La trasformazione digitale nelle PMI

Nel sistema manifatturiero italiano operano 4,4 milioni di imprese attive, di cui 220.000 sono le PMI con numero di addetti tra 10 e 250 e con fatturato inferiore a 50 milioni di euro. Queste dispongono di limitate risorse finanziarie da investire in nuove tecnologie per la digitalizzazione e la situazione si è aggravata per il 68% di tali imprese a causa della recente pandemia.

Domenico Arces

Associato Federmanager partecipante al progetto Sviluppo PMI e qualificato dal Digital Innovation Hub Lombardia per la valutazione delle opportunità della transizione digitale

Le PMI corrispondono numericamente al 5% della totalità delle imprese italiane, generano il 41% del fatturato nazionale ed il 38% del valore aggiunto, occupando il 33% degli addetti.

L’indice DESI (Digital Economy and Society Index) mostra l’Italia al 25° posto, tra i 28 stati membri dell’unione europea in materia di digitalizzazione economico-sociale ed al 24° posto per la diffusione della cultura digitale. Soltanto il 29% delle grandi aziende ha effettuato in Italia l’analisi delle competenze digitali dei dipendenti e questo dato scende al 13% per le PMI.

Nonostante questo scenario, la trasformazione in atto rappresenta un’ancora di salvezza per molte imprese italiane e spinge le PMI verso l’innovazione digitale che può potenziarne le performance contribuendo alla crescita economica del sistema Paese.

Gli ostacoli da superare sono insiti nella natura stessa delle PMI che sono sempre state poco disponibili a creare partnership, alleanze o fusioni in una logica di rete. Al contrario, all’estero (es. Germania o Francia) le incorporazioni ed i consorzi stanno facilitando la digitalizzazione. Non si tratta di cedere l’azienda tutta o in parte a grandi gruppi, ma semplicemente di interconnetterne l’organizzazione lungo tutta la filiera creando presupposti di interoperabilità. 

Nuove competenze per la digitalizzazione

L’incremento nella richiesta di competenze digitali è ormai inarrestabile. Anche per le aree non-ICT come quelle professionali, dirigenziali, intellettuali e scientifiche sono richieste skills digitali per la comunicazione, per il supporto ai processi decisionali e per lo svolgimento di quelli operativi.

L’incidenza di tali competenze in mansioni aziendali è ancora bassa ed è stimata oggi intorno al 35%. Le politiche degli ultimi anni a favore della transizione digitale stanno dando risultati ancora marginali. La realizzazione di progetti per la digitalizzazione è in ritardo a causa della scarsa disponibilità di personale con skills adeguate e la disoccupazione risulta  in aumento tra il personale  con competenze obsolete.

Da un lato l’accelerazione digitale richiede personale adeguatamente formato, e dall’altro si amplia la forbice tra domanda e offerta di competenze digitali.

Per enti ed aziende le competenze non-ICT più critiche sono legate all’innovazione di prodotti, servizi e processi e riguardano le aree di: definizione strategica, gestione del cambiamento, innovazione e sicurezza. Esse non sono esclusivamente richieste in ambito tecnologico, ma anche per: risolvere problemi complessi,  gestire il cambiamento, collaborare e relazionarsi, adattarsi con flessibilità e comunicare.

L’allineamento della formazione alle esigenze aziendali richiede strategie coerenti con il lavoro, percorsi interdisciplinari, aggiornamento continuo e riqualificazione professionale.

La formazione scolastica ed universitaria in Italia dispone oggi di un 33% di diplomati ed un 67% di laureati, rispetto al mix richiesto di 62% e 38%. La richiesta più urgente riguarda i diplomati presso ITS (Istituti Tecnici Superiori) il cui 82% trova, entro 1 anno dal diploma, un lavoro a tempo indeterminato e coerente con la formazione ricevuta. 

Purtroppo, oggi in Italia sono ogni anno disponibili solo 10.000 diplomati ITS contro i 240.000 della Francia e 880.000 della Germania. È quindi necessario un sistema formativo di base fondato sull’alternanza scuola-lavoro e sull’apprendistato come forma di accesso al lavoro. A tal proposito, risultano molto interessanti le iniziative di “Academy” svolte da alcune aziende italiane in collaborazione con università, politecnici, enti di formazione e organizzazioni interinali per l’inserimento professionale di neodiplomati e neolaureati attraverso percorsi teorici e pratici a fianco di tutor e con rilascio finale di titoli per le conoscenze acquisite.

Le iniziative a sostegno della qualità delle competenze sviluppano i territori e ne valorizzano le potenzialità. Le opportunità formative sono una forma di investimento in capitale umano, rispondono alle richieste delle aziende e curano l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro.

