La tassazione dei fondi pensione

Il Gruppo di Lavoro CIDA “Politiche per il lavoro e riforma fiscale”, al quale partecipano rappresentanti Federmanager e delle Federazioni aderenti a CIDA, ha approfondito il tema della tassazione dei fondi integrativi per la pensione, di particolare interesse per la dirigenza, e non solo

Roberto Saliola

Presidente Manageritalia Lazio, Abruzzo, Molise, Umbria e Sardegna
Sono diversi i modelli di tassazione dei Fondi Pensione in relazione alla tipologia dei flussi (in entrata e in uscita):
  1. le contribuzioni, attraverso cui il Fondo viene alimentato mensilmente con i versamenti degli aderenti e del datore di lavoro; 
  2. i rendimenti, frutto dell’investimento dei contributi versati;
  3. il pagamento delle prestazioni, nel momento in cui l’aderente percepisce la rendita.

I modelli di tassazione più diffusi sono i seguenti (dove E sta Esenzione e T per tassazione):
  • E-T-E in cui sono esenti da tassazione i contributi e le pensioni ma non i rendimenti.
  • E-E-T in cui contributi e rendimenti sono esenti, mentre viene tassata la pensione (modello anglosassone) 
  • T-E-E in cui viene tassata la contribuzione, mentre rendimenti e rendita sono esenti.
  • E-T-T esenzione in fase di contribuzione - tassazione dei rendimenti - tassazione delle prestazioni
Le motivazioni alla base di un trattamento fiscale agevolato per la previdenza complementare sono dovuti alla particolare finalità di questi accantonamenti, destinati ad affiancare la pensione pubblica, per assicurare il mantenimento del tenore di vita anche nella vecchiaia, e quindi alla volontà del legislatore di stimolare gli individui al risparmio e all’adozione di comportamenti di interesse collettivo.

In Italia la situazione della fiscalità dei Fondi Pensione è, come in generale, abbastanza complessa.

Lo stratificarsi di decisioni normative ha comportato infatti l’applicazione di differenti regimi fiscali alla medesima pensione complementare, e quindi chi va oggi in pensione vede la propria rendita complementare, in parte esente, tassata in base al periodo di contribuzione: tassazione ordinaria per i montanti fino al 2006 e tassazione sostitutiva del 15% che si riduce delle 0,3% per ogni anno di partecipazione a forme pensionistiche successivo al 15°, con uno sconto massimo del 6% per i montanti maturati dal 2007.
È mancata inoltre una visione unitaria del sistema previdenziale e di quello del risparmio gestito, con la conseguenza di una scarsa coerenza tra i diversi provvedimenti e il risultato di penalizzare il risparmio previdenziale rispetto ad altre forme di risparmio finanziario, che probabilmente necessiterebbero di minor tutela.

Riprendendo i modelli teorici di tassazione, la situazione italiana riflette scelte non sempre coerenti, che hanno portato a un susseguirsi di benefici fiscali accompagnati da limitazioni nel loro utilizzo, e potrebbe quindi essere classificata come qT-qT- qT ovvero come qE-qE-qE dove la q sta per “quasi”. Infatti:
  • I versamenti dei contributi sono esenti, ma solo fino alla cifra di 5.164,57 euro, cifra che è ormai ferma da 20 anni e che quindi vale, ed è destinata a valere, sempre meno in termini reali. Se la somma dei contributi di azienda e lavoratore versati nell'anno è superiore a tale importo, l'iscritto ha contributi non dedotti che deve ricordarsi di comunicare al proprio fondo, di prassi entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello in cui è avvenuto il versamento. In questo modo l'importo versato sarà esente da tassazione al momento dell'erogazione della prestazione. Questi contributo vengono investiti in attività mobiliari e/o immobiliari e maturano un rendimento. I contributi e i rendimenti vanno poi a formare la prestazione che la forma pensionistica erogherà all'iscritto al momento del pensionamento.
  • I rendimenti dei fondi pensione/PIP (Piano Individuale Pensionistico) sono tassati annualmente, ma con un'aliquota minore rispetto ai rendimenti degli altri risparmi finanziari, del 20% o del 12,5% per la parte relativa agli investimenti nei titoli di Stato. Nella stessa logica non sono soggette a prelievo in fase di tassazione neanche le quote riconducibili ai rendimenti, già tassati anno per anno, per cui, in eccezione rispetto alle regole generali, si prevede, come già evidenziato, la completa esenzione sia in fase di versamento si in fase di prestazione.
La semplice descrizione dell’attuale sistema di tassazione evidenzia quanto sia complesso e che una semplificazione delle regole, oltre a essere necessaria, potrebbe essere anche utile a renderne più agevole la comprensione da parte dei cittadini e a favorirne l’adesione ai Fondi.

