Imparare a imparare
Quella che stiamo vivendo non è solo una rivoluzione tecnologica: è una metamorfosi cognitiva che ridisegna lavoro e società. L’Italia può subirla o contribuire a guidarla
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Giuseppe Torre
Responsabile scientifico dell’Osservatorio 4.Manager
L’era della conoscenza aumentata rappresenta una vera transizione d’epoca, paragonabile all’invenzione della scrittura. Più di un miliardo di lavoratori della conoscenza, tre miliardi di persone connesse a reti sempre più intelligenti, zettabyte di dati e intelligenze artificiali che incrementano esponenzialmente le loro capacità cognitive: questi fenomeni celano un cambiamento che sta modificando profondamente i percorsi evolutivi dell’umanità.
L’illusione della biforcazione del mercato del lavoro
La narrativa dominante propone due futuri: uno dove la tecnologia integra il lavoro rendendolo più efficiente, l’altro dove lo sostituisce progressivamente. Questa dicotomia è profondamente miope perché ignora che la conoscenza aumentata non produce una modificazione tradizionale del mercato del lavoro, ma ne causa una profonda metamorfosi.
La specificità di questo fenomeno risiede nell’esternalizzazione non solo della memoria o della comunicazione, ma della sintesi e dell’inferenza cognitive stesse. Già oggi si misurano fenomeni di dissoluzione dei confini tra professioni: data analyst fanno design strategico, copywriter programmano automazioni, recruiter diventano prompt engineers, filosofi hackerano gli LLM. Monitorare singole competenze non basta più, dobbiamo monitorare cluster di competenze che segnalano qualcosa che prima non esisteva.
Questa ricomposizione è già osservabile in aziende come Anthropic e OpenAI, che creano ruoli non mappabili sulle tassonomie tradizionali. L’accelerazione è verificabile: si passa da incapacità di ragionamento logico a performance superiori in mesi, non decenni. Tuttavia, la transizione non è uniforme: Silicon Valley e Shenzhen sono già nell’era della conoscenza aumentata, mentre ampie porzioni d’Europa operano ancora secondo paradigmi industriali o pre-industriali.
La generazione della perpetua transizione
La disoccupazione giovanile italiana rimane tra le più alte d’Europa: nel 2025 si attesta tra il 17% e il 22%, a seconda delle fasce considerate. Gli studi individuano diverse concause: bassa alternanza tra formazione e lavoro, con un sistema di apprendistato poco diffuso; elevata quota di Neet (15% dei giovani italiani nel 2024, tra i dati più alti d’Europa); elevato abbandono scolastico precoce e scarsa partecipazione femminile; forti disparità territoriali, con le regioni del Sud (Campania e Sicilia) che superano il 34% di disoccupazione giovanile.
A questo si aggiunge una condizione senza precedenti storici: i giovani che entrano oggi nel mercato affrontano la certezza che le competenze acquisite durante la formazione saranno parzialmente obsolete prima del completamento del percorso stesso. Non è semplice obsolescenza tecnologica, ma metamorfosi delle categorie lavorative.
Il modello novecentesco (scegli una professione, acquisiscine le competenze, praticala per quarant’anni) si è estinto, ma i sistemi educativi continuano a preparare studenti traguardando ancora quel modello. I giovani devono invece sviluppare “learning agility”: non imparare competenze specifiche, ma imparare a imparare in continuazione, a identificare competenze emergenti, a ricomporsi professionalmente. L’identità professionale (“sono un ingegnere”, “sono un avvocato”) diventa fluida.
Sovrapponendo il disagio lavorativo giovanile alla metamorfosi indotta dalla conoscenza aumentata, emergono dinamiche che vanno oltre la persistenza di un problema decennale. Le debolezze strutturali italiane rischiano di trasformarsi in acceleratori di esclusione nel nuovo paradigma cognitivo.
La bassa alternanza formazione-lavoro assume una gravità completamente diversa nell’era della conoscenza aumentata. In Germania o nei Paesi Bassi, dove l’apprendistato è robusto, i giovani entrano in ambienti lavorativi che stanno già metabolizzando l’integrazione con l’AI. Un apprendista elettricista tedesco nel 2025 usa già strumenti diagnostici assistiti da AI, legge schemi generati algoritmicamente, coordina la manutenzione predittiva. Sta vivendo la transizione. Un giovane italiano che completa una formazione scolastica scollegata dal mondo produttivo arriva sul mercato quando la metamorfosi è già avvenuta. Non ha vissuto il processo, deve saltare direttamente alla forma finale. Questo gap non è colmabile con un corso di aggiornamento: richiede una ricostruzione cognitiva profonda che il sistema italiano non prevede né finanzia.
Il fenomeno Neet ha una lettura ancora più preoccupante: potrebbero essere l’avanguardia involontaria di una disoccupazione strutturale che si genera quando le categorie lavorative tradizionali si dissolvono più velocemente di quanto ne emergano di nuove. Molti giovani Neet non sono semplicemente disoccupati che non cercano lavoro: hanno provato, si sono scontrati con richieste di “3-5 anni di esperienza in tecnologie nate due anni fa”, con job description che mescolano competenze di quattro professioni diverse, con processi di selezione che richiedono portfolio in ambiti che la scuola non insegna. Si sono ritirati non per inerzia ma per incomprensibilità del panorama.
