Può bastare la demografia a risolvere i problemi del nostro Paese?
La crescita demografica è una determinante essenziale della crescita economica di lungo periodo
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Pasquale Ceruzzi
Componente dei Gruppi Cultura e Dirigenti per l’Europa e Geopolitica ALDAI-Federmanager, e del Comitato di Redazione Dirigenti Industria
Ormai è ripetuto come un mantra da tutti, politici, sociologi, economisti e professori universitari: l’Italia è in un “inverno demografico” che condiziona la sua crescita economica e il suo welfare. Ma è proprio vero che le cose stanno così, come viene indicato?
Prima di esprimere giudizi, prendiamo in considerazione quanto ci indica l’Istat, perché ai numeri spetta la precedenza (vedere figura 1)
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Possiamo constatare che dal 2014 (punto di massimo tra il 2001 e il 2024) la popolazione residente nel nostro Paese è passata da 60,37 milioni a 58,99 milioni, con una diminuzione cumulata di 1,35 milioni di unità risultante dal saldo tra decessi e nascite (vedere figura 2).
Questo nonostante nel frattempo siano entrati, in maniera continua, un significativo numero di immigranti (in parte controbilanciato dagli emigranti) (vedere figura 3).
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Volendo sintetizzare il risultato dei grafici potremmo sostenere che i decessi sovrastano le nuove nascite e il saldo tra immigranti ed emigranti. Inoltre, le prospettive future, sempre secondo Istat, non sono destinate a cambiare, anzi: “…da qui al 2040 il numero di persone in età lavorativa diminuirà di 5,4 milioni di unità (oggi l’età media è di 47 anni, una tra le più alte nel mondo). Questa contrazione si tradurrebbe in un calo del PIL del 13%”.
Se le cose staranno veramente così, questo richiamare la “indispensabile crescita demografica” da parte dei policy maker appare solo un esercizio privo però di prospettive. Sappiamo che la crescita demografica è una determinante essenziale della crescita economica di lungo periodo, la cui inversione di tendenza richiede tempi lunghi e la cui realizzazione passa attraverso una fase espansiva significativa del PIL (e non 20 anni di crescita reale negativa di PIL e Investimenti Fissi Lordi, vedere figura 4), accompagnata da bassa disoccupazione, crescita reale dei redditi e politiche sociali pro-famiglia (in primis un’offerta sufficiente di asili nido sul territorio a costi accessibili per tutti).
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Con queste premesse, possiamo allora solo rassegnarci? Crediamo di no e pensiamo che ci siano altre determinanti dove, puntando su qualità ed efficienza, si potrebbero ottenere progressi significativi.
Partendo dalla Crescita del PIL dovremmo:
- privilegiare quelle iniziative imprenditoriali che offrono prodotti e servizi ad alto valore aggiunto (in genere sono quelli dove l’innovazione tecnologica e la creatività sono gli asset di riferimento);
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- irrobustire il Mercato del Lavoro aumentando l’occupazione (aprendo ancora di più a un’immigrazione regolarizzata e su chiamata) e migliorando la sua composizione qualitativa (più posizioni permanenti, meno temporanee e indipendenti) (vedere figura 5);
- incrementare i Livelli Reddituali colmando il gap con altri Paesi europei;
- ridurre in maniera significativa la cosiddetta Economia Non Osservata (vedere figura 6),
- aumentare Produttività e Competitività (ulteriori step di liberalizzazione del mercato e delle concessioni);
- ridurre seriamente la Spesa Corrente (per intenderci quella che non crea né posti di lavoro né valore aggiunto per l’economia, ma solo rendite di posizione per i partiti e le loro constituency).
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Le azioni possibili, le abbiamo solo elencate, sono molte e richiedono un durissimo lavoro e una determinazione che, come sistema Paese, non abbiamo mai avuto, ma, tuttavia, non sono impossibili e realizzarle ci metterebbe in condizioni di ribaltare un destino che porta inevitabilmente verso la decadenza. Rimandare, come abbiamo prevalentemente fatto, ci lascerebbe il piacere di affidarci ai mantra: buoni per la propaganda, ma insufficienti per la risoluzione dei nostri problemi