Il percorso per la digitalizzazione delle PMI

I passi da intraprendere per un percorso verso la digitalizzazione sono molteplici:

1) Esplicito impegno della Direzione aziendale come guida al cambiamento attraverso:
  • Individuazione delle persone e delle competenze,
  • Definizione dell’organizzazione e degli strumenti,
  • Garanzia delle risorse,
  • Partecipazione al progetto,
  • Sensibilizzazione e motivazione a tutti i livelli.

2) Definizione di punti di controllo nei processi aziendali e di opportuni KPI per poterli analizzare, verificare, correggere e migliorare. Questi KPI, ottenuti dalla scomposizione degli obiettivi aziendali, devono essere scelti in modo che siano effettivamente utili agli interessati. Ad esempio, indicatori economici e finanziari dell’azienda non sono utili per i reparti di produzione per i quali è più interessante monitorare le prestazioni del processo produttivo, il tasso di scarto, i tempi ciclo, la produttività della mano d’opera, ecc. Per determinati tipi di processo sono significativi alcuni KPI relativi a:
  • Efficienza (produttività, costi per singolo pezzo, costi per commessa, tasso di utilizzo degli asset, OEE Overall Equipment Efficiency, produttività del personale, ecc.)
  • Qualità (livello di conformità del prodotto-servizio ai requisiti del cliente)
  • Livello di Servizio (tempi di consegna, tempi di risposta, efficacia dell’intervento, ecc.)

3) Formazione di un gruppo di lavoro interdisciplinare, non necessariamente condotto dal responsabile I.T., formato da risorse umane con adeguato know-how tecnologico aziendale. Infatti, le PMI italiane sono aziende a forte vocazione manifatturiera e con eccellenti conoscenze tecniche del prodotto e del relativo processo.

4) Pianificazione strategica del progetto di digitalizzazione con obiettivi ed aspettative espliciti e definizione delle tecnologie abilitanti che l’azienda intende adottare per realizzarli. In tale ambito, è necessario stabilire le tempistiche per raggiungere gli obiettivi in relazione alla loro complessità, alla realtà aziendale e relativo incremento tecnologico da realizzare, alla situazione di mercato ed al posizionamento rispetto alla concorrenza. 

L’approccio alla digitalizzazione deve però sempre consentire la massima salvaguardia per l’operatività delle PMI italiane che sono un punto di riferimento in tutto il mondo. Non è possibile adottare una logica ex-novo come avviene in altre parti del mondo, sostituendo l’organizzazione con una completamente nuova. L’approccio graduale a piccoli passi deve quindi essere privilegiato, in modo da fare le giuste scelte tra le tecnologie più adatte e implementare quelle prioritarie. 

L’avvio ed il miglioramento dei processi, anche nell’ottica della digitalizzazione, deve essere supportato da un ragionamento sui dati e quindi dal ben noto metodo ciclico del PDCA (Plan-Do-Check-Act) che permette di stabilire i tempi per raggiungere gli obiettivi della digitalizzazione in base alla realtà aziendale, al divario tecnologico da colmare, alle urgenze imposte dal mercato ed allo scenario del settore e della concorrenza. 

I quattro principali pilastri su cui fondare una transizione digitale:

Sviluppare competenze digitali
Ogni componente di un’azienda (addetti a produzione e servizi, responsabili, manager, ecc.) dovranno sviluppare le proprie competenze digitali per potersi muovere virtualmente da una funzione aziendale all’altra condividendo dati e informazioni. Questo favorirà anche la diffusione della conoscenza tecnica e dell’esperienza non solo su prodotti e servizi ma anche sui processi. In tal modo, le decisioni potranno essere sempre prese sulla base di dati reali.
Adottare una logica di rete
Sviluppare partnership, alleanze e fusioni con altre realtà che hanno determinate competenze su tecnologie di interesse strategico per l’azienda. Basti pensare che oggi i prodotti ed i servizi più competitivi sul mercato prevedono componenti sinergiche di tipo meccanico, elettrico, elettronico e software. Una PMI potrebbe non possedere al suo interno tutte queste competenze, e quindi sarà necessario individuarle all’esterno e creare rapporti solidi di partnership con chi le detiene.
Considerare i dati come asset intangibile
Anche i dati sono parte del patrimonio di una PMI e vanno identificati e raccolti per poter ampliare la conoscenza e supportare le decisioni, in modo da aggiungere valore e accrescere il benessere aziendale. I dati devono essere facilmente accessibili, lungo la filiera e la catena del valore, a chi è autorizzato ad utilizzarli, cioè devono essere sfruttabili nel tempo e fruibili nei luoghi in cui servono.
Sin dall’inizio del percorso di digitalizzazione bisognerà affrontare in modo pratico e pragmatico il problema della raccolta e della gestione dei dati, partendo da quelli già disponibili e attribuendone il giusto valore per inquadrarli, razionalizzarli e classificarli.
La gestione dei dati, sotto la spinta dall’innovazione digitale, impone una interazione tra sistemi IT (Information Technology) e sistemi OT (Operative Technology) in modo da consentire una combinazione in tempo reale di dati rilevati on-line da sensori sul campo con analytics avanzati. 

