Manager, guardando al futuro

Relazione per il 70° Anniversario CIDA

Giuseppe Roma 

Sociologo

Nel 70° anniversario della CIDA, la Confederazione Italiana Dirigenti e Alte Professionalità, ho condiviso con i partecipanti del convegno organizzato presso la sede del Parlamento le riflessioni sui cambiamenti epocali e sul ruolo del management per delineare alcune scelte di campo in grado di animare le azioni per il futuro.
L’effetto combinato di globalizzazione e innovazione digitale sta producendo grandi cambiamenti, che generano seri problemi da superare e gradi opportunità da non lasciarsi sfuggire. In una tale logica scegliere quale riferimento la dimensione europea rappresenta una risposta alle grandi contraddizioni che, in questo momento storico, investono il mondo dell’impresa, delle istituzioni e la società.
Alimentare con proposte ed idee la rigenerazione di una prospettiva europea rappresenta quel tipo di “utopia concreta” di cui oggi si sente grande bisogno, perché sarebbe anacronistico pensare solo in termini nazionali. Ci sono, infatti, fenomeni economici e sociali che indicano come la globalizzazione abbia effetti ambigui. Non si tratta di un processo lineare, ma di un’evoluzione storica che subisce contraccolpi e crisi, spasmi espansivi o recessivi, in una sequenza difficilmente programmabile.
I manager ricoprono posizioni di responsabilità e devono essere sensibili nel rimuovere gli effetti negativi del nuovo ciclo, conferendo un nuovo senso alla costruzione europea.

Gestire la globalizzazione
La globalizzazione quindi va gestita per ridurre effetti indesiderati e gli impatti negativi sui processi di migrazione e polarizzazione. In particolare le ricadute sociali di uno sviluppo diseguale.
L’Europa rappresenta la dimensione più adeguata per poter gestire in maniera competitiva la mondializzazione dell’economia. Se guardiamo, infatti, a due macro aree geografiche del mondo non possiamo che attribuire una potenziale capacità competitiva solo alla dimensione continentale. L’economia di Cina, Corea e Giappone sommano un Pil di 16.125 miliardi di dollari (2014), l’America del Nord ha un Pil di 20.508 miliardi di dollari, l’Unione Europea 18.495 miliardi di dollari. Si tratta pertanto di tre mercati di dimensioni simili e nessun singolo stato europeo è in grado di sostenere, da solo, la competizione con queste realtà, neppure la Germania con un Pil di 3.960 miliardi di euro.
Ma anche le dinamiche demografiche del futuro indicano la necessità di una integrazione continentale. Al 2050 la popolazione urbana sarà del tutto maggioritaria, ma mentre la popolazione residente nelle città dei paesi sviluppati passerà da 980 milioni a 1.114 milioni, quella dei paesi meno sviluppati quasi raddoppierà dai 2,9 miliardi ai 5,2 miliardi di residenti. L’Europa resterà praticamente stabile con 600 milioni di residenti urbani, a fronte dell’Asia che passerà da 2 a 3,3 miliardi di residenti nelle città e l’Africa da 455 milioni a 1,4 miliardi.

