Carlo Carrà, in cammino... dipingendo
Non è un caso isolato il cammino artistico di Carlo Carrà (1881-1966) nella storia dell’arte italiana del Novecento, in particolare nella storia della pittura di cui Carrà è diventato maestro universale senza per questo essere “vero” maestro di giovani allievi che a lui si sono rivolti negli anni di Brera a Milano.
Alberto Cantoni
La sua arte nasce nella manualità del lavoro artigiano, decoratore murale e studente serale che, recatosi all’Expo di Parigi del 1900, per lavoro e non per turismo, trova nel Louvre la chiave della sua ragione d’essere. Non fa differenza se si tratta di Monet o di Gauguin, di Cézanne o di Van Gogh, è l’arte della rappresentazione che lo vince ed è l’arte che inizia in lui un cammino che dalla tradizione lombarda lo fa presto dipingere con i colori dei divisionisti che si aprono al nuovo. Molti hanno incontrato Boccioni e la irruenta apertura del Futurismo con Marinetti, ma sono stati in pochi a firmarne il Manifesto (1909).
Diverso dalla profonda costruzione di Boccioni e dalla libera architettura di Prampolini, Carrà nel suo tempo futurista inizia a trattare la pittura come un mezzo di realizzazione del movimento perenne che ci circonda, movimento che si chiama vita reale e non immagine della vita reale, anche se di colore e di immagine si tratta in pittura. Le sue opere sembrano essere flussi di energia che si aggregano per diventare figura e sorgono dal colore per fare immagine; esempio ne può essere La Stazione di Milano del 1910/1911 dove macchine e persone sono un insieme di movimento che crea forma in uno spazio che non racchiude l’immagine, ma la contorna aprendola sul retro illuminato.
In tempi brevissimi, ancora Carrà modifica il suo stile di pittura dopo l’incontro nel 1912 a Parigi con Picasso, Braque e Modigliani e nasce Donna al Balcone (1912/1913) dove il movimento lascia campo libero allo spazio e al colore rigido di complesse forme quasi meccaniche in una fisicità molteplice, che apre alla meditazione cubista e che lo porterà, forse inconsciamente, su strade opposte senza per questo perdere nulla delle esperienze passate.
Nel breve tempo di pochi anni Carrà, lacerato dalla guerra e insofferente di ogni appartenenza e catalogazione, incontra Giorgio De Chirico nel 1917 e con lui stende le ragioni della pittura chiamata “Metafisica”, ma in verità per lui pittura del reale nell'irreale. Il suo pensiero sembra non trovare ragione in una definizione univoca di fare arte, sicuramente non trova limite il suo animo spesso contorto ma profondissimo e sempre alla ricerca dell’essere individuale, per la semplice ragione che l’essere esiste e nella figura agisce. Non poteva così mancare la voce e la profondità irripetibile di Giotto e del Rinascimento italiano unitamente al ritorno del maestro Cézanne.
Esempio di solitaria riflessione è l’opera Pino sul Mare del 1921, ove lo spazio immobile contiene le forme che in esso si rappresentano, cariche di illuminante solitudine. Dal movimento come ragione di costruzione dell’immagine si passa al portamento immobile di un movimento che non è nelle cose, ma nel pensiero che le cose generano. Ecco Carrà camminare... dipingendo e l’architettura rinascimentale si fonda con la solitaria presenza dello spirito del Novecento. Nessuno aveva mai portato a un simile estremo la fusione di varie esperienze tanto diverse fra loro e in così breve tempo. È come se si ascoltassero in tempo simultaneo la danza primitiva di Le Sacre du Printemps di Stravinki (1913) e la distillazione sonora della Sinfonia op. 21 di Webern (1928) senza per questo trovare contraddizione perché non si tratta di sovrapposizione, ma di ricreazione consapevole di un tutto all’origine divergente. Su questo Carrà ancora si trasforma e ritrova la pittura di ambiente, la presenza dominante della natura e dei colori che in essa si generano nella meravigliosa Toscana e nella Marina di Forte dei Marmi (1926) dove Carrà ritrova una seconda dimora e la continua capacità di fare immagine della natura in un pensiero irreale. Donna al Mare (1931) porta la figura umana in posizione dominante e carica di colore della terra da cui l’umano deriva, mentre il mare si staglia potente sullo sfondo con colori che legano allo spazio celeste. Terra e cielo in unica immagine.
Un passo ulteriore e la figura umana diventa sempre più dominante, carica di fisicità che trasferisce nel corpo stesso quanto nel Rinascimento apparteneva all'anima, vero esempio di un pensiero autonomo e scientifico che spazia dalla persona alla natura e con essa alla costruzione di architetture di ampia presenza non disturbante – la cementificazione del Novecento – ma indispensabile oggetto della realtà umana.
Dagli anni ’30 inizia un percorso sempre più sostenuto verso immagini ripetute, cariche di colore denso e dominante come la figura stessa; un lungo percorso fino alla sua tarda realizzazione che, nel ripetersi, lo porta ai margini di uno sviluppo postbellico che apre ad altri modi di fare pittura, lo spazio-tempo, che di Carrà non può certo essere facile conseguenza.
L'incontro si terrà in ALDAI
sala Viscontea Sergio Zeme - via Larga 31 – Milano
Giovedì 18 ottobre 2018 alle ore 17.00
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