Muri che dividono e muri che uniscono

Tanti sulla superficie terrestre, tanti nella storia dell’umanità, per tenere le persone fuori o per tenere le persone dentro, ma non solo…

Daniela Savini

Componente del Gruppo Cultura, già insegnante presso Liceo Scientifico Vittorio Veneto, Milano







Il Gruppo Cultura propone, quest’anno, ai propri iscritti e a chiunque sia interessato, di riflettere su questo ampio argomento dalle molteplici sfaccettature, anche attraverso l’analisi di scritti di autori appartenenti a varie letterature. Pensiamo che lo spunto offerto, essendo anche di stringente attualità, possa coinvolgere i partecipanti in interessanti dibattiti.
Oggi, quando si parla di “muri”, non possono non venire in mente quelli già eretti o che si vogliono erigere, finalizzati, principalmente, al contenimento o al respingimento di persone. Si calcola che, nel corso della storia, nel mondo siano stati costruiti quasi 10.000 chilometri di barriere.

Ma perché le nazioni erigono muri?

La costruzione di barriere è un’idea molto antica che si è ripetuta nella storia per millenni. Fin dall’antichità il fatto di innalzare muri ha sempre rappresentato per l’uomo un’attività naturale, quasi istintiva, per difendersi dagli attacchi esterni, per separare una realtà interna conosciuta e consolidata da una minaccia che poteva venire dall’esterno e che rappresentava l’incognito, la perdita di ogni sicurezza. Alla base c’è un meccanismo psicologico elementare: il muro è la materializzazione dello “spazio sicuro” in cui muoversi, la divisione fra un “interno” sicuro, amichevole e protettivo e un “esterno” ostile e pericoloso.

Le prime tracce di muri sono state trovate in Turchia e risalgono a dodicimila anni fa. Quasi tutte le città del mondo antico erano circondate da mura, costruite per difenderle dai barbari o dai nemici di turno, mentre il primo muro di confine che non circondava una città fu innalzato da un re sumero nel secondo millennio a.C.: si estendeva per 250 chilometri tra il Tigri e l’Eufrate e aveva l’obiettivo di tenere lontani gli Amoriti, antichi abitanti della Palestina e della Siria.

Dall’antichità fino a oggi sono innumerevoli gli esempi di muri costruiti per controllare, creare limiti, escludere, vietare…; in epoca moderna, primo fra tutti il muro di Berlino, diventato un modello, l’unico a potersi fregiare dell’iniziale maiuscola. “Il Muro” fu eretto, come tutti sanno, in una sola notte tra il 12 e il 13 agosto 1961, per motivi politici, per arginare, cioè, il flusso di migranti provenienti dalla Germania Est, ed è considerato il simbolo più rappresentativo della contrapposizione Est-Ovest negli anni del bipolarismo.
Quando fu abbattuto nel 1989, pensavamo che, con la fine delle ideologie, fosse finita anche la costruzione di muri tra i popoli, ma ci sbagliavamo. Nell’epoca della globalizzazione, che siano di acciaio, di cemento o di filo spinato, i muri che separano i popoli aumentano, dimostrando così di non essere più retaggio del passato, bensì qualcosa di preoccupante attualità.

La frequenza con cui si sono costruiti muri negli ultimi 30 anni è impressionante. Paradossalmente, il processo di globalizzazione che avrebbe dovuto permettere a informazioni, risorse, merci e uomini di viaggiare senza confini e di abbattere, quindi, le barriere, ne sta innalzando di nuove.
Attualmente, in tutto il mondo, una settantina di barriere di vario tipo montano la guardia ai confini con il compito di prevenire il terrorismo e ostacolare le migrazioni di massa e il flusso di droghe illegali.
Viviamo in una società che il sociologo e filosofo Zygmunt Bauman ha definito liquida, una società in cui la mancanza di appigli solidi e sicuri crea un senso diffuso di insicurezza. Alcuni governi hanno cercato di rispondere alla società liquida con dei muri, per arginare ciò che per loro è debordante, in un atteggiamento di paura e di protezione.

Negli ultimi tempi questo desiderio di protezione, alimentato dall’idea sempre più diffusa di un dentro sicuro e un fuori pericoloso, sta subendo una vera e propria radicalizzazione a livello di governi e amministrazioni. 
Per fare giusto qualche esempio, pensiamo al muro di filo spinato di cui si è circondata l’Ungheria per tenere lontani siriani e altri immigrati o al muro costruito dagli Stati Uniti per tenere lontani i messicani o tanti altri muri eretti nel mondo. Rimanendo in ambito italiano, si pensi al caso di Goro, un piccolo comune di 4.000 abitanti in provincia di Ferrara, dove un centinaio di cittadini ha eretto delle barricate improvvisate fatte da bancali in legno per impedire il passaggio di un pullman con a bordo dodici donne richiedenti asilo, dirette presso l’ostello cittadino di proprietà della Provincia, dove sarebbero dovute rimanere fino al febbraio 2017. A detta delle persone coinvolte, quella in atto era un’invasione che loro avevano il dovere di arrestare. I muri possono coagulare razzismo e xenofobia.

