Come sta cambiando il mercato delle figure manageriali e che importanza ricoprono il networking e i social per la visibilità e la reputation dei dirigenti?

Nell'incontro "A tu per tu con due Cacciatori di Teste" Claudio Ceper e Ottavio Maria Campigli illustrano le nuove competenze richieste ai C-Level da parte delle aziende

Ilaria Sartori

Redazione Dirigenti Industria

La domanda che si pongono i dirigenti, e che ha stimolato la prolusione dell'Assemblea Federmanager di Perugia, è stata proposta a due cacciatori di teste ben assortiti: il primo, Claudio Ceper, con 28 anni da consulente a senior partner in Egon Zehnder International, e il secondo, Ottavio Maria Campigli, con 13 anni di executive search e oggi Founder & Equity Partner presso W Executive. 

Si è partiti dalla domanda per cercare di capire e analizzare come sta cambiando il mondo del lavoro sia in termini di ricerca da parte delle aziende sia di skills che i professionisti devono possedere.

È indubbio che l’evoluzione sia in atto e lo spartiacque sulla velocità e sul modus operandi è quasi certamente rappresentato dal Covid, quasi esistesse un pre e un post.

Le aziende cambiano, ripensano il loro status, e di conseguenza sono alla ricerca di professionalità che possano interpretare il nuovo corso adeguandosi alle esigenze che si manifestano giorno dopo giorno.

Una ricerca effettuata nel 2020 da McKinsey – ha commentato Campigli – evidenzia come negli USA circa 1 azienda su 2 abbia messo in discussione il proprio modello di business alla ricerca di nuove opportunità. Questo ripensare se stessi ha quindi iniziato ad avere riflessi e impatti sulla tipologia di manager ricercati, profili quindi che abbiano una grande capacità di visione e di pensare out of the box, ma anche la competenza di mettere a terra il tutto in modo veloce e pratico; le figure vincenti sono quindi quelli in grado di racchiudere in sé questa doppia dimensione: strategia e pratica.

Non solo modelli di business ma anche atteggiamento, approccio e nuove competenze.

Oggi anche le grandi aziende “tradizionali” sono alla ricerca di “spirito imprenditoriale” nei propri manager, nuova mentalità e soprattutto nuove competenze. Due dati su tutti in merito al digital. Una ricerca Accenture Italia afferma che nel nostro Paese il 70% delle aziende soffre di digital mismatch, un gap che impatta sulla capacità di cogliere e traghettare le aziende verso nuove opportunità di business; stessi risultati evidenziati dalla Harvard Business Review che parla di un 58% delle aziende Fortune 500 che evidenzia la stessa mancanza.

Infine, si sta manifestando un nuovo trend: le aziende – soprattutto nella figura del CEO – cercano un “marchio”, un brand ambassador, una figura che possa avere “notiziabilità” a livello mediatico, e il cui innesto all’interno dell’organigramma aziendale funga da “acceleratore” e da cassa di risonanza per l’attività.

E dopo aver analizzato le nuove esigenze che le imprese palesano, ecco le caratteristiche che i manager dovrebbero avere o acquisire per rimanere appetibili.

In questo caso poche sono le parole chiave che non devono mancare nel profilo: internazionalità, preparazione STEM e continuous learning, soft skills. 

Aver trascorso qualche anno all’estero durante il percorso universitario o il master, un Erasmus; oltre ovviamente a una buona padronanza della lingua inglese (e preferibilmente di una seconda lingua) sono ormai dei must che non possono mancare.

Preparazione STEM e continuous learning. Formazione sempre e comunque. Anche le figure manageriali con maggiore seniority devono essere opportunamente preparate sulle materie STEM, non tanto da un punto di vista tecnico-operativo (per il quale ci sono i relativi professionisti), quanto per la capacità di coglierne opportunità e vantaggi se inserite in appropriati piani strategici.

Soft skills, un mantra. Le soft skills sono le doti relazionali che consentono al manager di essere un buon networker e quindi un buon comunicatore (e buon negoziatore). La comunicazione è alla base di qualsiasi relazione: bisogna però ricordare che un buon comunicatore non necessariamente è un buon negoziatore. È necessario “giocare” su due sponde, quella aziendale (e quindi ottenere il massimo per l’impresa che si rappresenta) senza però dimenticare la propria sfera personale/professionale. “You don’t get what you deserve, you get what you negotiate” (Herminia Ibarra).

Due ulteriori fattori meritano attenzione:
  • la riduzione della durata del mandato -  principalmente per il ruolo di Amministratore Delegato - che a oggi si attesta tra i 5 e i 7 anni (a seconda della tipologia del settore, più o meno concentrato/frammentato) ma il dato inizia a ridursi e dovrebbe attestarsi su una forbice 4/6 anni;
  • ricerca di equilibrio tra vita professionale e vita privata: il work life balance è ormai una condizione imprescindibile; ricerche del Politecnico di Milano evidenziano infatti che il 28% delle persone in Italia non valuta di cambiare azienda se non ritiene che la nuova possa migliorare le proprie condizioni di “ben-essere” e, inoltre, il 60% dei professionisti non cambierebbe azienda se quella successiva non disponesse di una strutturata politica di smart working.

Numeri, trend e situazioni illustrati da Claudio Ceper – Medico delle Carriere - e Ottavio Maria Campigli - Equity Partner & Founder at W Executive – durante un intenso incontro che ha permesso ai partecipanti di “aprire una finestra” sul futuro al fine di non farsi trovare impreparati.

Maggiori informazioni cliccando la rubrica "Come fare carriera"

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