L’idrogeno verde e la mobilità elettrica

La transizione energetica "green" impone scelte tecniche innovative, ma possibili. I problemi veri sono la sostenibilità economica e soprattutto il difficile coordinamento delle politiche energetiche tra i vari paesi

Giorgio Venturino

Socio ALDAI Presidente Gruppo Ecologia

Premessa

L’impiego dell’idrogeno è consigliato come elemento sostitutivo dei combustibili fossili attuali in modo da evitare il rilascio in atmosfera dei residui della combustione, causa di inquinamento dell’aria e di gas ad effetto serra per il pianeta: il fine è quindi evitare la combustione di ogni fonte di energia fossile in tutti i modi possibili. 

Per rendere coerente questa trasformazione occorrerà quindi prevenire che nel processo produttivo dell’idrogeno molecolare (che non esiste in natura allo stato libero) si generino le medesime sostanze che si vogliono poi eliminare dall’atmosfera (come invece avviene nel caso di produzione di idrogeno dal metano di origine fossile tramite il tradizionale processo di "steam reforming" con "craking" catalitico del metano che alla fine produce idrogeno e carbon black): anche in questi casi non devono essere rilasciati in atmosfera i residui della combustione o comunque gas ad effetto serra. Per le stesse ragioni l’idrogeno prodotto non potrà venir alimentato ai motori termici perché in tal caso i gas di scarico non conterrebbero più anidride carbonica, ma resterebbero gli ossidi di azoto generati con la combustione in aria. Un discorso simile vale anche per l’impiego dei biocarburanti e delle biomasse che, al netto dell’anidride carbonica rinnovabile dovuta alla loro origine, producono pur sempre ossidi di azoto, idrocarburi incombusti, particolato, monossido di carbonio, ecc , come in tutte le combustioni legate al carbonio (fossile o biologico che sia).

L'idrogeno green

L’idrogeno verde prima come accumulatore di energia e poi come vettore energetico si presta bene come contributo importante alla decarbonizzazione delle fonti di energia soprattutto nel settore dei trasporti e dell’industria, anche se è bene ricordare che esso è classificato dalla normativa vigente come sostanza pericolosa perché estremamente infiammabile ed in grado di formare miscele potenzialmente esplosive con l’aria.

Per rispondere a tutte queste esigenze appare evidente che i processi produttivi che si possono scegliere per produrre idrogeno verde su larga scala sono quelli che utilizzano energia elettrica ricavata da fonti rinnovabili (soprattutto da eolico, elettrico fotovoltaico o termodinamico, idroelettrico). Si ricorda che l’eolico ed il fotovoltaico non sono continui nelle 24 ore e richiedono quindi sistemi di accumulo elettrico con batterie a valle della produzione, impiegando poi questa energia a costo zero per ricavare direttamente l’idrogeno tramite l’elettrolisi dell’acqua. Una possibilità importante per la generazione di energia elettrica da impiegare poi nell’elettrolisi dell’acqua per ottenere idrogeno verde senza produrre gas ad effetto serra può essere il nucleare (che però non è un’energia rinnovabile) utilizzando reattori veloci a fissione di ultima generazione che permettono il riciclo del combustibile nucleare usato (o meglio ancora tramite reattori a fusione, quando disporremo di tale tecnologia). 

Questa appare oggi una reale possibilità per riempire il buco di produzione che si aprirà inevitabilmente quando si fermerà l’estrazione delle energie fossili e prima che il contributo delle energie rinnovabili possa coprire la maggior parte dei consumi. Per evitare questo pericolo crediamo che durante la transizione ecologica che si apre davanti a noi non si potrà fare a meno del gas naturale, come del resto previsto dalla Commissione della UE.

Data la latitudine meridionale dell’Italia nel contesto europeo appare verosimile che le fonti rinnovabili più adatte allo scopo appaiono essere l’idroelettrico ed il fotovoltaico, perché l’eolico viene più efficacemente sfruttato nei paesi del nord Europa dove i venti soffiano in modo abbastanza costante per almeno 5000 h/a. L’idroelettrico potrebbe essere invece una valida alternativa tramite l’incremento dei pompaggi notturni e le produzioni cumulative diurne: ciò richiederebbe però la creazione di importanti accumuli a valle e l’aumento dei volumi dei bacini di invaso a monte. Anche lo sfruttamento di una risorsa rinnovabile quasi inesauribile come quella della geotermia richiede adeguati approfondimenti in relazione alle diverse configurazioni geologica dei siti. L'introduzione in cavità non naturali di acqua con pressioni elevate e a profondità di circa 10 km utilizzando la tecnologia delle perforazioni petrolifere (per ottenere vapore ad alta pressione da impiegare in impianti a ciclo diretto o a ciclo binario per la produzione di energia elettrica) ha infatti prodotto in alcuni casi fenomeni sismici nel territorio circostante e ciò ha di fatto sospeso la realizzazione di molti progetti, limitandoli alle sole cavità profonde naturali. La geotermia potrebbe invece essere una fonte di grande interesse per ottenere energia elettrica destinata alla produzione di idrogeno verde, soprattutto nelle regioni di origine tettonica.

