Sanità pubblica e integrativa, il Governo annuncia un riordino

Partecipiamo al processo evolutivo ma teniamoci stretti i principi fondanti su cui si basa il FASI

Roberta Lovotti

Coordinatrice Gruppo Prevenzione e Presidente della Commissione Previdenza e Assistenza Sanitaria
Lo scorso 26 marzo l’Osservatorio Nazionale Welfare e Salute (ONWS) ha organizzato un evento alla presenza di membri del Governo e dei principali sindacati e fondi di categoria, con l’obiettivo di promuovere il riordino normativo della sanità italiana.

Il Presidente dell’ONWS, Ivano Rossi, ha evidenziato che in un Paese ove tra SSN, spesa socioassistenziale, sanità integrativa e spesa privata dei cittadini si utilizzano oltre 200 miliardi l’anno, il principio universalistico, sancito dalla Costituzione, rischia il collasso a meno dell’introduzione di meccanismi di integrazione e mutualismo tra spesa pubblica e intermediata. La prima riflessione che tutti condividono è che sanità pubblica e integrativa devono complementarsi e non sovrapporsi. I fondi sanitari integrativi sono nati (D.Lgs. 502/92) per garantire le prestazioni escluse dai LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) ovvero tutto l’ambito della prevenzione, riabilitazione, assistenza alla non autosufficienza e odontoiatria. Da allora diversi interventi normativi hanno modificato le regole, portando la possibilità di sovrapposizione tra SSN e sanità integrativa fino all’80%. Tutto ciò ha portato lo Stato a divenire un soggetto pagatore di strutture pubbliche e private, perdendo la sua funzione di regolamentazione e controllo. I limiti delle risorse finanziarie hanno poi portato alla scelta più semplice e miope: tagliare i costi della sanità pubblica. 

Nel frattempo, la sanità integrativa si è espansa: dal 2010 a oggi gli assistiti sono passati dai 3 ai 16,5 milioni. La crescita, spiega Russo, è avvenuta in modo eterogeneo, ai fondi di categoria si sono aggiunte le casse mutue e i fondi assicurativi. Il livello di esternalizzazione del rischio e le regole di gestione dei vari fondi sono molto diversi e la carenza di norme e di trasparenza rende difficile regolamentare la sinergia dei due pilastri della sanità italiana. Anche secondo Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione Gimbe, un riordino normativo è inderogabile. Entrambi concordano nel vedere un futuro della sanità integrativa con le seguenti caratteristiche:

  • copertura estesa almeno ai 2/3 della popolazione;
  • potenziamento della funzione sinergica tra sanità pubblica e integrativa limitando le sovrapposizioni e lasciando che il SSN possa garantire le cure anche agli indigenti (art. 32 Costituzione).
  • semplificazione della burocrazia per il convenzionamento delle strutture pubbliche.

L’On. Francesco Zaffini, Presidente della Commissione Sanità, Welfare e Lavoro del Senato, ha spiegato i punti cardine dell’iniziativa legislativa che intende promuovere, entro l’estate, per il riordino del settore al fine di ottenere un modello di governance più strutturato e omogeneo:

  1. le tipologie di Fondi sono troppe, chi eroga prestazioni simili per funzione e modalità operative deve avere una normativa omogenea di riferimento;
  2. il buon funzionamento implica trasparenza e rendicontazione, nonché la vigilanza da parte del Ministero sulle prestazioni sanitarie offerte ai beneficiari, per accrescere la reale integrazione con il SSN;
  3. l’estensione della platea dei beneficiari attraverso il contrasto all’elusione contributiva, l’inclusione dei lavoratori pubblici e dei quiescenti.

Nel frattempo, gli interventi sulla sanità pubblica non sembrano proprio andare nella direzione giusta. Gli investimenti in sanità e l’incidenza sul PIL continuano a calare (dal 7% del 2020-2021 al 6,2 pianificato per il 2027). La proposta del Governo per il taglio delle liste d’attesa prevede l’introduzione dell’“appropriatezza prescrittiva”, ovvero l’eliminazione di tutte le prescrizioni superflue da parte dei medici. Non è dato sapere sulla base di quali criteri una prestazione verrà definita superflua, quello che è certo è che il Ministero della Salute prevede di ottenere così una riduzione di 10 miliardi l’anno di spesa. Come già successo in passato, c’è il rischio che queste iniziative si attuino imponendo ai medici di medicina generale (MMG) dei tetti di prescrivibilità. 

La proposta del Ministro Schillaci includerebbe anche l’innalzamento del tetto di spesa per l’assunzione del personale da parte delle strutture sanitarie pubbliche, oggi fermo al 98,6% del valore speso nel 2004. In alternativa, l’ospedale potrà finanziare prestazioni straordinarie dei propri specialisti pagandole come libera professione oppure acquistare prestazioni libero-professionali presso strutture private. Quale rafforzamento delle iniziative ministeriali la Regione Lombardia ha adottato ulteriori due misure per la riduzione delle liste di attesa: estendere l’orario di apertura di ambulatori specialistici e diagnostici fino alle ore 20, coprendoli con attività straordinaria da parte del personale medico e paramedico, nonché ridurre e irrigidire i tempi di durata delle singole prestazioni. La manovra è stata accolta male dagli addetti ai lavori che chiedono il potenziamento dell’organico e stipendi adeguati alle medie europee e non la normalizzazione degli straordinari. Quanto all’irrigidimento e contenimento delle durate delle prestazioni, indipendentemente dalla situazione del paziente, viene considerato un attacco alla qualità del processo di cura.

In un contesto in cui far quadrare i conti – e soprattutto soddisfare i bisogni di salute dei cittadini – è così difficile, risulta incomprensibile che non venga introdotta una normativa, da tempo invocata da tutti coloro che si occupano di sanità, che imponga di far pagare il ticket ai cittadini che non si presentano agli appuntamenti di visite ed esami. Nella sola Lombardia ogni anno 19 milioni di prestazioni non vengono erogate a causa del cosiddetto fenomeno del “no show”: il 21% delle visite viene così perduto con conseguente spreco di spesa pubblica e allungamento delle liste di attesa. 

Osservando lo scempio che si sta perpetrando sulla sanità pubblica risulta difficile accogliere con fiducia gli obiettivi enunciati dall’On. Zaffini. Considerando, viceversa, l’attuale situazione della sanità integrativa si nota una sempre maggior presenza sul mercato di operatori del mondo assicurativo che hanno un approccio diverso rispetto ai fondi di categoria.

La nostra categoria ha in FASI un fondo con 45 anni di esperienza che, pur con i suoi limiti, ha come unico obiettivo la tutela della salute degli associati senza selezione del rischio e garantendo mutualità e solidarietà intergenerazionale.

Diventa indispensabile per il futuro partecipare al cambiamento ma difendendo strenuamente i principi fondamentali su cui si basa il FASI. L’evoluzione della sanità integrativa deve portare a reperire più fondi per la sanità, separare il ruolo di SSN e secondo pilastro ed estendere la copertura integrativa a vantaggio della salute delle persone e non del mercato.

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