Manager per l’innovazione
Le due grandi rivoluzioni della nostra epoca - globalizzazione e tecnologie digitali - implicano la continua necessità di innovare. Innovare nella produzione industriale, nel creare lavoro con i servizi, nel rendere prestazioni pubbliche alle persone e alle comunità.
L’Italia in particolare ha la necessità di accrescere la capacità innovativa, visto che il fatturato proveniente dalle innovazioni nell’industria e nei servizi rappresenta l’11%, a fronte di una media europea più elevata, come pure le imprese italiane che hanno adeguato la propria organizzazione utilizzando soluzioni software restano a una quota relativamente bassa, pari al 19%.
La presenza dei manager nelle imprese e nelle istituzioni è il principale driver per promuovere l’innovazione. Ma purtroppo la logica con cui le organizzazioni stanno reagendo al terremoto di questi anni, è prevalentemente difensiva e centrata sul downgrading. Bisogna invece invertire la tendenza a “tagliare” o a dequalificare la struttura occupazionale.
Tra il 2011 e il 2015 in Europa i manager si sono ridotti da 12,8 a 12,5 milioni e anche in Italia si è passati da 896mila a 786mila, anche se nei primi mesi del 2016 si assiste a una inversione di tendenza, con un recupero a 836mila occupati. La tendenza alla riduzione riguarda pressoché tutti i paesi europei ad eccezione del Regno Unito che, non a caso, nel periodo della crisi ha visto crescere di quasi l’8% il suo PIL in termini reali. 
Per i manager europei, e ancor più per quelli italiani, l’innovazione costituisce la principale sfida del futuro.
La futura struttura del lavoro
Secondo una importante ricerca di CEDEFOP, istituzione dell’Unione Europea specializzata negli studi sulla formazione e sul lavoro, nei prossimi dieci anni il mercato del lavoro subirà una radicale trasformazione.
Crescerà sia la fascia delle alte professionalità (manager, professional, tecnici +7%) che quella più bassa delle professioni elementari (+6% al 2025) mentre assisteremo a una riduzione di circa il 3% del grande strato intermedio (operatori di macchine, lavoratori nei servizi e nel commercio, artigiani, ecc.).
Sempre secondo CEDEFOP, l’Italia è il Paese che registra le maggiori necessità di manager se intende riprendere un cammino di crescita nei prossimi dieci anni. In particolare i maggiori fabbisogni sarebbero concentrati nelle funzioni gestionali, amministrative e di accesso ai mercati, nel settore turistico-commerciale mentre, sia per l’Italia che per la Germania, si assisterebbe a una tendenziale riduzione delle funzioni dirigenziali legate alla produzione di beni o servizi.
La sfida del cambiamento si vince con imprese medio grandi gestite da manager. 
In Italia le medie imprese sono 18.548 contro le 54.039 della Germania, le 27.132 inglesi e le 19.324 francesi; mentre le 3.093 grandi imprese italiane si confrontano con le 10.719 tedesche, le 6.141 inglesi e le 4.179 francesi.
Sono 24.100 le imprese italiane con più di dieci addetti con almeno un dirigente, pari al 12% delle imprese, cioè un dirigente ogni otto imprese. I manager sono mediamente solo 3,3 per azienda in Italia, il valore più basso in Europa.
Il Pil europeo ha rallentato, e se si vuole tornare a crescere dovranno crescere pure i dirigenti del 7,2% al 2025 e in Italia del 29,5%.
Sviluppare la comunità dei manager con l’Osservatorio Europeo
L’insieme di queste riflessioni strutturali portano alla necessità di sviluppare la comunità dei manager europei, che hanno bisogno di parlare lo stesso linguaggio e condividere una omogenea scala di valori per praticare l’etica della responsabilità ed esercitare una effettiva funzione dirigente nelle imprese, nelle istituzioni e nel sociale.
Le principali sfide riguardano innanzitutto la necessità di aggiornamento delle competenze per aumentare la competitività, l’utilizzo di tecnologie abilitanti ICT, nuovi modelli manageriali per far emergere il talento delle organizzazioni. Le sfide riguardano anche l’eguaglianza di opportunità fra uomini e donne; nell’area manageriale infatti restano ancora molto forti le discriminazioni di genere.
Al fine di rafforzare la presenza dei manager nell’Unione Europea, proprio dalla partnership fra CIDA e CEC può nascere il progetto per realizzare un Osservatorio europeo sul management che possa portare a una comparazione fra i diversi skill, rendere sistematico il monitoraggio degli andamenti occupazionali e contrattuali, l’avanzamento delle politiche di genere e per le nuove generazioni, offrendo materiali utili per la convergenza fra manager pubblici e privati, per rafforzare i principi di etica professionale e per accrescere la reputazione di una classe dirigente che voglia andare al di là dei propri legittimi interessi per contribuire al bene comune.
Archivio storico dei numeri di DIRIGENTI INDUSTRIA in pdf da scaricare, a partire da Gennaio 2013.