È possibile immaginare di cancellare il debito pubblico italiano?

In che senso è possibile anche solo concepire la cancellazione del debito? Quali le conseguenze ?

Pasquale Ceruzzi

Socio ALDAI-Federmanager - pacer263@gmail.com 
Vi invito a cliccare "Cancellazione del debito: breve vademecum" per accedere all'articolo di Tommaso Monacelli (professore di macroeconomia) dell'Università Bocconi di Milano inserito nelle attività del sito di cultura economica lavoce.info. 

È un articolo ben, fatto che mostra la competenza del Prof. Monacelli su tematiche economiche e bancarie. Alcuni argomenti magari meritano qualche supplemento di approfondimento, ma al momento mi interessa segnalarvi il tema, in quanto sta diventando sempre più dibattuto e non sempre con la dovuta competenza.  In particolare da quando l’Unione Europea e la Commissione hanno congelato temporaneamente i parametri di stabilità e crescita (causa COVID) abbiamo già fatto due sforamenti di bilancio rispetto a quanto programmato (ne è in arrivo un terzo) e il nostro debito ha raggiunto i 2.560 Miliardi di € e un rapporto debito/PIL del 160% e alcuni si lanciano oltre, un po’ arditamente, nell’ipotizzare monetizzazioni del debito, riduzioni, cancellazioni, ecc … incoraggiati in questo dal fresco successo ottenuto dall’Italia, insieme ad altre nazioni, con il Next Gen EU (somma di sussidi e prestiti a basso costo per 750 Miliardi di cui 209 all’Italia per superare la pandemia e realizzare riforme strutturali nei paesi UE). Risultato impensabile fino 4-5 mesi fa in quanto il Next Gen EU realizza anche una “mutualizzazione circoscritta” dei debiti in ambito EU (aborrita fino a l’altro ieri). Vero è che l’accordo per il Next Gen EU è stato appena bloccato dai Paesi (Ungheria, Polonia e Slovenia) che non vogliono rispettare una modalità di governo che tiene conto dell’attuazione dello “stato di diritto” (richiesta dalla UE per accedere ai finanziamenti) e quindi rimane ancora un obiettivo, tuttavia alcuni sembrano credere che la cancellazione del debito sia un percorso realizzabile. 

Tra questi anche David Sassoli che ha fatto dichiarazioni sorprendenti. Sono talmente sorprendenti che quando le ho sentite la prima domanda che mi sono fatto è stata a che titolo lui le facesse. Se come presidente del Parlamento Europeo e quindi investito di tale compito da parte di questa istituzione, come parlamentare del PD, come ex giornalista o come futuro candidato alla carica di Sindaco di Roma?

In parole povere il tema a me sembra ancora lontano da uno scenario realizzabile e diverse condizioni ostative (dai trattati, alle competenze istituzionali, alle posizioni nazionali) non sembrano valutate adeguatamente. Quindi la posizione di Monacelli appare concreta e riporta alla dura realtà del compito che ci aspetterà in un futuro non troppo lontano.

Questa è la premessa che mi sento di fare e prima di ogni possibile approfondimento sarebbe interessante aprire un dibattito di approfondimento sulla questione.

- - - 

Non ho le competenze per commentare l'articolo di Monacelli, ma  spero far cosa utile riportando l'andamento del debito pubblico previsto dal Fondo Monetario Internazionale in ottobre. Saluti G. C.
 - - -