Ma il muro può anche essere solo nella testa di chi lo percepisce e allora si tratta di un muro psicologico, simbolo di incomunicabilità. Ognuno di noi ha dentro di sé muretti o muraglie con cui fare i conti ogni giorno. Sono i limiti che pongono degli ostacoli alla normalità o ad alcune circostanze, quindi, al pari dei muri, richiedono la ricerca di strategie per andare oltre: forza, determinazione, contrattazione e molto altro.
La differenza di quanto questi muri siano o meno realmente un ostacolo sta nel modo con cui l’individuo decide di affrontarli: alcuni tendono ad adagiarsi, considerandoli come qualcosa di insuperabile; altri li vedono come una sfida e li affrontano con coraggio perché desiderano osservare cosa c’è dall’altra parte.
Il muro, quindi, come confine metaforico fra il qui e un oltre a cui l’uomo tende, ma che non sempre raggiunge; il muro come metafora del limite umano che spesso si frappone alla costruzione dei rapporti interpersonali. In questo senso, ha ispirato tanta parte della letteratura e dell’arte.

Ma il muro è sempre un ostacolo o può essere qualcos’altro? Siamo proprio sicuri che il muro sia solo un oggetto divisivo?

Pensiamo alle prime pitture rupestri, alle impronte delle mani sulle pareti o ai disegni degli animali delle grotte preistoriche che sono i primi vagiti della comunicazione umana, fino ad arrivare alla street art contemporanea che ha riportato il muro a essere supporto artistico.
Anche i muri, quindi, possono essere capaci di parlare, di comunicare con forza un pensiero libero e creativo. Dipende dal punto di vista con cui li si guarda: una prospettiva che diventa positiva se si pensa a loro come «ponti» che conducono verso i mondi della cultura e dell’arte, dando a ciascuno la possibilità di esprimersi liberamente.

Mi sono tornati alla mente tre eventi che possono ben chiarire queste ultime considerazioni. Un breve filmato che mostrava come due architetti della California avessero deciso di sfruttare la barriera tra Messico e Stati Uniti come risorsa costruttiva installando delle altalene saliscendi per far giocare i bambini, sia da un lato che dall’altro, al “cavalluccio” (Teeter Totter Wall). Quest’opera, le cui immagini sono diventate virali, rappresenta un segno di protesta contro qualsiasi tipo di divisione e separazione.

In un bellissimo monologo di qualche tempo fa, Alberto Angela definì il muro come un concetto ambiguo, data l’ambivalenza del suo significato non solo a livello letterale ma anche culturale e sociale. Secondo Angela, il muro non è solo un terribile ostacolo o una barriera, ma può essere considerato anche come una risorsa per entrare in contatto con la storia di un popolo o dell’intera umanità.
In quest’ottica, le mura diventano improvvisamente il senso della storia stessa e, paradossalmente, del progresso dell’umanità. Proteggono, racchiudono, custodiscono, raccontano. «Il muro è un vecchietto che ti racconta una storia antica e in questo senso unisce un popolo, o meglio, vari popoli nel tempo» afferma Alberto Angela. Non è il muro un ostacolo in sé, ma il modo in cui lo si utilizza.

E, last but not least, il saggio di Michela Monferrini Muri maestri, in cui l’autrice, invece di partire dai muri che dividono, che fanno da barriera tra i popoli, parte dai muri che uniscono in nome della memoria. Dal Vietnam Veterans Memorial a Washington DC al Wall of Heroes voluto nel 1900 da Georg Frederic Watts in Postman’s Park a Londra (una parete di piastrelle di ceramica dedicata agli eroi comuni, a gente morta per salvare la vita ad altri); dai “ti amo” con cui Daniel Boulogne tappezza un muro di Parigi al Before I Die Wall di Candy Chang fino al Muro del pianto: sono numerosi gli esempi di muri eretti per celebrare aspirazioni, sogni, ideali.

Infine, chi sono i costruttori di muri? Noi siamo i costruttori di muri. Siamo sempre stati noi e siamo ancora noi quelli che possiamo abbatterli!

Il programma che proponiamo è particolarmente vario e articolato, perché spazia dalla letteratura europea, alla saggistica, alla musica, all’arte; in ambito letterario, si passerà dai romanzi I baffi di E. Carrère, La giornata di un opricnik di Vladimir Sorokin, La peste di Albert Camus e Lezione di tedesco di Siegfried Lenz, al testo teatrale La stanza di Harold Pinter, alla biografia Hermann Buhl. In alto senza compromessi di Reinhold Messner.
La saggistica sarà presente con il saggio storico Muri. Una storia della civiltà in mattoni e sangue di David Frye e Il Mediterraneo di Fernand Braudel e, dopo alcuni anni di assenza, apprezzeremo la poetica di Eugenio Montale.

“Se alzi un muro, pensa a cosa lasci fuori”
ITALO CALVINO, Il Barone rampante



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