Incontro con gli autori del libro Crescita Economica e Meritocrazia

Un'analisi impietosa per essere consapevoli della realtà, prima che sia troppo tardi

Franco Del Vecchio

Consigliere ALDAI-Federmanager e segretario CIDA Lombardia - lombardia@cida.it
Lo scorso 20 settembre, insieme ai colleghi e colleghe del gruppo Progetto Innovazione, ho incontrato gli autori del libro "Crescita Economica e Meritocrazia":
  • Il Prof. Lorenzo Codogno che insegna alla London School of Economics e al College of Europe, è senior fellow alla LUISS SEP e fondatore di LC Macro Advisors Ltd. già capo economista e dirigente generale del Ministero dell’Economia e delle Finanze nel periodo 2006-2015
  • Il Prof. Giampaolo Galli, direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore, senior fellow alla LUISS SEP, già funzionario della Banca d’Italia, direttore generale dell’Ania, capo economista e direttore generale di Confindustria, parlamentare del Partito Democratico.
Cliccare il video per la presentazione del libro
Il libro si inserisce nel filone delle analisi sul declino dell’Italia dagli anni ‘90 e delle ragioni che lo hanno causato aumentando il divario di crescita rispetto ad altri Paesi europei. Rispetto ad altri libri sull'argomento gli autori aggiungono, alle analisi economiche, la visione d’insieme e le dimensioni non strettamente economiche, indicando in particolare la carenza di meritocrazia e di strutture per incentivi che costituiscono il filo conduttore e il problema del Paese. Sono presenti anche analisi sul mercato e sulle regole, importanti per il privato, ma non determinanti per la Pubblica Amministrazione che ha un peso importante per il sistema Paese.

Gli autori hanno voluto contrastare il crescente negazionismo delle difficoltà del Paese, essendo il problema enorme come dimostra l’evidenza dei numerosi dati e in particolare il “Prosperity Index” un indice annuale sviluppato e pubblicato dal Legatum Institute basato su diversi fattori quali: salute, crescita economica, educazione, benessere, qualità della vita, messi a disposizione da diverse fonti autorevoli come: il Fondo Monetario, la World Bank, l’Ocse ed altri.
L’andamento del PIL indica il declino dell’Italia dagli anni ’90 aprendo un divario evidente rispetto agli altri principali Paesi avanzati. 

Un gap che si ritrova nella produttività totale dei fattori alla base di ogni crescita economica. Se non migliora la produttività, si riduce la competitività e lo sviluppo economico con contrazione del lavoro e dei redditi. Se il PIL si è fermato a metà degli anni ’90 le radici del problema iniziano venti anni prima con la produttività che ha iniziato a rallentare già dagli anni ’70.
Anche il PIL pro-capite conferma la mancanza di crescita evidenziando un problema demografico, che non costituisce però la criticità dominante. 

Il grafico evidenzia la stagnazione della produttività dagli anni ’70. La TFP (Total Factor Productivity) misura, infatti, il grado di efficienza economica e viene calcolata sottraendo il tasso di crescita del lavoro e del capitale rispetto all'output.

Senza crescita economica il debito pubblico esplode come evidenzia il grafico dei paesi sviluppati, con l’Italia sopra ogni altro.
La meritocrazia è sinonimo del mercato,  della concorrenza, ma è anche la struttura per incentivi, non di sussidi, cioè la cornice di regole che stimolano le persone e le organizzazioni ad efficaci comportamenti produttivi utili alla società. 
I continui sussidi a favore di una categoria o di un settore piuttosto che ad un altro non sono meritocratici.
La meritocrazia è esattamente l’opposto dell’egualitarismo, che si è sviluppato in Italia negli anni 60-70 e ha in parte contaminato anche la cultura e il modo di fare economia e impresa.
La meritocrazia si può meglio associare al concetto di uguaglianza di opportunità.
I principali nemici della meritocrazia sono gli interessi costituiti e il corporativismo, le lobby (relazioni privilegiate) e le corporazioni sono nate in Italia e ne caratterizzano ancora la cultura. 
Recentemente la meritocrazia è stata accusata anche negli USA per trarre vantaggio dalle posizioni privilegiate delle categorie agiate che possono permettersi investimenti in studi universitari creando barriere alle pari opportunità.
Una polemica che non si addice però ad un Paese non meritocratico come l’Italia.

La meritocrazia non è un modello sociale perfetto, ma non ci sono concrete alternative, se si esclude la tirannia dei mediocri (così definita dagli autori).

I sintomi del problema sono un sistema basato su relazioni, cooptazione, strutture familistiche, disparità di genere, nepotismo, differenze fra nord e sud, bassa mobilità sociale, appiattimento nell’educazione e sulla gerontocrazia. 
Il che non vuol dire non tener conto delle persone anziane, ma bisogna trovare il modo di passare il testimone con le competenze utili per far spazio ai giovani. 

Un sistema distorto di incentivi non favorisce le parità come ad esempio nelle differenze di genere, il gap fra il nord e il sud, etc.

Tutto ciò conferma un problema molto importante in Italia.
Un contesto non meritocratico comporta la mancanza di adattamento alle sfide, come l’adozione dell’Euro, la globalizzazione, l’innovazione, la rivoluzione tecnologica, lo sviluppo dell’economia della conoscenza e le varie crisi che l’Italia deve affrontare.
Viene a mancare la concorrenza, il lavoro, l’ingegno, l’imprenditorialità e l’assunzione del rischio.
Aumenta invece la ricerca di sussidi statali, protezione e privilegi. Una lunga storia di riforme mancate e annacquate, di “affaticamento da riforme” e di deriva populista.
Rispetto ad altri paesi evoluti l’Italia ha un bassa percentuale di laureati, una scarsa partecipazione femminile al mondo del lavoro. In un società basata sul merito e sulle pari opportunità la componente femminile avrebbe molto più spazio. 

