Calano export e occupazione a Nordest e in Italia nel 2023, segnali di difficoltà, urge reagire

Mediobanca ha certificato che nel 2022 il poter d’acquisto è sceso del 22% ed è necessario intervenire a livello strutturale per evitare un crisi economica e sociale

Daniele Damele  

Presidente Federmanager Friuli Venezia Giulia

Una flessione del 9,5% nel 2023 per le esportazioni del Friuli Venezia Giulia con un saldo che si ferma poco oltre i 5 miliardi di euro, erano 5,54 nel 2022 ed una del 2,1% per il Veneto nel secondo trimestre 2023.

Allargando lo sguardo ai primi sei mesi dell’anno, Il Friuli Venezia Giulia peggiora la variazione percentuale, anche se di poco, attestandosi a 9,54 miliardi di euro, -9,7%, contro i 10,56 del primo semestre 2022 mentre il Veneto torna in terreno positivo, +3,2%, con 42,04 miliardi di esportazioni a fronte dei 40,7 miliardi dello stesso periodo del ‘22.

Restando a Nordest, Trento mette a segno una buona performance, con una crescita del 6% nel semestre; Bolzano registra una variazione più modesta, ma sempre molto positiva, del +3,3%, e l’Emilia Romagna chiude il semestre a +2,8%.

La macroarea mette, quindi, a segno una variazione del +1,7% nel semestre contro il +6,6% del Nordovest. Percentuali più elevate per il Centro e il Sud, rispettivamente +5,3% e +14%, ma su valori più modesti.

È un evidente segnale di difficoltà e, purtroppo, non è l’unico. Mediobanca ha recentemente certificato che nel 2022 il poter d’acquisto è sceso del 22%. Com’è noto la BCE ha, a metà settembre, rialzato i tassi d’interesse portandoli al 4,50% provocando effetti non certi positivi per l’euro, ma soprattutto per imprese e cittadini.

Forse è il momento di frenare l’inflazione in maniera differente rispetto a quest’unica forma dettata da algoritmi del passato (obsoleti?). 
Anche uno studente di ragioneria o un liceale comprende bene che dette scelte della BCE provocano e provocheranno problemi specie per gli Stati con un debito pubblico più elevato. 

Preoccupazioni vi sono pure per l’occupazione. Il settore del manifatturiero ha un futuro con maggiori possibilità di contrazione rispetto a quelle di sviluppo. Se mancano ordini va da sé che si passa in una situazione di difficoltà, fors’anche di criticità. Ma se la domanda globale s’indebolisce, la Germania resta in recessione e a livello mondiale, con riferimento all’Occidente, non si intravvedono nuove politiche, nuovi scenari, visioni che possano far riprendere la crescita, la domanda, lo sviluppo, la modernizzazione accanto alla valorizzazione dei talenti e a un operoso benessere collettivo, è evidente che c’è di che preoccuparsi. 

Il PIL italiano è in calo nel secondo trimestre del 2023, frena più del previsto tanto che la stima diffusa da Istat lo scorso 31 luglio è di una riduzione congiunturale dello 0,3% e di una crescita tendenziale dello 0,6%. 

È necessario intervenire a livello strutturale, occorrerebbe farlo a livello mondiale, ma dobbiamo preoccuparci di casa nostra che significa Nordest italiano, Italia e Europa, ciascuno secondo le proprie responsabilità e il proprio ruolo. Non esistono ricette magiche, tantomeno salvatori della Patria, ma se non esiste una volontà comune di politica, imprese, dirigenti, lavoratori, associazioni, PA e cittadini manca la possibilità di evitare di tornare ad aprire una nuova crisi sociale ed economica, finanziaria e delle persone come avvenuto nel 2008 che, se ci pensiamo bene è solo 15 anni fa.