Riflessioni su pace ed economia
Pace come valore essenziale e irrinunciabile per l'uomo
Pasquale Antonio Ceruzzi
Componente dei Gruppi Cultura e Dirigenti per l’Europa e Geopolitica e del Comitato di Redazione Dirigenti Industria
Mai come in questo momento la Pace, come condizione essenziale della vita, è un tema di fortissima attualità per assicurare all’essere umano un futuro di lavoro, studio, divertimento e relazioni reciprocamente benefiche tra le persone.
La Pace, come valore essenziale e irrinunciabile per l’uomo, è una scelta di vita prima individuale e poi collettiva che si ottiene attraverso un impegno più o meno intenso, profuso quotidianamente all’interno della nostra esistenza. Questa scelta (e il relativo impegno) dovranno essere innanzitutto nostri e non potranno essere delegati ad altri. Siano essi soggetti terreni o soprannaturali.
Uomini, modelli organizzativi, istituzioni, materie del sapere possono svolgere un ruolo fondamentale nella scelta (e ricerca) della Pace. L’economia, più di altre materie, può distinguersi e dare un contributo insostituibile al mantenimento o all’ottenimento della stessa. Anzi, la ricerca della Pace è implicitamente dichiarata nella sua finalità disciplinare: “l’economia è quella scienza che, sfruttando le poche risorse finite del nostro pianeta, produce maggiore ricchezza impegnandosi poi per una sua allocazione efficiente a beneficio di tutti”. In altre parole, una buona gestione delle poche risorse disponibili deve produrre un più ampio beneficio per tutti (il contrario della concentrazione delle risorse in poche mani).
Sappiamo, per averlo studiato o a seguito di esperienza diretta, che la Pace (o la condizione di Pace) spesso viene interrotta dall’uomo perché prevale la determinazione di un uso “esclusivo” delle risorse scarse (o finite) del nostro pianeta (siano esse terre, terre preziose, terre con acqua, animali, esseri umani e altro ancora). Nella Bibbia, Caino uccise Abele per ingraziarsi la benevolenza di Dio, ma questa potrebbe essere una semplificazione per meglio indicare ai posteri (e ai fedeli) quanto sia esecrabile l’invidia e l’assassinio per questa causa. Ma, a ben guardare, Caino era un agricoltore e Abele un allevatore. Nella lunga storia dell’uomo, spesso, gli agricoltori e gli allevatori sono stati in guerra per il possesso di territori che a una categoria servivano per raccogliere cereali e frutta e all’altra per allevare animali.
Nell’Iliade di Omero, Greci e Troiani (abitanti dell’Asia minore) che avevano sempre vissuto in pace scambiandosi materie e beni, entrano in guerra per il rapimento di Elena (moglie di Menelao, fratello di Agamennone re degli Achei) da parte di Paride di Troia, fratello di Ettore e figlio di Anchise (sovrano di Troia). Il motivo della guerra che ne scaturì fu, per il grande Omero, una “questione di gelosia e di onore infranto a danno dei Greci”. Forse, è più probabile, che fosse in gioco il dominio commerciale e la supremazia economica nel Mediterraneo orientale. Le guerre puniche tra Roma e Cartagine scoppiarono per l'egemonia commerciale ed economica che garantiva il diritto allo sfruttamento di risorse agricole, minerarie e culturali che si stavano materializzando all’interno di quel perimetro noto come “mare nostrum”.
Tutta la storia di Roma è un esempio autoesplicativo del perché si esca da una condizione di Pace preesistente per entrare in una situazione conflittuale. Da un certo punto in avanti si forma anche (in maniera esplicita) il concetto di “impero”, di politica imperiale e di politica di potenza. Sempre la storia (quella occidentale) ci consegna esempi simili a quella di Roma, da Carlo Magno alle recenti nazioni europee.
Nel 1492 la Spagna di Isabella di Castiglia finanzia il progetto di un cartografo e marinaio genovese di nome Cristoforo Colombo che propone di raggiungere le Indie navigando a occidente invece che a oriente. Le Indie erano famose e rinomate per il commercio delle spezie (all’epoca molto apprezzate). Si credette in una grande intuizione (che il mondo non fosse piatto ma sferico), ma il motivo era trarre un vantaggio nel commercio delle spezie e il desiderio di realizzare un impero. La supremazia navale, a partire dal 1600, determina il primato commerciale ed economico dell’Inghilterra che crea il “Commonwealth”, un impero che domina il mondo fino al 1900. La rivoluzione industriale di fine 1700 determina un cambio di paradigma. Ne approfittano quelle nazioni leste nell’introdurre le macchine di produzione insieme al dominio commerciale dei mari. Abbiamo detto Inghilterra, ma anche Stati Uniti d’America a partire da fine 1800. Il concetto di “impero” si è nel frattempo affermato anche tra altre nazioni, tra cui Francia, Spagna, Austria e Russia: un'idea che ha una caratteristica più sofisticata rispetto al semplice controllo o sfruttamento di risorse agricole, minerarie, commerciali ed è spesso politicamente accompagnato da una forma di potere che esalta la priorità e la prevalenza di interessi di una nazione su altre (nazionalismo). La politica imperiale pianifica con anticipo invasioni di altre nazioni per ingrandire geograficamente, politicamente ed economicamente la propria.