Ci sono gradi barriere all’ingresso e poca concorrenza, soprattutto nei servizi.

Altra storica carenza dell’Italia è l’assenza delle Politiche Attive per il lavoro.
L’Italia è anche la patria del piccolo è bello, forse lo è stata in passato ma non è certo il modello vincente oggi e in prospettiva, in un mondo caratterizzato da globalizzazione, tecnologia, flessibilità, capacita di fare ricerca e innovazione, e per farlo ci vogliono grandi investimenti.

Ma gli investimenti, così importanti come Next Generation EU, non sono sufficienti come dimostra l’esperienza storica di grandi investimenti a favore del sud, che non hanno generato risultati, non hanno ridotto il divario territoriale e non hanno migliorato il PIL del sud e del Paese. 

Gli investimenti vanno realizzati in maniera appropriata altrimenti non producono risultati e non sono di successo.

Quali prospettive per l’Italia?

Le economie che vengono private dal loro dinamismo economico, per varie ragioni e soprattutto per la struttura distorte di incentivi, prima o poi finisco col fallire. 

Fra gli esempi l’Argentina, un Paese fallito che continua a fallire ripetutamente, nonostante fosse fra i Paesi più ricchi al mondo all’inizio del 900. 

Ci sono anche evidenze in positivo come la Corea, allo sbando dopo la guerra, ha saputo riprendersi e innovarsi sviluppando un percorso di crescita e avvicinamento ai Paesi sviluppati e adesso è alla frontiera.

Quali sono le ricette per migliorare la situazione?

Il primo passo è avere coscienza dei problemi e la deliberata volontà di non volersi rendere conto della realtà e il negazionismo diffuso rappresenta la prima sfida da superare.
Bisogna riscoprire il valore dell’innovazione e della concorrenza che è il sale che può mettere in moto e far ripartire l’economia con le riforme e un sistema organico e strutturato per incentivi.

Cambiare è un processo molto lungo, ma necessario. L’indice di prosperità è migliorato un po’ per tutti i Paesi dell’area euro dal 2007 al 2020, ma l’Italia ha fatto meno progressi rispetto ad altri,  come la Lituania e l’Estonia, e rimane in ritardo. Si tratta di un processo lento ma inevitabile sperando di riaccogliere i risultati fra 20-30 anni.

Contestazioni

Il Prof. Giampaolo Galli, condivide una serie di contestazioni ricevute in precedenti presentazioni del libro. 

La prima è “Volete la repubblica di Platone?”, cioè volete che i governanti siano quelli che meritano: i saggi, i filosofi. La risposta è no, non chiediamo una patente di merito ai politici, siamo per la democrazia e il popolo ha il diritto di eleggere chi vuole, e auspichiamo che vengano eletti politici capaci, che abbiano meriti. Non ci può essere un repubblica di Platone, non ci deve essere contrasto fra democrazia e meritocrazia. La meritocrazia si deve applicare ai funzionari pubblici, ai giudici, ai magistrati, agli insegnanti, ai manager, sarebbe opportuno si valutassero con criteri meritocratici anche i politici, ma non possiamo pretendere patenti di merito per i politici. Molto utili i libri come “La grande ignoranza” di Irene Tinagli che rileva il peggioramento della qualità e del livello d’istruzione dei politici.

La seconda critica è del filosofo Michael Sanders con i sui libri: "Giustizia", "La tirannia del merito", ed altri, secondo il quale la Meritocrazia è un copertura dei ricchi per una selezione basata ancora sul censo. In pratica con i soldi i ricchi possono accedere alle università prestigiose che permettono percorsi privilegiati di crescita professionale e di carriera. Se è così viene a mancare il presupposto delle pari opportunità e non è meritocrazia. Il prof. Galli ritiene comunque che il sistema universitario americano nel quale ha studiato e molto meritocratico, ben più di quello italiano.

La terza critica sostiene che il mercato non è meritocrazia e molti preferiscono parlare di mercato piuttosto che di meritocrazia. Non è sempre vero che il mercato sia sempre merito e in verità la meritocrazia nasce nel mercato. Chi vive del proprio lavoro ha legittimato il riconoscimento del merito rispetto a chi i privilegi li ereditava per nobiltà o ricchezza. Le imprese italiane non solo sono familiari, come in altri Paesi, ma hanno anche parenti nel personale dell’azienda e questo non favorisce modelli meritocratici, sebbene l’impresa operi nel mercato. Quindi è bene distinguere mercato e meritocrazia. La cultura italiana è generalmente ostile all’impresa e prevalentemente basata sulle relazioni per cui siamo messi male, come dimostrano le vicende della giustizia con il caso Palamara.

Le resistenza alla meritocrazia affondano le radici nell’ugualitarismo cristiano e politico, nei partiti basati sull’appartenenza piuttosto che sulle proposte, nel ’68, nel 18 politico, con l’uno vale uno degli anni recenti, dall’ugualitarismo degli stipendi condiviso dai sindacati e da Confindustria che alimenta i fuori busta per non pagare tasse e contributi, e anche a nascondere le eventuali differenze. Movimenti ugualitaristici che si sono proposti nell’ultimo mezzo secolo e che risultano incompatibili con un democrazia liberale basata sul mercato.
Come ha dimostrato Pietro Ichino oggi non è possibile non riconoscere le differenze perché il lavoro non è come un tempo alla catena di montaggio in fabbrica.

Concludendo in generale la critica alla meritocrazia in Italia è alquanto sterile e infondata proprio perché la meritocrazia da noi di fatto non c’è.

È proprio facile capire cosa c’è che non va in Italia, stranamente però pochi se ne accorgono e prevale invece il negazionismo.

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