La produzione e la distribuzione dell’idrogeno tramite il fotovoltaico 

Ipotizzando, in un futuro a medio termine, di poter sostituire in Italia il consumo attuale di benzina e di diesel, pari a 30 milioni di ton/a, con l’equivalente quantità di idrogeno pari a circa 8,5 milioni di ton/a (in base al PCI), si dovrebbero produrre 25.600 ton /giorno di idrogeno (che distribuite sull’arco diurno di 10 ore danno una portata di 2.560 t/h pari a 28,4 milioni di m3/h di idrogeno gassoso; non ci potrà quindi essere produzione di idrogeno per le 14 ore notturne o per brevi periodi con scarsa illuminazione). Poiché il consumo di energia elettrica da utilizzare nell’elettrolisi dell’acqua per produrre un Kg di idrogeno è di circa 45 KWh/Kg, ne risulta che per il quantitativo di idrogeno ipotizzato ci vorrebbero 115,2 milioni di KWh pari a 115.200 MWh. Con i rendimenti attuali di trasformazione degli impianti fotovoltaici pari a circa il 25 % della radiazione incidente e che richiedono un ingombro superficiale per i pannelli fotovoltaici di circa 1 ha/MW istallato, ed essendo inoltre il rendimento delle celle di elettrolisi pari al 70 %, le superfici richieste per il totale di tali impianti per la produzione di energia elettrica ipotizzata per i soli consumi italiani, sarebbe di almeno 1650 Km2. È evidente che si tratta di superfici importanti difficilmente reperibili sul territorio nazionale (a meno di non rendere obbligatorio rivestire con pannelli fotovoltaici tutti i tetti e le facciate dei nostri edifici), per cui l’idea di costruire questi impianti nelle regioni desertiche del nord Africa, dove il sole abbonda perennemente, per poi comprimere l’idrogeno gassoso ed utilizzare i gasdotti esistenti dell’ENI tra la Libia e l’Italia (finora impiegati per il metano) per portare l’idrogeno in Europa, non appare così peregrina (la liquefazione sarebbe troppo energivora rispetto alla compressione). Il problema è che, come l’Italia, anche gli altri paesi d’Europa (forse esclusi quelli del nord che possono utilizzare l’eolico in modo continuativo) vorrebbero in quel momento essere serviti di idrogeno nello stesso modo, per cui, in proporzione al numero di abitanti, ci vorrebbe la disponibilità di oltre 13.000 Km2 di territorio nord africano, che è pari a circa il 4,3 % dell’intero territorio nazionale italiano. Il problema più che infrastrutturale diverrebbe politico, complesso e difficile da risolvere.

L’idrogeno gassoso compresso potrebbe essere, almeno per un periodo iniziale, introdotto nella rete Snam a pressione controllata (è noto infatti che l’assorbimento da idrogeno causa l’infragilimento e il deterioramento delle proprietà meccaniche dell’acciaio), distribuito sul territorio nazionale, ed inviato in altri paesi europei tramite la rete di interconnessione esistente per il metano (mentre dovrebbero poi venir costruite reti autonome in acciai più adatti). Si richiederebbe invece la costruzione di una rete di stazioni di servizio per rifornire a 700 bar i serbatoi dei mezzi di trasporto che alimentano l’idrogeno alle celle a combustibile, istallate al posto degli attuali motori termici, per produrre energia elettrica con rilascio in atmosfera di puro vapor d’acqua, tramite un processo inverso rispetto a quello dell’elettrolisi. Verrebbero inoltre usati per la distribuzione sul territorio, dove non arriva la rete, autoarticolati attrezzati e dotati di bombole contenenti idrogeno in pressione a 700 bar, per riempire i serbatoi di accumulo delle stazioni di servizio. Resterebbe poi possibile anche la produzione e distribuzione su base regionale e locale, dove una società mista pubblico privata, dotata di una propria centrale fotovoltaica o di altre fonti sostenibili per la generazione di energia elettrica, desideri produrre l’idrogeno verde tramite elettrolisi, lo comprima a 700 bar in un proprio serbatoio di accumulo, e lo distribuisca alle proprie unità per il rifornimento degli automezzi o, in alternativa, agli impianti di una propria filiera produttiva industriale.

