I perché della BIOECONOMIA
La bioeconomia è un grande contenitore della produzione primaria - agricoltura, allevamento, foreste, pesca e acquacoltura - e di settori industriali che utilizzano o trasformano le biorisorse, come l’industria alimentare, dei mangimi, della cellulosa, della carta, della lavorazione del legno, le bioraffinerie, parte dell’industria chimica, energetica e marino-marittima.
Monica Pontiroli
Program Manager Prioritalia e componente del gruppo di lavoro Sviluppo Sostenibile CIDA Lombardia
La bioeconomia rappresenta inoltre la primaria soluzione alla crescente richiesta di cibo dalla popolazione mondiale e alla diminuzione delle materie prime tradizionali e non rinnovabili grazie alle potenzialità di produrre di alimenti e mangimi di migliore qualità e maggiore quantità, di composti chimici e combustibili biocompatibili da materia prima rinnovabile, garantendo sicurezza, qualità alimentare, riduzione degli inquinamenti ambientali e dei cambiamenti climatici.
La bioeconomia genera per l’Europa un fatturato annuo di circa 2.200 miliardi, a fronte di oltre 18 milioni di posti di lavoro; per l’Italia - terzo mercato europeo del comparto dopo quello tedesco e francese - un fatturato annuo di circa 300 miliardi e quasi 2 milioni di posti di lavoro.
Ma c’è di più, sta dando vita a tante start up ad alto valore aggiunto (576 le startup innovative nel settore, 7% del totale) soprattutto in Umbria, Marche, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige, che sono comunque regioni forti nelle start up innovative, ma anche in Sardegna, Sicilia e Puglia. In questo giocano un ruolo importante alcuni poli universitari d’eccellenza che, insieme alla vocazione territoriale verso i settori della bioeconomia, costituiscono un driver importante per la nascita di queste imprese innovative.
Oltre a un peso rilevante in termini di volume, l’Italia si caratterizza anche per una maggiore diversificazione settoriale, con un ruolo dominante (come negli altri paesi) della filiera agro-alimentare ma anche con una presenza significativa del mondo del tessile e della concia, dell’industria del legno, della carta (che riveste un peso solo di poco inferiore rispetto a quello della Germania) e una significativa presenza nelle componenti high-tech della chimica biobased e della farmaceutica biotech.
Filiere come quella degli intermedi chimici e delle plastiche ottenute da materie prime rinnovabili, concepite come soluzioni in grado di trasformare problemi ambientali, come quello del rifiuto organico, in risorse, sono la dimostrazione che il nostro Paese è capace di dar vita a modelli fortemente innovativi e sistemici, sostenibili e competitivi allo stesso tempo. L’Italia ha ideato il concetto di bioraffineria integrata nel territorio, con filiere che arrivano fino all’agricoltura, guardato con interesse anche a livello europeo. Diverse regioni stanno oggi concretamente cercando di mettere in pratica un modello di bioeconomia intesa come rigenerazione territoriale.
La rilevanza che la bioeconomia ha sull’economia italiana, l’importanza della dimensione locale nello sviluppo sostenibile e l’elevata varietà delle produzioni afferenti a questo settore hanno portato ad approfondire l’analisi a livello regionale, con l’idea di individuare le specificità ed eccellenze di ciascun territorio nei diversi comparti che rientrano nella definizione di bioeconomia. La mancanza di statistiche sufficientemente dettagliate non consente di stimare un valore complessivo della bioeconomia a livello regionale. Lo sforzo è stato quello di fare una panoramica sulle specializzazioni territoriali per ciascun settore incluso nella bioeconomia, individuando punti di forza ed eventuali criticità, analizzando le competenze presenti e le aree di miglioramento, al fine di fornire un quadro il più possibile esaustivo sullo stato dell’arte della bioeconomia nelle diverse regioni.
Ne emerge un quadro estremamente eterogeneo, in cui una molteplicità di settori e soggetti, espressione di mondi differenti (imprese manifatturiere, sistema agricolo, ricerca scientifica, istituzioni pubbliche e private) devono interagire e coordinarsi per promuovere l’uso di risorse rinnovabili e uno sviluppo sostenibile della bioeconomia. Le regioni del Nord presentano sicuramente molti punti di forza: oltre ad una significativa dotazione in termini di risorse naturali e ad un forte ruolo dei settori biobased più tradizionali (alimentare, legno, carta, tessile, concia) possono contare su un elevato livello di competenze e di capitale umano, fattori che hanno favorito la crescita di un tessuto produttivo dotato di attori economici leader del settore della chimica biobased e della farmaceutica biotech.
In conclusione tra le principali prerogative della bioeconomia:
- limita la perdita di biodiversità e le trasformazioni del suolo
- crea crescita economica e occupazionale nella valorizzazione delle specificità locali, rurali, costiere e industriali (in linea con i principi contenuti nell’Agenda Junker per l’Occupazione, la Crescita, l’Equità e il Cambiamento Democratico)
- supporta l’economia circolare grazie all’uso delle risorse biologiche rinnovabili, alla produzione primaria sostenibile, a sistemi di trasformazione alimentare efficienti, alla riduzione dei rifiuti e delle emissioni di gas serra.
- guida una visione condivisa fra le istituzioni e i principali attori pubblico-privati sulle opportunità economiche, sociali ed ambientali del settore, delle sfide connesse all’attuazione di una bioeconomia interata nel territorio e alle azioni di implementazione necessarie.
- stimola ricerca e innovazione: per rafforzare gli ambiti produttivo-industriali creando nuove o più lunghe catene di valore nei territori
Approfondimenti sul tema:
- “Strategia Italiana per la Bioeconomia” (BIT) -
- Dal Comunicato Intesa- Banco di Napoli i grafici seguenti
01 gennaio 2020