Logistica, palla al piede o fattore di sviluppo dell’economia?
La riunione plenaria del Gruppo Energia ed Ecologia del 21 gennaio scorso è stata dedicata al tema delle Infrastrutture e della Logistica, con relazioni di componenti del Comitato Trasporti. La logistica per l’industria è una componente essenziale di sviluppo e competitività e merita il massimo impegno di tutti per superare i nodi e le inefficienze attuali. Riportiamo in sintesi la relazione del collega Guido Moretti. Fabio Pansa Cedronio
A cura del Gruppo Energia ed Ecologia
Per dare una risposta con qualche attendibilità e senza pregiudizi a questa legittima domanda occorre, a mio giudizio, partire da due date:
> 1971, ministro Vittorino Colombo, stesura del primo “Libro bianco” sul trasporto in Italia;
> 2011, Piano Nazionale della Logistica, sotto la guida del sottosegretario Giacchino.
Leggendo i due documenti ci si rende conto che, malgrado siano trascorsi 40 anni, moltissimi dei problemi denunciati e analizzati nel 1971 sono rimasti irrisolti, nonostante denunce, convegni e studi si siano succeduti al riguardo.
L’unica vera riforma è stata quella della Legge 298 del 1976 (del ministro Signorile), che doveva dare un assetto definitivo e moderno al settore dell’autotrasporto e che è, con buona pace di molti, ancora il fulcro sul quale si basa la stragrande maggioranza del traffico merci in Italia. (Secondo i dati del Ministero dei Trasporti nell’anno 2014 il trasporto su strada ha prodotto l’88,3% delle tonn/km trasportate ed ha concorso per il 65% del costo logistico nel nostro Paese).
Recentemente sono stati varati provvedimenti che potevano incidere sull’attuale “status quo”, ma gli stessi sono stati annullati da sentenze di Organi Costituzionali: è recentissima la sentenza 261 della Corte Costituzionale dell’11 dicembre 2015 sul Piano della Portualità e della Logistica (anche se di logistica aveva poco) che ha dichiarato l’incostituzionalità della norma perché non è stato rispettato il coordinamento tra Stato, che ha elaborato il Piano, e le Regioni su un tema cosiddetto “concorrente”, cioè di competenza di entrambe le istituzioni. Di chi è la colpa di questa situazione?
Secondo il mio parere vi sono più imputabili:
1. la classe politica ed i vari Ministeri interessati per il mancato coordinamento tra di loro e che hanno sempre agito in ordine sparso, senza una visione globale dei problemi;
2. la rivalità e le liti tra le varie Associazioni che rappresentano le diverse anime degli operatori del settore;
3. gran parte della stessa utenza, sia industriale sia commerciale, che – nella stragrande maggioranza dei casi – ha guardato e analizzato nei minimi particolari quanto succede all’interno dei propri siti produttivi/commerciali senza interessarsi di quello che accade fuori dai cancelli della propria fabbrica.
I risultati di questi comportamenti sono ben presenti in uno studio molto dettagliato della Banca d’Italia del 2011 che ha calcolato in 40 miliardi di euro l’anno (l’equivalente di due manovre finanziarie) il costo aggiuntivo per l’economia nazionale dovuto alla disfunzione ai ritardi e alla mancata razionalità della logistica nel nostro Paese.
Sempre nello stesso studio si stima che l’incidenza dei costi logistici sull’unità di prodotto sia in Italia mediamente superiore del 23/25% dei costi negli altri Paesi industrializzati europei.
Una conferma di quanto esposto più sopra riguardo ai comportamenti della committenza italiana, si deduce da una ricerca svolta dall’Università Bocconi nel 2014, sotto la guida del professor Lanfranco Senn, la quale ha rilevato che più dell’80% delle aziende italiane che operano con l’estero, vende i propri prodotti FF (Franco Fabbrica) e acquista CIF (Cost, Insurance and Freight).
Questo comportamento porta come conseguenze:
1. In moltissimi casi non è noto quale sia realmente il cliente finale del proprio prodotto né il Paese di effettiva destinazione della merce e ciò non permette di svolgere un’efficace e puntuale politica di marketing;
2. Le operazioni doganali sono curate direttamente dal cliente estero e ciò è estremamente pericoloso perché è il produttore che risponde verso la Dogana Italiana anche per quanto riguarda l’eventuale pagamento dell’IVA, quando dovuta;
3. L’azienda produttrice non è il cliente diretto del vettore, con tutte le remore che ciò comporta sia in termini di servizi sia di costi;
4. Un fattore negativo per la nostra bilancia commerciale e dei servizi, in quanto la valuta dei noli va all’estero. È appena il caso di tenere presente che la prima azienda di logistica italiana per fatturato è posizionata all’11º posto tra le aziende di logistica che operano nel nostro Paese.
Il comportamento generalizzato delle nostre aziende, di produzione e commerciali, oltre alle quattro conseguenze sopra riportate, non permette quindi di controllare nel suo insieme la catena logistica nazionale ed ottenere quelle economie di scala che permetterebbero di ridurre i costi e diminuire il gap che ci separa dal resto d’Europa.
Trasporti
Il settore è in piena crisi. Al contrario di tutti i Paesi europei abbiamo veicoli in conto proprio, anche di grossa dimensione più numerosi di quelli in conto terzi, e ciò comporta coefficienti di riempimento estremamente bassi ed un numero elevato di veicoli in circolazione. Lo stesso conto proprio, in violazione della Legge, fa concorrenza ai trasportatori professionali caricando merce non propria: abbiamo vettori stranieri che effettuano servizi nel nostro Paese anche se non autorizzati.
Alcuni dati
Nel 2014 erano iscritte all’Albo degli Autotrasportatori 164.000 aziende di cui 43.000 senza veicoli. Poiché gli automezzi di grossa portata immatricolati in C.T. erano 200.000, ogni azienda è in media proprietaria di 1,7 veicoli. In Francia le aziende operanti in C.T. sono 42.000, i veicoli 255.000, per cui il rapporto azienda/veicolo è di 6,10. In Germania le aziende sono 31.000, i veicoli 262.000, il rapporto azienda/veicolo 8,45.
Il settore della logistica, nel suo complesso, registra anche una gravissima carenza occupazionale a tutti i livelli (impiegati, quadri e dirigenti).
Secondo uno studio del 2013 dell’Università Bocconi, il settore ha necessità di circa 30.000 nuovi addetti all’anno, ma siccome non vi sono, se non in numero molto ridotto, scuole superiori o corsi universitari che abbiano la logistica quale indirizzo specifico ed esclusivo, diventa estremamente difficile per le aziende reperire il personale e, quindi, esse vivono costantemente con carenza di organici e ciò non permette sicuramente di sviluppare le stesse come richiesto dal mercato.
Conclusione
Se ministeri, politici, addetti al settore, aziende di produzione o commerciali, pubblica opinione, non entrano nell’ottica di collaborare affinché la logistica non sia intesa solamente come un “servizio”,
ma come un elemento cardine della politica economica e di sviluppo del Paese, continueremo a fare studi molto belli ed approfonditi ma avremo sempre sulle spalle i 40 miliardi di euro della “Grande Tassa Logistica” calcolata dalla Banca d’Italia.
01 maggio 2016