Il benessere e la salute nei luoghi di lavoro
Una misurazione dal lato dei lavoratori e dei datori di lavoro
Francesca G.M. Sica
Responsabile Area Pianificazione Strategica e Centro Studi Fasi
La salvaguardia della salute e la promozione del benessere nei luoghi di lavoro non è una conquista recente dei lavoratori.
Il trattato De Artificum Diatriba pubblicato a metà del 1600 consacra Bernardino Ramazzini come pioniere a livello mondiale1 non solo del benessere lavorativo ma anche della prevenzione, essendo lui stesso autore del motto “prevenire è meglio che curare”.
Salute e benessere dei lavoratori sono parte integrante di un concetto di benessere più ampio che riguarda la collettività nel suo complesso. La misurazione del benessere a livello macroeconomico, nella duplice accezione di “equo” e “sostenibile” (da cui l’acronimo BES), è stata introdotta dall’Istat sin dal 2010 sulla falsariga degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) fissati dalle Nazioni Unite e da raggiungere entro il 2030. Scopo del BES Istat è monitorare il progresso della nostra nazione e dei suoi territori, regioni e province, dal punto di vista sociale e ambientale e non solo economico. Si tratta di un indicatore multidimensionale che copre molteplici aspetti2 al fine di superare i limiti del Prodotto Interno Lordo che, al contrario, è una misura univoca puramente contabile volta a quantificare esclusivamente il valore monetario dei beni e servizi prodotti annualmente all’interno del territorio dalle unità produttive che operano nel nostro Paese.
Istat colloca al primo posto la dimensione “salute” tra i pilastri portanti del BES. Tra i vari indicatori prescelti da Istat per misurare la salute, l’analisi del Centro Studi del Fasi, presentata in occasione delle semifinali del Premio Giovane Manager organizzate da Federmanager, si concentra su un sottoinsieme più strettamente correlato con la dimensione benessere lavorativo e, quindi, con gli stili di vita.
Primo fra tutti, la “salute mentale” il cui punteggio nel 2021 si è attestato a 68,43, in peggioramento rispetto al 2020 quando l’indice salì a 68,8, miglioramento da attribuire al lockdown che ci relegò per mesi a casa e, quindi, lontano dal contesto lavorativo, sovente fonte di stati di ansia e di perdita di controllo emozionale e comportamentale. A seguire, l’enfasi del Centro Studi Fasi è sulla “sedentarietà” che è il terzo fattore di rischio per le malattie non trasmissibili e di mortalità a pari merito con l’iperglicemia: nel 2021 le persone di 15 anni e oltre che non svolgono alcuna attività fisica ammontano a 19,8 milioni, con un’incidenza del 32,5% sulla popolazione di riferimento. Tra le qualifiche professionali, i più sedentari sono gli operai con un’incidenza del 33%, seguiti dai dirigenti con il 19% e dagli impiegati 16%. Quanto all’”eccesso di peso” Istat rileva che il fenomeno riguarda il 44,4% della popolazione di 15 anni e più per un totale di 22 milioni di persone in sovrappeso e obese.
Con riferimento al “benessere lavorativo-conciliazione tempi di vita” la ricerca condotta dal Centro Studi del Fasi ha analizzato questo pilastro portante del BES da due differenti angoli visuali: lato imprese e lato lavoratori.
Sul fronte imprese, i dati ISTAT rilevano che nel triennio pre-pandemia il 69% delle imprese ha avviato iniziative per migliorare il benessere dei propri lavoratori con un maggiore preferenza per lo sviluppo professionale (il 65,6%) e, a seguire, per la tutela delle pari opportunità (il 61,9%), il coinvolgimento negli obiettivi aziendali (59,4).
A livello territoriale le imprese più attive sono risultate quelle del Mezzogiorno (71%) dove la stragrande maggioranza delle province mostra percentuali di attivismo più alte della media nazionale che superano l’80% nelle province di Calabria e Campania (vedi grafico sopra).
