PNRR e case della comunità: una svolta per la sanità pubblica?
Un medico a disposizione dei cittadini 24 ore su 24, con cure a “chilometro zero”
Tra le opere previste dal PNRR,
all’interno della Missione 6 “Salute”
Componente 1 “Reti di prossimità,
strutture intermedie e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale”, da completare entro il 2026,
è stato individuato un investimento
da 2 miliardi di euro per le “Case
della Comunità (CdC) e presa in
carico della persona”, che prevede complessivamente l’attivazione
di 1.288 strutture su tutto il territorio
nazionale (161 nel Nord-Est).
Che cosa s’intende per Casa della Comunità?
Sono le nuove strutture socio-sanitarie che erogheranno servizi
gratuiti d’assistenza sanitaria primaria, faranno attività di prevenzione, con una particolare attenzione ai pazienti affetti da patologie croniche, che costituiscono il
40% della popolazione italiana.
All’interno saranno presenti équipe
di medici di medicina generale, pediatri, medici specialistici, infermieri professionali, oltre ad altri specialisti quali psicologi, ostetriche,
tecnici di laboratorio.
L’obiettivo è di mettere a disposizione dei cittadini un medico 24
ore su 24, con cure a “chilometro
zero”, cercando altresì di alleggerire i Pronto Soccorso dagli accessi “impropri”.
Prendendo in prestito la terminologia aeronautica sono state definite
le CdC di tipo HUB, una per ogni
50.000 abitanti, che oltre a garantire l’erogazione dei servizi di assistenza primaria, offre anche attività
specialistiche e di diagnostica di
base, mentre quelle invece chiamate SPOKE, più piccole, sono finalizzate all’erogazione dei servizi
di assistenza primarie e quindi di
supporto alle prime.
Il progetto delle CdC, come appare dalla figura (*), è molto articolato
ed ambizioso perché è previsto il
rispetto di obiettivi Sociali e Culturali (Urban Health, rigenerazione
urbana, connessione e prossimità
dei servizi, identità urbana e visibilità); Ambientali e Climatici (efficientamento energetico, confort,
benessere, limitazione degli impatti
antropici come acqua, rifiuti, rumore, risorse) e Architettonici e Funzionali (appropriatezza funzionale
ed architettonica, sicurezza, flessibilità degli spazi per gli aspetti gestionali, tecnologici ed impiantistici)
pensando altresì che in futuro potrebbero essere i centri sparsi sul
territorio in prima linea contro l’ennesima variante COVID-19 o contro
qualche altro virus, nel frattempo
spuntato da chissà dove.
All’interno delle CdC, i servizi sono
stati classificati secondo tre macro-aree omogenee (*):
- SPECIALISTICA che ospita tutti i servizi di natura sanitaria quali servizi di diagnosi e cura, con la presenza di diagnostica di base, area prelievi, servizi ambulatoriali e specialistici;
- CURE PRIMARIE che accoglie tutti gli spazi per la Medicina di Gruppo, tra cui i Medici di Medicina Generale (MMG), Pediatria di Libera Scelta (PLS) e gli Infermieri di Famiglia o Comunità (IFoC), ecc.;
- ASSISTENZA DI PROSSIMITÀ che ospita Assistenza medica H24/12, servizi infermieristici, il Punto Unico di Accesso (PUA) sanitario e amministrativo, nonché uno sportello e uffici sede dei servizi socio-sanitari quali la presenza di un assistente sociale, di prevenzione, di assistenza domiciliare, ecc.
Ci sarà naturalmente anche un’area riservata ai servizi generali e logistiche che l’utente non vede e che accoglie tutte le funzioni non sanitarie che permettono il funzionamento della struttura. Nubi all’orizzonte? Molte e molto scure!
L’interruzione della legislatura e la caduta del governo Draghi stanno mettendo a rischio quella che si supponeva una rapida conclusione della sospirata revisione del Codice degli Appalti, che costituisce forse il tassello più importante per l’attuazione dei lavori previsti dal PNRR.
Lo ha chiaramente espresso anche il ministro per le Infrastrutture e la Mobilità, nel corso di una conferenza stampa in occasione del forum di Cernobbio di quest’anno, nei primi giorni di settembre, nella quale il ministro evidenziava come la competenza per questa riforma sia della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che la legge delega è stata sì approvata nel giugno 2022, ma che manchino ancora tutti i decreti attuativi, senza i quali il lavoro svolto risulterà sostanzialmente inutile ed inefficace.
Il nuovo parlamento che dovrà dare il proprio parere non è quello che ha approvato la legge delega e oltretutto si troverà ad affrontare gli enormi problemi conseguenti alla crisi energetica che si prospetta per l’inverno e i tempi a questo punto sono molto stretti perché la scadenza è il mese di marzo del 2023, sono “solo” sei mesi che per la burocrazia italiana equivalgono ad un battito di ciglia. L’altro ostacolo che si presenta è la ormai cronica mancanza di personale sanitario: secondo le stime dei medici ospedalieri (Anaao) e degli infermieri (Fnopi) mancherebbero complessivamente circa 82.000 tra medici (12.000) e personale infermieristico (70.000).
Ci sono due ostacoli fondamentali da superare: la cronica difficoltà a trovare operatori già formati, visto l’imbuto formativo del passato ed il tetto di spesa del personale che prevede che non si superi il costo del 2004, a cui sottrarre l’1,4%.
Rischiamo fortemente di riuscire a realizzare le Case di Comunità nei tempi stabiliti dal PNRR, ma poi di lasciarle chiuse per mancanza di personale: sarebbe una beffa per tutti i cittadini che stanno aspettando questa nuova struttura “di prossimità” che dovrebbe far fare un salto di qualità alla sanità pubblica, alleggerendo altresì i carichi lavorativi dei Pronto Soccorso, nei quali si sa quando si entra ma non quando si esce, se si esce, luoghi che il sentimento comune classifica come molto pericolosi.
L’Italia ce la farà anche questa occasione? Credo che questa volta convenga prendere in prestito dal Manzoni il suo “ai posteri l’ardua sentenza!”.
(*) Credits: Agenzia Nazionale per i Servizi
Sanitari Regionali – Politecnico di Milano:
“Documento di indirizzo per il metaprogetto
della Casa di Comunità”.
21 settembre 2022