Occorre poi aggiungere che l’introduzione dell’idrogeno dipenderà sia dal contenimento dei costi (di produzione –compressione- trasporto-stoccaggio) tramite l’economia di scala di impianti ad elevata capacità, che non potranno essere molto superiori a quelli attuali di mercato, sia dal contrasto dell’opposizione delle compagnie petrolifere che cercheranno in tutti i modi di limitare i danni a loro derivanti dalle sempre minori vendite di combustibili tradizionali di origine fossile.

La decisione dell’UE di ridurre del 55% entro il 2030 l’emissione di gas ad effetto serra (di cui la CO2 è il più influente) e di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050, unitamente alle posizioni attuali degli USA fortemente orientate alla tutela dell’ambiente, non lasciano molto spazio all’immaginazione, anche se il presente livello di innovazione tecnologica non è ancora del tutto adeguato agli obiettivi richiesti. La scelta ambientale dell’idrogeno come alternativa alle energie di origine fossile è quindi una decisione politica che dovrà riguardare tutto il modello di sviluppo energetico del pianeta (e non di un singolo paese che da solo non può far niente) per frenare e precludere un degrado ambientale quasi irreversibile: il quadro degli interessi economici e geopolitici delle maggiori potenze mondiali rischia tuttavia di portare in default tutto il sistema climatico del mondo, malgrado le raccomandazioni di gran parte delle persone pacifiche e competenti, che nulla possono fare di fronte alla minaccia della violenza .

Le applicazioni principali dell’idrogeno

Tra le filiere che saranno più interessate all’utilizzo dell’idrogeno spiccano l’industria siderurgica (come gas riducente dei minerali di ferro per produrre acciaio senza emissioni di CO2) e quella della mobilità (ferrovie non elettrificate, navigazione marittima, lacustre, aerea, ma soprattutto traffico stradale). La mobilità stradale è quella che presenta le maggiori possibilità di sviluppo dell’idrogeno che compete con le batterie nella realizzazione dell’auto elettrica pulita per un traffico più sostenibile. L’idrogeno ha una densità di energia pari a 39,4 kWh/kg mentre il peso delle batterie necessarie ad accumulare l’energia contenuta in un kg di idrogeno è pari ad almeno 260 kg. Tra le due soluzioni alternative inoltre l’idrogeno è sicuramente più ecologico, anche se richiede investimenti importanti perché non esistono né impianti di produzione, né stoccaggi, né reti di distribuzione, mentre per l’auto elettrica alimentata con batterie la rete elettrica di distribuzione esiste già e basta una rete di stazioni per la ricarica delle stesse (che al momento è limitata ed è alimentata con energia elettrica prodotta da fonti fossili). Per contro le batterie sono costruite con una elevata produzione di CO2 e presentano grossi problemi di smaltimento delle unità esauste (da considerare come rifiuti pericolosi da avviare, a cura dei produttori, verso processi specifici di riciclo a caldo (pirometallurgici) o a freddo (idrometallurgici) per il recupero delle materie prime, e non in discarica come oggi spesso avviene). Inoltre si richiedono tempi di ricarica non trascurabili che non garantiscono una costanza della prestazione con la diminuzione della carica e con l’aumento del numero di ricariche nel tempo: svantaggi che l’idrogeno non ha e che ne fanno perciò un sistema più adatto per i lunghi percorsi extraurbani e per i trasporti pesanti, mentre le batterie sembrano un sistema preferibile per le brevi distanze e per il traffico leggero.