Un altro aspetto problematico è rappresentato dal fatto che la maggior parte dei Paesi europei adotti uno schema di tassazione EET. Lo schema italiano, vicino allo schema ETT, rende difficile raggiungere una maggiore integrazione finanziaria in questo comparto, con possibili fenomeni di doppia tassazione nel caso in cui una persona dovesse svolgere la propria prestazione lavorativa in più Paesi europei o trasferirsi dopo il pensionamento.

Le considerazioni della Commissione

Nel documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulla riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e altri aspetti del sistema tributario elaborato dalla VI Commissione permanente (Finanza e Tesoro) di Camera e Senato si afferma che: "…i rendimenti degli investimenti finanziari relativi alle forme di previdenza complementare si uniformano al cosiddetto modello ETT: esenti (parzialmente) nella fase di accumulazione (i contributi sono infatti deducibili entro il limite massimo annuale di 5.164,7 euro); tassati nella fase di maturazione con una tassazione sostitutiva pari al 20%, 12,5% per i rendimenti dei titoli di Stato;  tassati nella fase di prestazione con un meccanismo molto complesso. Il modello adottato in Europa (tranne in Danimarca e Svezia) è tuttavia quello EET, in cui a essere esente è anche la fase di maturazione. Questo modello permetterebbe di accrescere la redditività degli investimenti finalizzati alla costituzione di un trattamento previdenziale complementare, determinando in ultima analisi un suo aumento. Nel contempo ovviamente andrebbe uniformata la tassazione in fase di prestazione, considerando la tassazione secondo le aliquote IRPEF ordinarie".

Gli sviluppi

Mentre la premessa e le prime conclusioni sono pienamente condivisibili, l’ultima frase ha fatto alzare le proteste dei vari Fondi Pensione e delle associazioni di categoria che hanno immediatamente rilevato come gli aderenti, a fronte di una modesta riduzione delle tasse sui rendimenti, avrebbero subito una forte imposizione fiscale sull’intero capitale al momento della percezione della rendita. 

Come ha fatto giustamente presente Brambilla: “significa togliere la tassazione del 20% sui rendimenti (20% di un rendimento del 3% è 0,6%) e tassare ad aliquota marginale (cumulo dei redditi) le prestazioni finali: insomma ci tolgono lo 0,6% e ci fanno pagare fino al 46%. Con l’aggravante che la normativa italiana prevede una enormità di bonus, esenzioni, agevolazioni fiscali (le tax expenditures), tutte legate al reddito”.

Alla levata di scudi contro il documento della Commissione il presidente della Commissione fiscale della Camera, Luigi Marattin, ha risposto affermando che con regime ordinario non si intendono le aliquote IRPEF attuali, che vanno dal 23% al 43%, ma quelle del nuovo regime duale, tutto ancora da definire, in cui i redditi da capitale verrebbero tassati in maniera proporzionale, con una aliquota tendenzialmente vicina all’aliquota più bassa dei redditi da lavoro. Quindi tutto dipenderà da quale sarà l’aliquota proporzionale del nuovo sistema duale, ma, sempre secondo Marattin, anche se questa dovesse essere “simile a quella del sistema attuale, la detassazione nella fase di maturazione garantirebbe comunque al lavoratore una rendita netta più alta”, o nell’ipotesi peggiore, comunque non inferiore all’attuale, dimostrando però così di non sapere fare i conti. 

