“The Culture Map” per diventare cittadini del mondo
Se fino a qualche lustro fa la figura dell’espatriato era piuttosto rara e tipica di ragazzi e ragazze motivati dalla volontà di scoprire il mondo oggi senza una duratura permanenza all’estero, si rischia una carriera di serie B rispetto a chi ha maturato significative esperienze confrontandosi con altre culture.
Claudio Ceper
Career Doctor & Business Coach - Presidente del Forum della MeritocraziaSugli espatriati e la mobilità internazionale ho tenuto lo scorso anno una Lectio Magistralis, al MIP Politecnico di Milano, per la graduation di un centinaio di giovani, che avevano terminato i corsi del Master Internazionale. Ragazzi e ragazze, che provenivano da tutti i paesi del mondo e fra loro vi era anche un certo numero di italiani. Sicuramente molti di loro diventeranno degli espatriati, dato il tipo di laurea conseguita.
Le carriere di serie A sono accelerate da percorsi all’estero
Se fino a qualche lustro fa la figura dell’espatriato era piuttosto rara e tipica di ragazzi e ragazze con spiccato spirito d’avventura, motivati dalla volontà di scoprire il mondo e/o cresciuti in famiglie abituate a trasferimenti frequenti da un paese all’altro, oggi questa tipologia di manager è molto più diffusa. Arrivo a dire, in base alla mia ultratrentennale esperienza di cacciatore di teste/medico delle carriere, che un giovane Millennial, e ancor più uno della generazione Z, senza una duratura permanenza di “espatriato”, rischia una carriera di serie B rispetto a chi all’estero ha maturato significative esperienze. Io stesso ho un figlio, oggi trentottenne, da poco DG di una multinazionale italiana quotata che vi è approdato poco meno di 3 anni fa, dopo 10 anni trascorsi in Mc Kinsey, fra Italia, New York e Rio de Janeiro. Senza la combinazione McKinsey + 8 anni di espatrio penso proprio che non sarebbe mai arrivato alla posizione che ricopre oggi.
I vantaggi fiscali delle esperienze all'estero
Anche mio figlio, come centinaia di giovani italiani (purtroppo molte migliaia sono espatriati e mai più ritornati) ha beneficiato della legge 238 del 2010 in base alla quale chi rientra da una esperienza estera ha diritto, per un certo numero di anni (erano 3 e oggi sono 5), a una detassazione del suo reddito professionale del 50% (era del 70% per gli uomini e dell’80% per le donne). È evidente che queste misure continuano ad essere un importante facilitatore per chi rientra in Italia, portando con sé know how di prim’ordine e valori. Tali misure contribuiscono ad alleviare e superare le differenze nei primi anni di rientro in Italia, in quanto è risaputo che la combinazione salari/tassazione del nostro Paese è perdente rispetto a molti altri sia europei che extra europei.
Una “Culture Map” per lavorare efficacemente nel mondo
Cosa c’entra con tutto ciò la mia Lectio magistralis ?
C’entra perché quel giorno portai con me e citai un bellissimo libro regalatomi poco prima da uno dei miei Mentee, che si intitola “THE CULTURE MAP”. Il volume è stato scritto da Erin Meyer, una giovane americana, professoressa all’INSEAD, madre di due figli, che, nata nel lontano e profondo Wisconsin, ha poi vissuto buona parte della sua vita professionale all’estero e , nel 2013, ha compendiato le sue esperienze di manager e consulente per aziende e gestori di vari continenti, in un libro piacevole, di facile lettura, ricco di spunti interessanti per chiunque debba gestire team multinazionali o affrontare per la prima volta una esperienza da espatriato.
I comportamenti manageriali della “Culture Map”
I comportamenti vengono analizzati da 8 punti di vista diversi: Communicating; Evaluating; Persuading; Leading; Deciding; Trusting; Disagreeing; Scheduling. Le differenze fra le varie nazionalità sono spesso notevoli e gli esempi concreti, numerosissimi, istruttivi e spesso divertenti, sfatano molti luoghi comuni, come quello che considera gli americani statunitensi i più duri nel criticare e punire; non è vero, i più duri, volendo ovviamente generalizzare, sono gli scandinavi e gli olandesi. Ad esempio, quando un manager americano deve dare un feed back negativo a un collaboratore, lo fa solo quando è sicuro di poter abbinare alla critica negativa, almeno 2 feedback positivi. Se guardiamo ai comportamenti più tipici delle varie nazionalità esaminate, ad esempio, i giapponesi sono più simili ai tedeschi, mentre i cinesi si comportano spesso come i brasiliani. E gli italiani? Gli italiani sono generalmente “nel mezzo”, assieme ad alcuni latino americani (ad esempio i cileni) e agli europei mediterranei. Abbastanza gerarchici nel leading, principle-first nel persuading, e emotionally expansive, all’opposto di tutti gli asiatici e gli svedesi: però confrontational nel disagreeing, assieme a molti europei, americani e russi, all’opposto dei cinesi e degli indiani e di quasi tutti i latino americani. E così via; il libro è un vero e proprio “Handbook comportamentale”, ma non voglio togliere al lettore il gusto di scoprire questa miniera di aneddoti e casi reali che a me, che nei 28 anni in Egon Zehnder, ho interfacciato gli allora 55 uffici internazionali della società, ha dato molte conferme, ma ha anche riservato non poche sorprese. Buona lettura!
01 agosto 2018