La IT è preposta alla gestione dei dati, mentre la OT al controllo di apparecchiature ed impianti. I componenti della rete OT (es. sensori e sistemi di controllo) possono essere collegati ai componenti della rete IT (es. HW e SW) affinché le due tecnologie interagiscano. Analogamente, anche le informazioni sulle interazioni con i clienti ed i casi di servizio immagazzinati in sistemi come il CRM (Customer Relationship Management), possono essere allineati alle osservazioni dei clienti in modo da utilizzarli per migliorare la catena di fornitura, le attività operative e lo sviluppo prodotto.

Nella figura seguente, tratta da uno studio della Mc. Kinsey, è riportato un caso di interazione IT/OT applicata alla ottimizzazione del trattamento acque mediante sensori on-line e analytics avanzati.
Si tratta della gestione dati per stabilizzare l’operatività e incrementare la capacità produttiva nel settore minerario in ci la spesa per il trattamento acque è stimata in aumento dal 4 al 7% nel 2024.
Gli investimenti per ridurre lo spreco di acqua e migliorare l’efficienza degli impianti di trattamento, ammontavano nel 2019 a 15 miliardi di dollari.

L’utilizzo di strumenti digitali (sensori e valvole inseriti in blocchi logici di sistemi automatici) aiuta a prevenire anomalie negli impianti, garantendo regolazioni e condizioni di funzionamento stabili senza l’intervento continuo degli operatori.

Macchinari e impianti sono equipaggiati con sensori gestiti da PLC che provvedono ad immagazzinare i dati rilevati mediante SW/HW locali e successivamente in cloud. Le eventuali anomalie vengono rilevate in rete e, mediante modelli analitici e di calcolo DS/DE, informazioni e dati vengono trasmessi alle postazioni degli addetti.
Garantire la sicurezza informatica
La minaccia di attacchi informatici è cresciuta di pari passo con l’aumento delle attività via Internet. La digitalizzazione delle imprese riversa in rete non solo dati finanziari, mail, report e documenti, ma anche una massa di dati generata dall’applicazione di IoT su macchinari e impianti. Tali dati, se non adeguatamente protetti, possono diventare preda di pirati informatici con scopi che vanno dal sabotaggio al ricatto o dal boicottaggio al furto di segreti industriali.
Anche se il 100% della sicurezza informatica è un obiettivo difficilmente raggiungibile, la digitalizzazione dell’impresa impone che tale sicurezza sia la massima possibile e che venga applicata automaticamente mediante sistemi integrati.

L’azienda dovrebbe definire dati e risorse da proteggere, e adottare le opportune sicurezze in base alla valutazione dei rischi. Un’adeguata simulazione delle emergenze deve essere regolarmente svolta per verificare l’efficacia delle sicurezze adottate, ma soprattutto la velocità con cui esse reagiscono per identificare e neutralizzare le minacce.
Infine, la sicurezza informatica deve essere un impegno di tutti i dipendenti dell’azienda e non soltanto dei responsabili IT. In tal senso, la sicurezza informatica come quella per gli infortuni sul lavoro, deve coinvolgere il management ed i dipendenti per salvaguardare dati e informazioni in maniera analoga alla salvaguardia della salute sul posto di lavoro. 
 

Conclusioni

Le nostre PMI, che hanno fatto grande il nostro paese grazie alla loro operatività considerata un riferimento mondiale, dovrebbero oggi considerare i fattori abilitanti per la trasformazione digitale come obiettivi da raggiungere. Per contro, le loro limitate risorse e dimensioni e le loro caratteristiche culturali possono rappresentare un limite nella prospettiva della digitalizzazione, talvolta presentata dai media come esperienza che investe e coinvolge tutto in maniera massiva e invasiva. L’approccio a piccoli passi, l’introduzione graduale delle nuove tecnologie, le scelte definite in base al proprio ambito e la valutazione di rischi e opportunità devono guidare l’imprenditore che affronta la trasformazione digitale. In sintesi, non si tratta di un imperativo a stravolgere in un solo colpo la realtà aziendale, ma di un impegno alla massima ottimizzazione delle sue attività per renderle gradualmente interconnesse.
Archivio storico dei numeri di DIRIGENTI INDUSTRIA in pdf da scaricare, a partire da Gennaio 2013.