Per quanto riguarda la conciliazione dei tempi di vita, le imprese italiane hanno puntato sulla flessibilità dell’orario di lavoro (68,6%) e sui diritti alla genitorialità sotto forma di permessi e congedi concessi, per nascita e inserimento dei figli a nido e scuola materna, da circa 1 impresa su 3.
A livello territoriale le imprese più attive sono risultate quelle del Mezzogiorno (71%) dove la stragrande maggioranza delle province mostra percentuali di attivismo più alte della media nazionale che superano l’80% nelle province di Calabria e Campania (vedi grafico sopra).
Per quanto riguarda la conciliazione dei tempi di vita, le imprese italiane hanno puntato sulla flessibilità dell’orario di lavoro (68,6%) e sui diritti alla genitorialità sotto forma di permessi e congedi concessi, per nascita e inserimento dei figli a nido e scuola materna, da circa 1 impresa su 3.
Lato lavoratori, dai dati Istat rilevati post-pandemia emerge che nel 2021 solo un lavoratore su due è soddisfatto del lavoro svolto, una quota che colloca i lavoratori italiani agli ultimi posti della classifica europea, in cui peggio di noi - tra i membri UE27 - sono solo Bulgaria e Grecia. Gli aspetti del lavoro giudicati più insoddisfacenti sono la remunerazione, per la quale si dichiara soddisfatto solo il 31%, e le opportunità di carriera dove la quota di soddisfatti arriva al 38%.
Dal confronto imprese-lavoratori emerge un ampio disallineamento. Nonostante gli sforzi compiuti dai datori di lavoro nel triennio pre-pandemia per incrementare il benessere lavorativo e, soprattutto, la conciliazione dei tempi di vita attraverso il lavoro a distanza, i lavoratori italiani dichiarano post pandemia di essere ancora insoddisfatti del lavoro svolto e risultano anche i meno motivati (engaged) in assoluto in Europa, con un’incidenza percentuale dei non motivati del 96% a fronte di una media mondiale dell’81% (secondo Gallup Inc. "State of the Global Workplace: 2022 Report").
Conseguentemente, si innesca un circolo vizioso insoddisfazione-demotivazione-bassa produttività del lavoro che potrebbe aiutare a spiegare l'annoso differenziale negativo di produttività del nostro paese rispetto ai suoi partner commerciali come Germania e Francia.
1 Censì oltre cinquanta professioni dell’epoca dai “beccamorti” alle “levatrici” con la descrizione minuziosa di posture, sostanze manipolate e malattie professionali ad esse associate.
2 Sono 12 le dimensioni o domini del BES: 1. salute; 2. istruzione e formazione; 3. benessere lavorativo e conciliazione dei tempi di vita; 4. benessere economico; 5. Relazioni sociali; 6. politica e istituzioni; 7. sicurezza; 8. benessere soggettivo; 9. paesaggio e patrimonio culturale; 10. Ambiente; 11. Innovazione, ricerca e creatività; 12. Qualità dei servizi (ISTAT La misurazione del benessere - Gli indicatori)
3 L'indice misura il disagio psicologico (psychological distress) ottenuto dalla sintesi dei punteggi totalizzati da ciascun individuo di 14 anni e più, in cinque quesiti estratti dal questionario SF36 (36-Item Short Form Survey). I quesiti fanno riferimento alle quattro dimensioni principali della salute mentale: 1) ansia, 2) depressione, 3) perdita di controllo comportamentale emozionale, 4) benessere psicologico). Quanto all’unità di misura, l’indice varia tra 0 e 100, con migliori condizioni di benessere psicologico al crescere del valore dell’indice. La salute mentale è uno stato di benessere emotivo e psicologico nel quale l'individuo è in grado di sfruttare le sue capacità cognitive o emozionali, esercitare la propria funzione all'interno della società, rispondere alle esigenze quotidiane della vita di ogni giorno, stabilire relazioni soddisfacenti e mature con gli altri, partecipare costruttivamente ai mutamenti dell'ambiente, adattarsi alle condizioni esterne e ai conflitti interni (OMS).
01 giugno 2023