Le disparità Nord-Sud si sovrappongono drammaticamente alle mappe dell’accesso alla conoscenza aumentata. Le infrastrutture digitali, la presenza di aziende tecnologicamente avanzate, l’ecosistema di startup, la concentrazione di competenze AI sono fortemente sbilanciate verso il Nord. Un giovane napoletano o palermitano non solo ha meno opportunità quantitative, ma ha anche minore esposizione agli ambienti dove la metamorfosi sta avvenendo: non vede quotidianamente come si lavora con l’AI, non ha mentori che orchestrano workflow ibridi, non partecipa a comunità professionali che sperimentano i nuovi ruoli emergenti.
La scarsa partecipazione femminile al lavoro giovanile rischia di incrociarsi tragicamente con le dinamiche della conoscenza aumentata. Se le professioni tradizionalmente femminilizzate (insegnamento, assistenza sociale, alcune specialità mediche, ruoli amministrativi) vengono automatizzate o dissolte più rapidamente di altre, le giovani donne italiane si trovano in una doppia trappola: escluse dal mercato tradizionale per barriere culturali, ed escluse dal mercato emergente per mancanza di accesso alle competenze morfogenetiche. C’è però una contro-lettura possibile: le competenze relazionali, empatiche e di mediazione, storicamente più sviluppate nelle donne, potrebbero acquisire valore relativo proprio in contesti altamente automatizzati, ma solo se le giovani donne hanno accesso agli strumenti della conoscenza aumentata per amplificare queste competenze.
L’Italia ha inoltre un problema peculiare: un numero crescente di laureati che non trovano occupazione adeguata. Nell’era della conoscenza aumentata questo paradosso si esaspera. I giovani completano percorsi universitari quinquennali strutturati su tassonomie disciplinari novecentesche, mentre il mercato cerca figure che orchestrano competenze trans-disciplinari in configurazioni fluide.
Le opportunità nascoste
Paradossalmente, il ritardo italiano potrebbe creare opportunità. Mentre altri Paesi hanno già consolidato certe traiettorie, l’Italia ha ancora margini per sperimentare modelli alternativi. Un giovane napoletano con accesso a Claude o ChatGPT ha teoricamente le stesse capacità cognitive aumentate di un coetaneo di San Francisco, ma opera in un contesto meno saturo, con nicchie ancora scoperte.
Se emergesse una generazione di giovani italiani capaci di applicare la conoscenza aumentata a settori tradizionali del Made in Italy (moda, design, agroalimentare, turismo culturale), potrebbe creare modelli competitivi globalmente. Una ventenne pugliese che usa AI per innovare la filiera dell’olio d’oliva, o un giovane milanese che applica generative AI al design tessile, potrebbero trovare spazi di mercato immensi proprio perché questi domini non sono ancora stati colonizzati dai grandi player tecnologici.
L’Italia ha una densità di patrimonio culturale, artistico, storico senza eguali. Nell’era della conoscenza aumentata, questa ricchezza potrebbe diventare un dataset strategico. I giovani italiani che sviluppano competenze nell’intersezione tra humanities e AI (digital humanities aumentate, curatela algoritmica, storytelling culturale assistito da machine learning) hanno materiale su cui lavorare che altri Paesi non possiedono.
L’Italia dovrebbe lanciare un piano nazionale per portare le competenze di base nell’uso di AI avanzate a tutti i giovani, indipendentemente dal percorso formativo. Non corsi di informatica tradizionali, ma laboratori dove si impara a formulare problemi complessi per sistemi AI, valutare criticamente output algoritmici, orchestrare workflow ibridi umano-macchina, analizzare questioni etiche dell’automazione cognitiva. Questo dovrebbe iniziare nelle scuole medie e proseguire in tutti i percorsi, inclusi quelli umanistici e artistici.
Il modello italiano di conoscenza aumentata
La densità culturale italiana genera una forma peculiare di intelligenza contestuale diffusa, di creatività distribuita e di literacy visiva e compositiva, ma anche una forma di artigianalità che rappresenta un modello epistemologico alternativo. Gli artigiani cognitivi usano l’AI come l’artigiano usa i suoi attrezzi: con maestria, adattandosi al compito, portando esperienza non riproducibile algoritmicamente.
Esaltare queste nostre peculiarità è esistenziale, ma la finestra temporale è stretta. Tra cinque anni potrebbe essere troppo tardi: le disuguaglianze si saranno cristallizzate, il Sud permanentemente staccato dal Nord, l’Italia periferizzata nell’economia cognitiva europea. Ma se l’Italia usasse le sue specificità come base per un modello alternativo di conoscenza aumentata, potrebbe trasformare una debolezza in posizionamento strategico.
A questo punto la scelta è: puntiamo tutto sulla rincorsa del modello dominante, dove partiamo svantaggiati, o investiamo nel modello divergente dove abbiamo asset unici?
Tratto da Progetto Manager
01 novembre 2025
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