Ho letto con molto interesse l’articolo di Tommaso Monicelli. Non oso commentarlo per la sua drammaticità, ma richiamo altri due momenti decisivi della nostra storia il primo quindicennio del “900 e il secondo dopoguerra.
Il primo decollo economico, o piccolo miracolo italiano, che va dal 1901 al 1914, vide come fattori l’intervento decisivo attraverso il capitale tedesco, seguito da quello italiano, della Banca Commerciale italiana, la COMIT, che fu una banca mista. Il risparmio privato raccolto veniva investito nelle industrie che avevano nel loro direttivo anche funzionari delle banche, delle stesse industrie e docenti delle Università in veste di consulenti/consiglieri. Era una novità per le Banche italiane dell’epoca e l’esempio fu poi seguito dalle altre. Così si raccolsero oltre ai risparmi dei privati anche le ingenti rimesse degli emigranti, 700-800 mila all’anno e che inviarono in Italia una media di 500 milioni di dollari (dato Banca d’Italia). Valuta pregiata, quanto bastava per coprire almeno metà della bilancia commerciale estera. Tali risparmi venivano raccolti in USA da agenzie del Banco di Napoli, istituite a tale scopo fin dal 1901, che finalmente garantivano l’invio di denaro dagli USA senza rischio di truffe. Ovviamente gli invii pagavano sia le tasse USA, sia i servizi bancari sia quelli di importazione monetaria dal Regno d’Italia. Tali rimesse permisero al Banco di Napoli di salvare per esempio la FIAT dalla crisi di liquidità del 1907, salvata proprio dal Banco di Napoli, l’unica banca in attivo dopo la crisi finanziaria (per cause speculative) di quegli anni. Allora l’energia, senza la quale non sorge e fiorisce nessuna industria, fu ottenuta dal carbone bianco, le centrali idroelettriche, che fino al 1960 fornirono fino all’80% dell’energia necessaria all’Italia di allora. Fu Nitti a intuire e promuovere gli interventi legislativi e finanziari, nonché le agevolazioni fiscali alle iniziative industriali e commerciali. 
Qualcosa di simile si ebbe poi anche nel secondo dopoguerra nel vero e proprio miracolo economico, innescato dal Piano Marshall (circa 14 miliardi di dollari in 10 anni) e poi proseguito dal Governo Italiano. Si parla infatti di “emigrazione assistita” all’epoca, anche nel senso che le rimesse avvenivano con lo stesso meccanismo del primo novecento. La Banca d’Italia ha valutato l’ammontare totale delle rimesse nel periodo 1948 – 1968 in 8,3 miliardi di dollari.     
Oggi il risparmio privato è ingente, ma le banche dove sono? Non sanno come investire e cosa proporre in alternativa? Non hanno una spinta tecnico scientifica e una strategia chiara così come l’avevano in quel periodo?
C’erano un tempo tra i tanti Forlanini, Motta, Pirelli, Agnelli, Colombo e poi chimici come Livio Cambi, ed il Politecnico, quello di Milano e quello di Torino, palestre formidabili di inventori, scienziati, ingegneri e chimici. Milano era la città delle Scienze e da tutta Italia veniva quanto di meglio c’era in tutti i campi. Quel fenomeno si ripeté pari pari poi nel ventennio 1950-1970. Ma oggi vedo intorno a me nani. Nani in una crisi di cultura, di civiltà, di fiducia, che esprime una classe politica specchio di se stessa: assolutamente inadeguata. Col suo seguito per giunta di Regioni, autentiche attuali satrapie.
L’attuale contagio spero che abbia il suo effetto di stimolare una sfida, come quella che ebbero gli italiani nel 1948 nell’ascoltare il discorso di De Gasperi a Parigi all’Assemblea della Pace: tutto è contro di me…Su uno scatto d’orgoglio, finalmente!!  
Oggi la sfida è ancora una volta fornire all’Italia l’energia, non solo morale, ma anche in termini di GW. Nessuna nazione può fondare la sua industria sulla palude di fonti energetiche soggette alla volontà ed alle opportunità altrui, oltre ai capricci degli arricchiti. Nessuna programmazione o investimenti finanziari sono possibili. Ogni nazione, e la nostra soprattutto, deve poter sviluppare secondo la sua caratteristica naturale geografica e geologica la sua fonte di energia. L’Italia non ha carbone, né petrolio. Ha il sole, il vento ed il mare e l’ingegno che non manca. Non è affatto poco. Deve puntare sulle proprie risorse, come fecero i nostri nonni allora e i nostri padri e noi stessi dopo.
Altre genti procedono spedite e con successo su queste vie alternative. Sono anche le grandi imprese delle energie da fossili a impegnarsi. E noi?
L’ultimo treno è in partenza: non sia un tram che si chiama desiderio.
G.S.

- - -

Siccome il nostro o altri Paesi si accorgono di non riuscire a ridurre il proprio debito (perché nessuno dei loro partiti politici ha il coraggio di proporre i pesanti sacrifici che potrebbero consentire tale riduzione), gli altri Paesi della UE si dovrebbero rassegnare a pagarne di propria tasca il prezzo. E ciò in virtù di una solidarietà che in linea di principio è ineccepibile, ma che, come è sempre avvenuto non solo a livello di Stati, sotto ogni cielo ed in ogni tempo, è praticabile a condizione che il beneficiario abbia almeno l’onestà e il pudore di prendere formali e credibili impegni di cambiare andazzo, e di sottoporsi a ragionevoli condizionalità.  Ma solo dirlo sembra oggi un atto di protervia, poiché la solidarietà è un concetto elastico, da esibire con forza quando la si chiede, da dimenticare quando si continua a fare debito allegramente per decenni facendo finta di non far parte di una comunità in cui si sono presi reciproci impegni. Quando mai, caro Pasquale, troveremo in Italia qualcuno che riuscirà ad aggregare consenso in dimensioni significative proponendo di considerare il debito una condizione scomoda e la ricchezza ed il benessere un traguardo che si raggiunge solo con impegno, sacrifici e rinunce ?
G.M.

- - -

La domanda posta all’inizio da Pasquale era: “E' possibile cancellare il debito pubblico italiano?”.
L’amara risposta che emerge, a mio avviso è: “No, non è possibile cancellare il debito pubblico italiano”.
L.C.
Archivio storico dei numeri di DIRIGENTI INDUSTRIA in pdf da scaricare, a partire da Gennaio 2013.