Abbiamo detto che una buona economia sfrutta (in maniera sostenibile nel tempo) le risorse “finite” per produrre maggiore ricchezza. Se questa viene distribuita in maniera efficiente e ampia, senza che si concentri in poche mani e si crei un problema di diseguaglianza, nel nostro pianeta diminuisce la povertà e aumenta il benessere economico (e non solo) degli individui. Persone economicamente soddisfatte tendono a essere meno conflittuali e in genere più appagate della loro esistenza e ne beneficiano – di conseguenza – le relazioni personali e di gruppo. Individui e famiglie benestanti possono far studiare i propri figli che avranno quindi la probabilità di inserirsi a un livello più alto nella società (sia economicamente sia socialmente). Si crea quel fenomeno conosciuto come “ascensore sociale” che permette a individui di classi sociali non privilegiate di formarsi un livello di istruzione più alto, di inserirsi in una posizione professionale apprezzabile e magari di salire ulteriori posizioni nella “scala sociale”. Potranno condurre una vita sociale agiata, materialmente ricca di soddisfazioni e condividerla con la propria famiglia godendo in parallelo dell’ammirazione altrui. I propri figli, se inclini, potranno intraprendere un percorso di studi ancora più brillante e migliorare in ogni ambito culturale e disciplinare il traguardo dei genitori.
Una società che si forma secondo questo schema “virtuoso” ha un atteggiamento positivo verso la vita, apprezza il merito (e non la provenienza) come elemento di selezione verso i posti di leadership e responsabilità, ammette la multiculturalità e ne ha ammirazione e rispetto. Ha una visione del vivere civile dell’individuo stabilmente legato a un insieme di diritti e doveri disponibili per tutti che rende la società più equa, equilibrata e al contempo dinamica.
La forma di Stato che permette il raggiungimento e l’evoluzione positiva di questi obiettivi è la Democrazia Liberale.
La Democrazia Liberale, infatti, si dota di un insieme di diritti e doveri, inseriti nella propria Costituzione, che rende possibile la convivenza sociale, economica e politica. Possiamo parlare di “Stato di diritto” come formula che regola la pacifica convivenza dei cittadini all’interno di una nazione o l’unione di più di una. Uno “Stato di diritto” ha un ordinamento che fissa i seguenti riferimenti, essenziali per una Democrazia Liberale:
- presenza di una Costituzione;
- appartenenza della sovranità alla nazione;
- divisione dei poteri;
- sottomissione dello Stato alla legge (principio di legalità).
Inoltre, attua la separazione dei poteri rendendoli indipendenti dal Capo di Governo e tra loro:
- potere legislativo, che consente di creare le leggi;
- potere esecutivo, che si occupa dell’applicazione della legge;
- potere giudiziario, che controlla e condanna chi non rispetta le leggi.
Vige poi il “principio di legalità” inteso come obbligo per tutti, organi dello Stato inclusi, di agire nel rispetto delle leggi senza che possano costituirsi franchigie “ad hoc”. Sempre in virtù del principio appena richiamato è opportuno che coloro che siano stati designati, in virtù delle leggi, ad esercitare il potere lo facciano in modo discrezionale e non arbitrario. Va riconosciuto che l’adozione dello “Stato di diritto” da parte degli Stati sovrani ha creato, da tempo, una piattaforma trasversale di regole condivise ed efficaci che ha favorito lo scambio (e a volte l’integrazione) di uomini, culture, merci, esperienze e reso possibile una condizione di Pace benefica e duratura. Senza trascurare poi il contributo unico al progresso e al rafforzamento economico, tecnologico e sociale di interi continenti e generazioni di individui.
Chiunque, individuo o Stato, si allontani da questo bagaglio condiviso di regole, entra in quel terreno deprecabile che accetta o privilegia la limitazione delle libertà individuali e dello stato di diritto. Questa condizione è efficacemente sintetizzata con il termine “autocrazia”. Le autocrazie (in forma di Stato ma spesso di nazione) non hanno nel consenso, nella cooperazione e nel multilateralismo i valori fondanti, ma collocano al primo posto il potere assoluto (o semiassoluto) di un individuo su persone e leggi e la prevalenza dell’interesse nazionale, a prescindere, anche quando comporta la soppressione di diritti o la privazione di beni altrui. In caso di contesa, non assegna al metodo della diplomazia e al diritto quelle priorità necessarie per dirimere eventuali querelle. L’uso della forza economica o militare è contemplato, anzi a volte pianificato con anticipo. Si parla in questo caso di “politica di potenza”. Tra gli autocrati si guarda con nostalgia e revanscismo al passato per delineare il futuro. Storicamente, questo approccio si è lasciato alle spalle tragedie che è opportuno non ripercorrere prendendo posizioni chiare e distanti ogni volta che è necessario farlo.
Abbiamo detto che le migliori condizioni per godere di tutti i benefici della Pace e della libertà, nella più ampia accezione del termine, sono una continua conquista che si rinnova con passione tutti i giorni. È paragonabile, se il confronto non è improponibile, alla coltivazione di un bel fiore o di una bella pianta. Se non diamo acqua, sole e aria tutti i giorni alla nostra pianta, essa in breve tempo si ammalerà e morirà. Difendere, argomentare, testimoniare, promuovere i concetti sopra espressi (Pace, Democrazia Liberale, Stato di diritto, Libertà Individuali, Progresso Economico e Scientifico per ampliare il benessere e diminuire le diseguaglianze) sono il sole, l’acqua e l’aria necessari all’uomo per mantenere la Pace e sviluppare la Democrazia.
SAVE THE DATE
L'incontro Pace ed Economia (Progetto Pace) si terrà
giovedì 25 maggio 2023 alle ore 17:00
in Sala Viscontea Sergio Zeme
Per partecipare è necessaria la registrazione su www.aldai.it