Il manager della felicità? Ottima idea!
Il pensiero del 1° maggio va a chi ha dedicato la vita al lavoro, nelle sue interpretazioni più illuminate.
Gianni Di Quattro
Socio ALDAI-Federmanager, co-fondatore dell’associazione Nel Futuro
Tanti decenni fa Adriano Olivetti, l’imprenditore industriale diverso del secolo passato, aveva scoperto l’importanza di avere un’impresa felice. Pensava che avere dipendenti felici, aiutarli nelle cose piccole e grandi della vita, come avere una casa, mettere su famiglia, curare i bambini, assisterli sul piano sanitario, avrebbe creato serenità, e che in fondo avrebbe anche aiutato l’impresa a produrre di più e meglio.
Adriano Olivetti pensava, infatti, che curare il benessere dei dipendenti, avere attenzione al territorio fossero finalità sociali che spettavano all’impresa, così come remunerare i soci investitori e gestire bene i processi aziendali.
Il modello di Adriano Olivetti è stato studiato, imitato e adottato in varie parti del mondo da imprenditori illuminati e da capitalisti non speculatori, ma anche avversato da conservatori preoccupati, come sempre, da qualsiasi forma di innovazione e dai tanti imprenditori capitalisti ancora fermi al concetto del padronato. Così in Italia, “il metodo Olivetti” già ai suoi tempi ha incontrato l’opposizione di Confindustria, dei sindacati – che si vedevano costantemente scavalcati a sinistra e che non hanno mai capito la politica e la visione di Adriano – delle istituzioni che un po’ non capivano e un po’ temevano che tali idee avrebbero potuto costituire una forma di provocazione sociale in un momento in cui la tranquillità del paese era il massimo obiettivo.
Il modello di Adriano Olivetti è ancora attuale pur con gli adattamenti che le leggi, gli usi e le culture dei vari paesi evidentemente richiedono. In Italia ad esempio i casi Ferrero e Cucirini, (per citarne due) sono importanti, anche se replicano solo parzialmente il modello olivettiano, soprattutto per gli aspetti del welfare, ma non per quelli culturali che invece rappresentavano un elemento cardine per l’imprenditore eporediese. Altrettanto importanti erano considerati lo stesso welfare, il legame e l’interesse nei confronti del territorio su cui la fabbrica operava. Così nel mondo i casi Apple, IBM e Microsoft sono ormai dei classici esempi.
Negli ultimi tempi importanti aziende di consulenza, filosofi, osservatori sociali e uomini di pensiero stanno riscoprendo e rivalutando la figura e il pensiero di Adriano Olivetti affermando la necessità di un sistema di welfare a misura del dipendente e di un clima aziendale felice affinché l’azienda abbia maggiore possibilità di successo. Al contrario un’azienda non attenta a questi aspetti è destinata prima o poi a decadere, a scomparire nel grigiore e purtroppo anche a rischiare la propria esistenza, magari fagocitata da un’altra.
Si riscopre, di questi tempi, e con maggior forza il concetto e la necessità di perseguire la felicità, malgrado le difficoltà che imperversano, molte delle quali dovute ad un grande fenomeno di cambiamento epocale, come quello attuale favorito dallo straordinario sviluppo della tecnologia.
Gli imprenditori, a cominciare da coloro i quali sono in prima linea nella guida delle loro aziende, avvertono che non possono essere da soli i fautori di un cambiamento che deve essere soprattutto culturale e attuabile a livello di sistema.
In considerazione dell’impossibilità per motivi culturali e ambientali di riprodurre modelli olivettiani, una riflessione che merita di essere approfondita è quella di creare all’interno dell’impresa un punto, un riferimento, una persona incaricata di sviluppare un progetto per rendere felice la gente che vi lavora, che sviluppi e coordini idee ed iniziative per favorire questo obiettivo.
È bello pensare che l’impresa si pone anche obiettivi di valore sociale al di fuori di trarre profitto e remunerare chi investe e lo è ancora di più pensare che questi obiettivi riguardino gli uomini, quelli che vi lavorano e che hanno relazioni con l’impresa.
Ottima idea dunque, di cui parlare e su cui discutere. Per il futuro dell’umanità serve più umanità ovunque anche e soprattutto nell’impresa.
01 maggio 2019