Proposte CIDA

Per quanto riguarda la tassazione sui “risparmi” previdenziali è sicuramente da condividere e approvare la proposta di eliminazione dell’imposta sul maturato ipotizzata nel documento parlamentare, questo non solo per allineare il regime fiscale italiano a quello europeo, ma anche per allineare il risparmio previdenziale al risparmio gestito, che oggi viene tassato al maturato e non annualmente, come i Fondi Pensione. 

L’eliminazione della tassazione sui rendimenti non creerebbe una minore imposizione per lo Stato, ma solo un differimento del pagamento: le minori imposte sui rendimenti (variabili dal 20 al 12,5%) verrebbero poi pagate comunque al momento dell’erogazione delle prestazioni previdenziali, gravate da una aliquota variabile dal 15 al 9%. Anche su questo fronte si potrebbe intervenire: non si comprende infatti perché se un cittadino italiano oggi investe il proprio risparmio acquistando attività speculative come i PIR (Piani di risparmio individuali) dopo soli 5 anni non ha alcuna tassazione sui rendimenti, mentre se li impiega per 40 anni in un Fondo Pensione deve pagare una tassa sui rendimenti. La totale esenzione della tassazione dei rendimenti provenienti dal risparmio previdenziale renderebbe più coerente e meno confuso il sistema di tassazione del risparmio in Italia.

Se il legislatore volesse realmente favorire (o, meglio, non penalizzare) la previdenza complementare, la prima cosa da fare sarebbe quella di togliere il tetto di 5.164,57 euro ai versamenti, eliminando così un grosso freno allo sviluppo della previdenza complementare. 

Il Presidente del Consiglio Draghi quando era Governatore della Banca d’Italia auspicava “lo spostamento verso la previdenza complementare, su base volontaria, di una quota limitata della contribuzione destinata alla previdenza pubblica, che è pari a 33 punti percentuali del salario, il valore di gran lunga più alto tra i maggiori Paesi europei”

La realizzazione di questa proposta, seppur auspicabile, avrebbe l’effetto di causare un buco di bilancio alle già non floride casse dell’INPS, a causa dello spostamento di parte della contribuzione verso la previdenza complementare. Non avrebbe invece alcun impatto sui conti pubblici la destinazione alla previdenza complementare dei contributi INPS eccedenti il massimale contributivo. Questi contributi, che oggi vengono restituiti ai lavoratori e risparmiati dal datore di lavoro, potrebbero invece essere più utilmente destinati alla previdenza complementare per ridurre quel gap tra ultimo stipendio e pensione che, soprattutto per i percettori di redditi più alti e per coloro che hanno avuto una carriera più brillante, è destinato a diventare molto significativo.

Il passaggio all’IRPEF ordinaria per la tassazione della pensione complementare, suggerito dalle Commissioni parlamentari, farebbe perdere ogni beneficio fiscale al risparmio previdenziale nei confronti del risparmio finanziario/speculativo, anzi, le limitazioni esistenti nella liquidabilità delle posizioni renderebbero meno attraente l’investimento in un Fondo Pensione rispetto a quello in altre attività finanziarie di natura più speculativa. 

Se è ancora vero che in un Paese che sta velocemente invecchiando la previdenza complementare deve essere incentivata e resa vantaggiosa per tutti i lavoratori, vanno mantenuti e, semmai, ampliati i vantaggi legati all’adesione ai Fondi Pensione. La tassazione delle pensioni complementari rappresenta forse oggi l’unico vero incentivo dell’attuale sistema: è opportuno mantenerla invariata.
Archivio storico dei numeri di DIRIGENTI INDUSTRIA in pdf da scaricare, a partire da Gennaio 2013.