“Quel che resta del giorno”
di Kazuo Ishiguro, premio Nobel per la letteratura del 2017
Josef Oskar
Responsabile Musica - Gruppo Cultura
A giudicare dal suo nome, Kazuo Ishiguro, che tradotto in italiano sarebbe Vittorio Pietra Nera, dovrebbe essere un giapponese. Invece no, è uno scrittore e cittadino britannico, i cui genitori si sono trasferiti nel Paese nel 1960, quando aveva sei anni. La sua opera va classificata come letteratura anglosassone, ma la sua origine nipponica ha influenzato il suo modo di scrivere, connotato dalla predilezione per il dettaglio più minuzioso, tipica per chi proviene da una letteratura basata sugli ideogrammi come quella giapponese. Dopo questa breve premessa, passo ad analizzare il testo.
Facile a dire, ma più difficile da fare. La trama del libro di Ishiguro segue due filoni che si intrecciano ripetutamente, obbligando il lettore a un certo sforzo intellettuale per passare da una storia personale a una di carattere storico-politico di massima importanza. Inizio con il primo filone.
Lo scrittore si affida ad una voce narrante, il maggiordomo (in inglese butler), e in questo senso egli segue una tradizione letteraria, soprattutto britannica, consolidata da due secoli di opere di altri scrittori che lo hanno preceduto. Il riferimento è, ad esempio, a Wilkie Collins, Arthur Conan Doyle, Robert Louis Stevenson, Agatha Christie e altri ancora.
Il personaggio di Ishiguro fa di nome James Stevens, ed è un maggiordomo dedito al proprio mestiere anima e corpo, al punto da trascurare completamente gli aspetti più intimi della propria vita personale. Il comportamento di Stevens è estremizzato dallo scrittore fino all’assurdo e infatti, nella sua cieca dedizione a essere un maggiordomo “degno” di questa qualifica, sacrifica i suoi affetti personali sull’altare di un ipotetico, irraggiungibile traguardo in questa professione. La governante alle sue dipendenze, Miss Kenton, cerca in ogni modo di dare vita a una relazione sentimentale, a sfondo tipicamente britannico cioè appena, appena accennata. Ma Stevens non ne vuol sapere. È talmente assorto dalla sua funzione da non voler trovare nemmeno il tempo per occuparsi di Stevens Senior, suo padre, che alla fine muore senza l’assistenza del figlio. A furia di volere iscrivere il proprio nome nella lista dei maggiordomi più illustri della nazione, egli finisce per fare la fine di uno sciocco, fuori da ogni realtà umana.
Il secondo filone, intrecciato a quello appena descritto, è di natura
storico-politica. Stevens è al servizio di un aristocratico inglese, Lord Darlington, il quale è un personaggio degli anni Venti del secolo scorso, con simpatie dichiarate per la Germania, nazione nella quale ha anche amicizie personali. Darlington è molto preoccupato per come è stata considerata la Germania nei trattati di Versailles del 1919 e segue sgomento la devastante crisi economica che travolge i tedeschi in seguito alle draconiane riparazioni di guerra imposte dalle nazioni vincitrici, in primo luogo da una Francia in cerca di vendetta. Il fatto è che, senza rendersi conto, Darlington diventa un sostenitore dei nazisti che arrivano al potere. Il nostro maggiordomo Stevens, accecato com'è dalla sua passione professionale, non riesce nemmeno ad afferrare quanto stia accadendo.
Ishiguro descrive nel suo libro un’Europa uscita dall’inferno della Prima Guerra Mondiale che si avvia verso l’apocalisse della seconda.
Arrivati a questo punto rinvio il resto della recensione, essendo il retroscena estremamente complesso, alla presentazione.
SAVE THE DATE
Il primo incontro del ciclo Premi Nobel
“Quel che resta del giorno”
si terrà
martedì 22 febbraio 2022 alle ore 17:00
Per partecipare è necessaria la registrazione su www.aldai.it