L'energia elettrica è il modo più efficiente di avere mobilità sostenibile : indicativamente 60 kWh elettrici di una batteria contengono la stessa energia di 6 kg di gasolio con la differenza che nel secondo caso si possono percorrere da 100 a 130 km mentre nel primo caso posso fare da 350 a 400 km. Un kWh di energia elettrica all’origine permette ad un auto elettrica alimentata da batterie di percorrere fino a 8 Km con un rendimento globale del 69 %, mentre per un auto elettrica mossa da celle a combustibile il percorso si riduce a 3 Km con un rendimento globale (che tiene conto anche dell’energia elettrica necessaria per la produzione dell’idrogeno) del 26 %. Sembra quindi che oggi tra i due contendenti non ci sia proprio possibilità di successo per l’idrogeno. Occorre però tener presente che mentre le batterie, in un’auto elettrica di tipo “ full electric”, alimentano direttamente i motori elettrici destinati alla trazione del mezzo, nel caso di impiego di idrogeno esso alimenta le celle a combustibile (a bassa temperatura, soprattutto del tipo a membrana elettrolitica polimerica PEM a circa 70-100°C) per produrre l’energia elettrica destinata allo stesso scopo. La scelta dell’idrogeno richiederebbe poi una rivoluzione nella produzione degli automezzi che invece non è prevista nel caso di mobilità con le batterie elettriche. Le celle a combustibile dovrebbero infatti sostituire in un tempo contenuto tutta la produzione degli attuali motori endotermici (mentre siamo ancora all’inizio di una loro progettazione su larga scala), per contro l’uso delle batterie, nelle varie configurazioni ibride proposte oggi dai vari costruttori di autoveicoli, si presenta più graduale e flessibile, grazie alle applicazioni già acquisite con i motori termici, nell’attesa dell’uscita degli stessi dal mercato che ci sarà a poco a poco con l’arrivo di accumulatori di energia elettrica sempre più avanzati e performanti.

Innovazione delle batterie

Lo sviluppo della tecnologia delle batterie (costituite da celle unitarie sostituibili poste in serie e parallelo) per l'auto elettrica sta progredendo velocemente con l'introduzione degli accumulatori agli ioni di litio, degli accumulatori a stato solido, delle batterie a nanoparticelle o a flusso (ricaricabili in pochi minuti sostituendo il liquido dell'elettrolita), degli accumulatori al grafene (veri e propri supercondensatori), con l'obiettivo costante di aumentare la densità energetica delle singole celle e la vita utile che dura fino alla fine delle ricariche possibili (ricordando che l'aumento dell'intensità di ricarica per ridurne la durata diminuisce a lungo andare la vita utile delle batterie che mediamente oggi prevede circa 8 anni o 160.000 km con almeno 1.500 cicli di ricarica, quindi una ricarica veloce da 120 kWper 15 minuti ad una stazione di servizio in autostrada è molto più nociva per la vita della batteria di una ricarica notturna nel box di casa pari a 3 kW ). Un'alternativa al tempo di ricarica delle batterie potrebbe essere il noleggio con montaggio di unità cariche della potenza desiderata (con pesi che sono dell'ordine di alcuni quintali) previo smontaggio e rilascio alla catena di servizio della corrispondente unità scarica da ricaricare. Ricordiamo che, secondo il MIT, attualmente il costo delle batterie per automotive è di circa 100 $/kWh e quindi per un’auto media “solo” di 5.000 $.

In un futuro a medio termine che non è ancora a portata di mano, una volta superato l’impatto nella discontinuità della trasformazione dovuta all’introduzione della mobilità a idrogeno (che le batterie hanno solo in misura minore), i risultati che ne deriveranno potrebbero essere migliori di quanto si possa oggi immaginare, sia per i produttori che per i consumatori, anche se l’impiego delle batterie si presenta oggi più gestibile e più semplice. 

Si può dunque concludere che per tali ragioni è prevedibile che i due sistemi oggi in competizione potranno coesistere per un periodo anche non breve e forse si può anche pensare all’idrogeno verde per alimentare celle a combustibile da impiegare come un sistema di ricarica automatico a bordo auto di un sistema automotive full electric con batterie. 

Nel frattempo invece, per contenere l’impatto ambientale (soprattutto di anidride carbonica) si stanno sviluppando i biocombustibili innovativi “e-fuels” ottenuti, con l’impiego di energie rinnovabili, facendo reagire tra loro ( per esempio tramite un processo "Fisher –Tropsch") idrogeno verde ed anidride carbonica (ricavata per lo più dall’aria tramite membrane di ultrafiltrazione o direttamente dalle sezioni di sequestro della medesima anidride poste a valle delle linee di combustione che la producono), ottenendo così dei carburanti pure rinnovabili (per esempio metano, propano, kerosene, ecc) che non rilasciano, una volta combusti negli attuali motori termici, emissioni ad effetto serra superiori a quelle in precedenza prelevate dall’ambiente (ma producono tuttavia tutti gli inquinanti derivati dalla combustione). 

Questa terza strada sembra, al momento, la più semplice ed economica da realizzare, anche se richiede ancora approfondimenti e sperimentazioni, nell'attesa che siano mature le soluzioni descritte per le auto elettriche. 

Concludendo, il problema più difficile, più che tecnico, sembra oggi quello del coordinamento delle politiche energetiche tra i vari paesi, senza il quale ognuno andrà per la sua strada come sempre, contribuendo così alla confusione delle idee dei consumatori ed all'aumento sempre più fuori controllo dell'entropia del nostro pianeta.
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