Se riconsidero a distanza di tempo il mio ormai pluriennale impegno nell’ambito del Gruppo Cultura di ALDAI nel sicuramente immeritato ruolo di “diffusore” di conoscenza e cultura jazz, posso senza falsa modestia sostenere di avere negli anni passati toccato e riscoperto sotto diverse angolature, a beneficio del mio affezionato pubblico, tutti gli stili di questo straordinario genere musicale: dal Ragtime di fine Ottocento, al New Orleans di inizio Novecento, dal Dixieland degli anni Dieci al Chicago degli anni Venti, dallo Swing degli anni Trenta al Bebop degli anni Quaranta, dal Cool e Hard Bop e il Latino degli anni Cinquanta al Free Jazz dei Sessanta, per arrivare al Jazz Rock degli anni Settanta, fino alle significative riprese e alle interessanti contaminazioni degli ultimi decenni.
Un genere il jazz che, nato dalla contaminazione e dall’incontro delle melodie ed armonie europee con l’esperienza e le tradizioni dell’uomo di colore, oggi appartiene di diritto alla prassi esecutiva e alla musicologia studiata nei conservatori e nelle università di tutto il mondo. Il jazz è il suono del cambiamento, della trasformazione, della crescita e dello sviluppo. Nel jazz niente rimane uguale. E pensare che diversi capolavori del jazz delle origini sono nati dentro locali malfamati, poco silenziosi e poco rispettosi della forma artistica, per un pubblico che familiarizzava con superalcolici e stupefacenti e si distraeva con le donnine del locale, insomma una platea non del tutto concentrata sull’ascolto, eppure per quanto si sia sviluppato globalmente, e per quanto indubbiamente continuerà a farlo, il suo patrimonio di base resta quello formulato, primi fra tutti, dagli afroamericani. Il messaggio del jazz non è solo “sii te stesso”; il jazz dice anche “libera te stesso”. Il jazz è una musica di comunità, di unione, di condivisione, di abilità, di compromesso: fondamentalmente dell’abilità di comunicare.
La storia del jazz è fatta di album/CD straordinari, vere e proprie opere geniali che hanno cambiato questa musica nel suo insieme. Dischi che hanno ispirato altri artisti, che hanno spostato in avanti il confine dell'ispirazione e della sperimentazione.
Il jazz, come combinazione e incontro di culture trasposte in melodie, ritmi, colori, fraseggi e armonie che si compenetrano e si scompongono in un’inedita alchimia e iterazione di suoni, trova nei suoi dischi la sua storia, la sua identità, e i segni del suo futuro.
Orientarsi nella giungla delle uscite discografiche con decine, centinaia, migliaia di titoli diversi, ristampe, cofanetti e così via non è facile e quindi il compito che mi sono scelto quest’anno è quello di tentare di fornire a chi solo è incuriosito e/o a chi già apprezza il jazz ma vuole saperne di più, alcuni consigli di come dotarsi di una discoteca la più completa possibile. Naturalmente queste indicazioni o suggerimenti non hanno ambizioni esaustive, ci saranno fior di musicisti che per mancanza di spazio e di tempo, dovranno forzatamente essere trascurati.
Lo stesso discorso vale per i jazzisti italiani di cui in genere non ho parlato molto nei passati incontri. Ma una ragione c’è. Anche se la loro opera, ramificata e complessa, meriterebbe un’analisi approfondita, non tutti gli artisti più interessanti hanno inciso per le major, talvolta molti di loro sono stati costretti ad utilizzare i canali dell’autoproduzione o a registrare per etichette piccolissime.
Per cui ritengo sia assolutamente meglio e più produttivo far conoscere al mio pubblico prima Clifford Brown, Duke Ellington, Bill Evans, Miles Davis e John Coltrane, ecc. specie a chi inizia ad accostarsi al jazz, perché ciò gli sarà utile per comprendere più facilmente anche il lavoro dei musicisti di casa nostra.
Quali dischi dunque sono assolutamente indispensabili per capire quale meravigliosa esperienza sia il jazz? Attraverso l’analisi dei singoli dischi si cercherà di offrire una serie di consigli per orientarsi in questo variegato universo. Fondamentale, come sempre, sarà l’ascolto di vari brani tratti dai dischi selezionati onde formare una lista con una certa valutazione di merito, e più semplicemente una campionatura di titoli necessari per crearsi una discoteca non superficiale, la cui fisionomia sarà determinata dalle scelte successive e personali che ognuno potrà fare autonomamente.
Prendendo spunto dal programma dell’anno scorso, in cui si parlava di strumenti, ho pensato anche quest’anno di suddividere la lista dei dischi consigliati per categorie strumentali come se ci trovassimo di fronte ad una grossa band e quindi si parlerà e si ascolteranno pianisti, chitarristi, bassisti, batteristi, trombettisti, sassofonisti, cantanti, e così via che naturalmente si esibiranno insieme ad altri strumentisti loro colleghi.
Cercheremo di capire come certi musicisti siano o siano stati grandiosi, per il loro acume, per la qualità delle loro idee musicali, per la potenza espressiva. Capiremo come per i migliori musicisti la musica non ha nulla a che fare con “le scuole”. Per loro c’è solo una scuola, quella del “sai suonare?” ed è composta solo da individui che onestamente possono risponder di si a questa domanda