Leadership: è anche una questione di stile

Il leader di oggi non impone la propria idea al team in un approccio top-down, ma è piuttosto una persona in grado di guidare con carisma e coinvolgere il proprio team nel processo condiviso di creazione delle idee

Sara Cattaneo

Global Head of Supply Chain Management - Socia ALDAI-Federmanager e componente del Comitato di Redazione Dirigenti Industria


“Leadership”… un vocabolo sempre più usato da tutti noi, quotidianamente, nei più svariati contesti, non necessariamente solo aziendali.
E proprio il fatto che questo termine sia entrato poco alla volta nel vocabolario di tutti, trasversalmente sia a molteplici ambiti professionali che alle varie situazioni della vita di ogni giorno, ci fa implicitamente capire come il suo significato si sia evoluto nel tempo, e sia ora più che mai legato al concetto di caratteristiche e attitudini che il cosiddetto leader dovrebbe avere per far fronte alle più disparate circostanze della vita.
Non è più quindi una stretta prerogativa di chi riveste una posizione aziendale apicale, ma è un’attitudine che ciascuno può mostrare nel contesto in cui si trova in un determinato momento.

Illustri giornali e riviste hanno già affrontato il tema dell’evoluzione della leadership nell’arco del tempo, attraverso varie generazioni, argomento che credo sia particolarmente affascinante nonché utile a tutti noi per capire meglio che cosa ci venga richiesto attualmente per essere leader di successo, in grado di supportare efficacemente le nostre aziende, ma anche per capire il background di questa evoluzione e le dinamiche che l’hanno influenzato.

Il leader del passato

Qualche decennio fa la figura del leader era per lo più associata a quella del cosiddetto “capo”, ovvero una figura autoritaria, in grado di incutere forse anche un po' di timore, molto assertiva, colui (molto raramente “colei”, per lo meno in Italia) che decideva in modo quasi unilaterale la direzione da prendere, quasi fosse una sorta di “detentore della verità assoluta”, e si occupava poi del fatto che il team eseguisse nel migliore dei modi i propri compiti.

Attenzione, non voglio dipingere questo tipo di approccio in modo eccessivamente negativo… credo che probabilmente fosse il modello più adeguato alla società aziendale e ai contesti organizzativi di quel periodo, caratterizzati da strutture fortemente verticali e gerarchiche, e da trasformazioni più lente rispetto a quelle odierne.

Anche il contesto era ben diverso da quello di oggi, molto meno globalizzato, probabilmente meno complesso.

È forse bene sottolineare anche come in passato ci fosse solitamente una differenza culturale mediamente più ampia tra il leader e il resto del team, la quale concorreva ulteriormente a creare sia questo divario che una sorta di rispetto dovuto al capo quasi a priori, in virtù del suo ruolo.
Il leader pertanto basava il suo approccio sulla guida di un team volto al raggiungimento di chiari obiettivi di produttività, prevalentemente nel breve e medio termine, team che veniva incentivato soprattutto attraverso la leva del salario e di altri benefit annessi.
Capita ogni tanto anche oggi, soprattutto nelle aziende più piccole e locali, a conduzione familiare, di incontrare qualche leader cosiddetto “old style”, facilmente riconoscibile da quelli che potrebbero sembrare modi forse po' bruschi, facilmente incline ad alzare il tono della voce quasi a rafforzare il proprio punto di vista, e apparentemente poco abituato a dover argomentare la propria decisione a eventuali interlocutori aggiuntivi….

Il leader di oggi

Il sopraccitato atteggiamento non si addice più al contesto in cui ci troviamo attualmente.
Oggi il contesto sociopolitico, economico, industriale è in continua trasformazione, molto velocemente, instabilmente, globalmente.
La complessità che ne deriva, unita a una cultura moderna fortunatamente molto più volta all’inclusione rispetto a quella passata, richiede delle doti di leadership molto diverse.
Il leader di oggi non impone la propria idea al team in un approccio top-down, ma è piuttosto una persona in grado di guidare con carisma e coinvolgere il proprio team nel processo condiviso di creazione delle idee, in modo che tutti si sentano parte della soluzione, sentano il proprio valore aggiunto all’interno del contesto aziendale, e siano motivati a crescere sempre di più.
Emotional intelligence
Dote ormai fondamentale per un leader è infatti la cosiddetta emotional intelligence, ovvero la capacità di capire ed entrare in connessione con gli interlocutori, i collaboratori, più in generale le persone che ci circondano, permettendo quindi una migliore gestione delle situazioni basata sulla creazione di un ambiente più empatico, in cui ognuno si sente incoraggiato a dare il meglio di sé e valorizzato per i propri punti di forza.

