’imposta sui redditi delle persone fisiche, ha portato circa 205 miliardi di euro (il 40%) nelle casse pubbliche. Guardando ai prossimi anni il CNEL (Consiglio Nazionale Economia e Lavoro), con un’indagine del 2021, evidenzia quanto segue:
- la rappresentatività dell’IRPEF co-me principale imposta sulle diverse forme di reddito (da lavoro, da capitale, da immobili, ecc…) è in netto calo e si sta concentrando sempre più su reddito da lavoro dipendente e pensioni in un momento in cui la quota dei redditi da lavoro sul prodotto nazionale appare in sostanziale declino;
- il divario tra gettito teorico ed effettivo (Tax Gap), per le diverse categorie di reddito, appare molto più ampio nel caso dei redditi di lavoro autonomo e d’impresa che non in quello dei redditi da lavoro dipendente;
- la specializzazione dell’IRPEF su redditi da lavoro dipendente e pensioni è conseguenza di un campo di applicazione piuttosto limitato sugli altri redditi (d’impresa, di lavoro autonomo, di capitale, da immobili, ecc…) che sono soggetti, in larga parte, a tassazione separata, forfettaria o in esenzione.
Allo stato attuale, meno di 24 milioni di occupati (in buona parte sottopagati e sottodichiaranti) sostengono (in un sistema a ripartizione qual è l’INPS) circa 22,7 milioni di pensioni (di cui 4,4 milioni di tipo assistenziale e 0,6 milioni di tipo indennitarie).
Con questi numeri le prospettive di sostenibilità del nostro stato sociale appaiono incerte. È indispensabile apportare, prima possibile, correttivi a quantità, qualità ed equilibrio della nostra occupazione da un lato, e delle entrate dello Stato dall’altro. La quantità aumenta portando al lavoro più persone (tramite una domanda più sostenuta sia nel settore pubblico sia in quello privato), soprattutto donne (il cui tasso di occupazione è al 52,8%), giovani (nella fascia 15-24 anni la disoccupazione è al 22,8%) e quei migranti che potrebbero soddisfare la domanda di lavoro che non trova riscontro nell’offerta nazionale. Poi, risulta insufficiente la nostra risposta ai dati sulla cosiddetta “Economia non osservata”. Questa pesa per 192 miliardi di euro di cui 174 di economia sommersa e 18 di attività illegali (vedere figura 2).
Si è spesso discusso di incrociare tra loro le banche dati (INPS, PRA, Anagrafe Tributaria, Catasto, Casellario Giudiziario, conti correnti, ecc…) per ottenere risultati più significativi che tuttavia tardano a manifestarsi.
La qualità aumenterebbe invece migliorando l’equilibrio delle componenti del mercato del lavoro. Trasformando occupati a termine (e indipendenti) in occupati indeterminati, incrementando il livello reddituale medio (attualmente il reddito lordo degli italiani sfiora i 30mila euro contro i 40.000 dei francesi e i 45.000 dei tedeschi). Livello, quest’ultimo, che in termini reali è peggiorato nel corso di vent’anni (dal 1992 al 2021) come ci ricordano OCSE e INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, vedere figura 3). Non possiamo inoltre ignorare quelle attività palesemente sottopagate (dai caregiver ai lavoratori agricoli, a quelli del turismo, agli stagionali) ma numericamente consistenti.
Il gettito tributario è incrementabile allargando la base imponibile: ad esempio riducendo il peso di regimi di esenzione/riduzione impositiva e forfettizzazione che indeboliscono il principio di equità orizzontale dei contribuenti.
Il raggiungimento di questi obiettivi migliorerebbe sia il totale degli oneri contributivi per l’INPS sia il gettito tributario per lo Stato, dando maggiore capacità di manovra e incisività anche all’azione dei Governi.
Il Paese ha bisogno di visione, coraggio e scelte prioritarie a beneficio dell’intera collettività e della reale crescita. Il dividendo sociale distribuito sarebbe un incremento del benessere economico e del nostro welfare.
SAVE THE DATE
L'evento Welfare e mercato del lavoro si terrà
mercoledì 12 giugno 2024 alle ore 17:30
presso la Sala Viscontea Sergio Zeme
Per partecipare è necessaria la registrazione su www.aldai.it
01 maggio 2024