Il coraggio di costruire la Pace
Come Gruppo Cultura desideriamo condividere, approfondire e collaborare alla Pace, con la partecipazione di tutti e nel rispetto delle singole posizioni: ogni fede, ogni dubbio, ogni vuoto può contribuire a percorrere insieme un piccolo passo verso la vera pace dei popoli
Alberto Cantoni
Componente del Gruppo Cultura
Non è casuale che in questi tempi si parli di pace e soprattutto che il tema della pace sia entrato di forza nella conversazione di ogni persona.
Sorgono però spontanee alcune domande: che significato e valore diamo alla parola Pace? Che ragione hanno gli altisonanti proclami che spesso si risolvono in nulla di fatto e niente possono contro l’aggressione violenta della guerra? Quali forze ci spingono a ignorare le regole di convivenza animale, da cui noi deriviamo, governate da leggi naturali che nulla hanno a che vedere con la guerra, pur essendo fondate sulla legge del più forte e sulla reazione violenta a difesa della sopravvivenza di una specie?
Nell’alterna fortuna della storia umana nel corso dei secoli, appare comunque sostenibile che è stato lo sviluppo del pensiero a tracciare la strada verso la convivenza fra i popoli e la nascita delle scienze, a ciò che chiamiamo civiltà.
Da millenni la comunità umana aveva mostrato segni di indiscutibile progresso verso forme di vita sempre più organizzate, con sorprendenti risultati che ancora oggi segnano le terre in cui si sono sviluppati. Tale progresso era stato realizzato principalmente con il dominio e il potere dei forti contro i deboli, con il possedere e non con il condividere. Solo il coraggio di sostituire l’esaltazione della forza con la luce della ragione, con la filosofia, ha permesso il reale sviluppo della civiltà, senza il quale nessuna condizione di equilibrio fra i popoli è possibile. In tal modo, l’umanità ha potuto scoprire fra infinite divergenze e contraddizioni che la ricerca di un fattore esistenziale fondante la convivenza dei popoli era ed è irrinunciabile, e questo elemento, questa scoperta che permane, è ciò che possiamo chiamare Pace. La sua caratteristica più seducente è quella di poter essere un bene universale che, nell’evolversi del tempo, impone dei limiti alle scelte personali, per garantire una convivenza universale, senza per questo essere un impedimento al progresso civile dei popoli. Un limite che apre a spazi infiniti.
In tempi non lontani e nel solco dello sviluppo della civiltà nel tempo, Erich Fromm nei primi anni ’70 del XX secolo ha sostenuto l’indiscussa prevalenza dell’essere rispetto all’avere, della condivisione rispetto alla sopraffazione.
Superando la rigida logica del pensiero puro, per entrare nell’intimo della coscienza umana, ha potuto affermare che “si deve parlare oggi piuttosto di società malata, inadeguata cioè alle esigenze e alle richieste dei suoi membri, che non di personalità umane malate. La persona umana, integra e razionale, deve mettersi in rapporto di amore col mondo e associarsi ai suoi simili per sconfiggere la sciagura dell’irrazionalità e del totalitarismo per vivere libera” consapevole e responsabile delle proprie scelte.
Volendo fare un bilancio del tempo che ci ha preceduto, si deve ancora notare una sorprendente contraddizione: non è stata una condizione di Pace consolidata la via per lo sviluppo umano nella storia del mondo. Le alterne fortune della nostra esistenza si sono realizzate nell’incoerenza della donna e dell’uomo come persone e quindi in un susseguirsi di relazione e di scontro che ha comunque favorito tanto il progresso sociale, scientifico ed economico come quello etico e morale.
Un bene intrinseco e un male intrinseco che nel complesso svolgersi del tempo hanno permesso un percorso di crescita civile e positiva. La vita del nostro tempo infatti, vista nel suo insieme, è certamente più ricca di opportunità e di valori e meno lacerata da violenza devastante di quanto non sia stata nei lontani tempi della nostra storia e spesso anche del recente passato.
“Where this is taking our present civilisation we cannot know. Civilisations may rise and fall but they tend to do so over centuries, rather than over months or years, which is now the measure of most things. What we do know is that human values are formed and fostered by human culture and that no culture, not even in the best of all possible worlds, can shield us from becoming the barbarians. Civilisation and Auschwitz are not a contradiction in terms. Candide would probably understand” (Göran Rosenberg).
Non si può escludere che lo stato alterno dello sviluppo della civiltà umana sia dovuto anche al permanere di una confusione fra ciò che un fatto è in se stesso e come viene definito e realizzato. Nel caso della Pace, elemento ormai capitale per la nostra coscienza di persone, lo stato di confusione che appare a un’analisi profonda dei fatti dovrebbe portare alla consapevolezza che noi tutti abbiamo troppo spesso confuso la Pace con la non belligeranza e la condizione di Pace con una condizione di sempre più prolungata tregua fra persone e popoli. Con accordi di convenienze e non con un modo di essere personale ove il bene comune è premessa e conclusione di ogni esistenza. Per richiamare Fromm, con il dominio dell’avere e non con la luce dell’essere.
Dichiarare la Pace non significa essere in Pace, come ha mostrato il XX secolo dopo la Prima Guerra Mondiale, antecedente della Seconda Guerra Mondiale, antecedente della Guerra Fredda e del potere sui beni del mondo che permette ai ricchi di sfruttare le risorse naturali e schiavizzare i poveri aprendo nuove e sempre devastanti condizioni di guerra. È la coscienza di essere parte di un ordine universale che porta alla Pace.
Poco tempo dopo la morte tragica nel 1961 di Dag Hammarskjöld, illuminato Segretario Generale delle Nazioni Unite e Premio Nobel postumo per la Pace, Papa Giovanni XXIII ritorna ancora sul tema della Pace. Dichiara esplicitamente che “I progressi delle scienze e le invenzioni della tecnica attestano come negli esseri e nelle forze che compongono l’universo regni un ordine stupendo. Attestano la grandezza della persona umana che scopre tale ordine e crea gli strumenti idonei per impadronirsi di quelle forze e volgerle a suo servizio”.
Parole condivisibili da ogni persona, che rispettano la fede nel Dio eterno della Pacem in Terris come il vuoto del più radicale nichilismo perché parlano del mondo reale e non di qualcosa di immaginario oltre il mondo di cui noi siamo parte. La pace rappresenta un valore (bene) che, quando acquisito veramente e non solo occasionalmente, permane e sostiene l’evolversi della persona umana nel tempo (civiltà).
È veramente la Pace che, come ALDAI Cultura, desideriamo condividere e approfondire, alla cui costruzione desideriamo collaborare nel tempo presente. Con la partecipazione di tutti e nel rispetto delle singole posizioni, ogni fede, ogni dubbio, ogni vuoto può contribuire a percorrere insieme un piccolo passo verso la vera pace dei popoli.