Il nodo competitività

Mantenere il primato del Made in Italy supportando la crescita sostenibile delle Pmi e rafforzando le filiere produttive. A patto di mobilitare gli investimenti giusti a livello europeo, come sottolineato dal recente Rapporto Draghi

Mario Cardoni 

Direttore Generale Federmanager

L’Europa fa i conti con la crescita e con le fragilità che evidentemente la ostacolano.

Sul piano politico e della sicurezza, con due guerre che incombono verso i suoi confini, ma anche sul piano della competitività economica e industriale, stretta com’è tra le voraci ambizioni asiatiche e un blocco statunitense in cerca d’autore.

L’Italia, lo sentiamo ripetere spesso, è la seconda manifattura d’Europa ed è quindi protagonista dei destini produttivi dell’Ue, ma con una forte peculiarità distintiva: l’ampio tessuto di Pmi su cui poggia “l’impalcatura industriale” del Paese.

Parliamo di piccole e medie imprese costrette, spesso, a navigare a vista. Perché o fanno parte di una solida filiera, e quindi sono vincolate a standard specifici e a stare al traino della capofila, oppure devono procedere “in solitaria”, con tutti i rischi connessi a mercati di nicchia.

E se, ancor più oggi, l’innovazione è un mantra, come non pensare, ad esempio, a quelle sliding doors che il tempismo nell’adozione delle nuove forme di intelligenza artificiale possono o meno aprire? Anche in questo caso, come sovente sottolineiamo, servono le skill manageriali di cui il sistema ha bisogno e competence center che possano aiutare le Pmi ad agganciare la ripresa.

Altrimenti il Made in Italy di cui, a ragione, ci vantiamo, rischia di sfiorire, sotto i colpi di una concorrenza globale che non fa sconti.

L’attuale stagione impone di rilanciare la sfida sull’eccellenza dei prodotti italiani, decidendo come e dove innovare e senza cedere al vizio di procrastinare.

La procrastinazione nelle scelte e nelle iniziative da adottare non è un vulnus solo italiano, ma interessa l’intera produttività europea, come ha ricordato Mario Draghi in occasione della presentazione del suo “Rapporto sulla competitività europea”, a cui ha preso parte anche la Presidente von der Leyen.

È il momento di agire – sottolinea il rapporto – per salvaguardare e incrementare il benessere all’interno dell’Ue, con tre aree su cui intervenire prioritariamente: innovazione, decarbonizzazione e sicurezza, sotto il profilo industriale, degli approvvigionamenti e della difesa.

Per farlo, all’Europa serve il coraggio di puntare sulle sue capacità e sui suoi talenti. In breve, di investire. Un dato mi ha particolarmente colpito: secondo il rapporto, per raggiungere gli obiettivi che l’Ue si pone, è necessario un investimento aggiuntivo annuo minimo di 750-800 miliardi di euro. In base alle ultime stime della Commissione, corrispondente a poco meno del 5% del Pil dell’Ue nel 2023.

Non voglio in questa sede entrare nel merito del reperimento delle risorse né addentrarmi nell’analisi dettagliata che il rapporto merita. Ma, a mio avviso, l’urgenza si avverte, il tempo stringe.

Bisogna investire per competere e per rimettere in moto la produttività, nel quadro di uno sviluppo pienamente sostenibile. Ognuno deve fare la sua parte.

Articolo tratto da Progetto Manager
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