Val di Fiemme, modello economico virtuoso

Riflessioni sul tessuto economico di questa “oasi felice” dell’industria trentina

Franco Torelli  

Presidente Federmanager Trento
Dopo le recenti visite presso alcune aziende della val di Fiemme, qualcuno mi ha suggerito di fare alcune riflessioni sul tessuto economico di questa “oasi felice” dell’industria trentina ed ho fatto queste interessanti scoperte che qui racconto. 

Federmanager Trento visitò anni fa con grande emozione la Ciresa Enrico s.r.l. azienda storica della val di Fiemme, produttrice di un legno unico al mondo per le sue caratteristiche di sonorità, adatto per costruire da oltre quattro secoli tavole armoniche per tutti i tipi di strumenti musicali classici a corde e dei piu famosi pianoforti del mondo: l’Abete di Fiemme veniva scelto già da Antonio Stradivari per la produzione dei suoi famosi violini e ancor oggi questo particolare legno di risonanza, leggero ed elastico, permette di ottenere il suono straordinario che tutti ancora oggi gli riconoscono.
Sempre in val di Fiemme recentemente abbiamo visitato anche il pastificio piu alto d’Italia, il pastifico Felicetti a Castello di Molina di Fiemme dove non cresce una spiga di grano, ma dove arrivò anni fa una lettera di Hillary Clinton che si complimentava per le «penne» Felicetti fornite alla Casa Bianca e che oggi, ad esempio, raggiungono gli esclusivi magazzini londinesi Marks & Spencer: eravamo rimasti tutti sorpresi nel vedere sistemi produttivi così avanzati e robotizzati che immersi nel profumo di semola ripetevano oggi, alla quinta generazione, i gesti sapienti dei bisnonni che qui lavoravano le migliori farine italiane con le acque pure delle dolomiti e l’aria incontaminata delle nostre valli. 

Lo scorso anno siamo stati ospitati anche da la Sportiva di Ziano di Fiemme che produce con la stessa cura artigianale di cento anni fa del fondatore, Narciso Delladio, calzature di cuoio e gomma per gli amanti della montagna, dagli scarponi per l’alta montagna e per l’escursionismo a quelli per l’arrampicata su ghiaccio e alle scarpe da trail running fino alle famose scarpette da arrampicata. 

Anche qui abbiamo ritrovato che l’abilità imprenditoriale è stata coniugata ad una grande sensibilità ai temi ambientali e sociali innovando un marchio antico attraverso design e stile italiano. 
Esiste insomma un filo rosso che accomuna queste belle aziende di questa vallata dolomitica tra la Catena del Lagorai, le Pale di San Martino e il gruppo del Latemar, dove ci sono 60 milioni di piante e 20.000 abitanti (3000 piante per abitante!), ma ci sono quaranta imprese, alcune davvero storiche, che hanno da anni fatturati in crescita e spesso utili a doppia cifra. 

E dove la disoccupazione non c’è. Ma quale sarà il segreto? 
Una prima risposta viene dal professore di economia aziendale della Bocconi, Paolo Preti, trentino d’adozione, che ricorda come i valligiani sono sempre stati abituati ad organizzarsi da soli: fin dal medioevo sono proprietari delle loro foreste che amministrano ancora oggi con un “parlamentino” unico nel suo genere chiamato “Magnifica Comunità”. 

Questa antica autonomia amministrativa, l’indipendenza dal vescovo di Trento, dall’Impero Austro-Ungarico e perfino da Napoleone e la conseguente democrazia dal basso, sono gli ingredienti storico culturali che stanno dietro a questo grande fiorire imprenditoriale. Oggi questa orgogliosa autonomia la vediamo nel forte attaccamento di questi imprenditori al territorio ed alle loro radici storiche, spesso centenarie, che legano fortemente imprese e comunità e portano ad un benessere diffuso e condiviso: ecco l’altro aspetto importante che accomuna queste aziende, la sostenibilità ambientale e sociale
Nonostante le difficoltà di fare impresa a 1000 metri, qui le aziende hanno il sostegno della comunità e sono messe nelle condizioni di crescere e di affermarsi contribuendo a sviluppare il tessuto economico locale. 

Esse poi restituiscono alla valle i benefici di questo sviluppo consentendo alle persone che vi abitano di beneficiare di un benessere altrimenti impensabile: cioè producono prestando sempre attenzione all’impatto ambientale e sociale dell’azienda sul territorio e all’equilibrio tra uomo, impresa e natura. 

Solo un esempio: qui è stata fondata la prima comunità cooperativa energetica rinnovabile del Trentino per la produzione e l’autoconsumo collettivo di energia sostenibile: di comunità energetiche rinnovabili si parla già da molto tempo, ma la prima ad aver assunto la forma di cooperativa è proprio la “Comunità Energetica Fiemme soc. coop.”. Che offre importanti valori aggiunti tra cui la partecipazione democratica alla produzione e al consumo di energia: il mutualismo tra i soci, il modello di partecipazione alla governance, la decisione condivisa sulla destinazione degli utili o nella scelta degli obiettivi da raggiungere sono alcuni tra gli aspetti che rendono questa ragione sociale la più adatta per questo tipo di comunità. 

Recentemente questo forte spirito di cooperazione ha preso anche forma istituzionale nella Fondazione FiemmePer, un’iniziativa di partner privati e collettivi nata per unire e dare forza alle imprese della valle che puntano su sostenibilità e innovazione, attraverso iniziative volte a sostenere reti d’impresa, nuova imprenditorialità e lavoro in aree montane; oppure iniziative per la qualità dell’ambiente, del benessere delle persone e della qualità della vita ed infine anche attività formative e culturali promuovendo bandi, studi e ricerche, senza mai dimenticare i temi della fragilità territoriale: stanno lavorando infatti ad un progetto per generare crediti di carbonio “made in Italy”, così da sostenere e proteggere la loro foresta che negli ultimi anni ha subito i danni della tempesta Vaia e quelli dell’attacco del bostrico, un insetto che distrugge gli abeti. 

Insomma, visitando alcune aziende abbiamo finito per scoprire a pochi passi dalle nostre città un vero laboratorio di innovazione sociale, economica e culturale, un microcosmo che protegge, tutela e stimola le intelligenze e le bellezze del proprio territorio riuscendo a contrastare le dinamiche di spopolamento della montagna alpina e, più in generale, dei territori decentrati dalle aree metropolitane. 
Un modello da esportare.