Solitamente una spiccata intelligenza emotiva consente al leader, infatti, di intuire meglio quali siano i punti di forza - nonché quelli da sviluppare - del proprio team, assicurandosi di assegnare a ogni membro progetti adeguati, raggiungendo quindi in parallelo sia la crescita dei propri collaboratori che un approccio efficace per l’azienda. 
Questo implicitamente aiuta anche la capacità di attrarre e mantenere i talenti, che nel mondo d’oggi non sono più incentivati solo dal salario, come accadeva decenni fa, ma anche dalla flessibilità, da un buon work life balance, da un ambiente lavorativo stimolante e rispettoso, da valori aziendali solidi in cui potersi rispecchiare.
In questo nuovo contesto quindi, il vero leader è colui che sa conquistarsi la stima e il rispetto del proprio team e dei colleghi direttamente “sul campo”, e non più come prerogativa legata al proprio titolo.
Questo non vuol dire che un leader non debba mai essere direttivo o autorevole, semplicemente vuol dire che l’assertività da sola non è assolutamente sufficiente a fare un buon leader… "in soldoni": alzare la voce e incutere timore non sono più gli approcci che caratterizzano il leader di successo.

Sempre più aziende infatti stano ponendo l’accento sull’importanza della propria cultura aziendale, sull’attenzione al benessere dei propri dipendenti come priorità assoluta, quasi più della performance aziendale stessa. Questo atteggiamento non è guidato da un improvviso “buonismo” o dalla volontà aziendale di lavorare pro bono  ma deriva da un approccio etico e inclusivo, che implicitamente aiuta la formazione di un ambiente sano e stimolante dal quale ci si aspetta che, in modo quasi naturale, porterà poi alla conseguenza di avere buone performance. 
In una metafora un po' bucolica, possiamo dire che è un po' come innaffiare le radici di una pianta, al fine di farla crescere in salute, e quindi farle produrre fiori in futuro.

Ottimismo e problem solving
Ovviamente l’emotional intelligence non è la sola caratteristica fondamentale per un leader di successo…; tralasciando qui l’aspetto delle competenze (che do per assodato), è altresì fondamentale infatti per un leader saper avere una visione di medio-lungo termine, in base ai vari scenari che potranno delinearsi in questo ambiente costantemente in evoluzione, la capacità di adattarsi e modificare la strategia, ma anche essere in grado di comunicare con chiarezza, creando una prospettiva sul futuro ottimista e positiva.

Ebbene sì... il vero leader di oggigiorno è tendenzialmente ottimista.
Questo ovviamente non vuol dire che debba essere un inguaribile naïf, incapace di avere un giudizio critico... ma vuole semplicemente dire che il vero leader, dopo aver analizzato i dati con oggettività e sviluppato piani realistici deve essere per natura una persona molto più volta alla soluzione che non al problema, capace di energizzare il proprio team verso idee innovative, insomma: una persona in grado di tramutare una difficoltà in un’opportunità per l’azienda e per i propri collaboratori.

Del resto, come disse il filosofo Ralph Emerson: “Niente di grande fu mai compiuto senza entusiasmo”.

Certo, fa quasi sorridere pensare a quanto siano agli antipodi le figure del leader che hanno caratterizzato gli ultimi decenni… a come avrebbero reagito i manager di 30 anni fa se avessero incontrato i leader empatici, positivi, i cosiddetti “leader gentili” di oggi… ma allora mi chiedo se la vera lezione di questa storia sia che forse, in fondo, semplicemente non debba esistere uno stereotipo a cui omologarsi, forse la verità è che, nell’importanza di tener conto delle esigenze del contesto e dell’epoca a cui apparteniamo, ogni vero leader ha e deve avere un proprio stile, basato su un mix unico di caratteristiche, uno stile più o meno direttivo, più o meno persuasivo, maschile o femminile, e qualunque esso sia sta semplicemente a lui/lei fare in modo che sia quello giusto per quel tipo di situazione e di audience, in grado di lasciare il segno e di fare la differenza.

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