Ecologia e Management

Viviamo tempi complessi e complicati: la posizione del manager non regge senza il talento “naturale” di adattarsi con flessibilità ad un ecosistema in rapida transizione.

Romano Ambrogi 

Presidente ALDAI
La globalizzazione e lo sviluppo di economie emergenti in altre aree del mondo hanno determinato nella vecchia Europa e nel nostro Paese (dal punto di vista delle statistiche demografiche uno dei più vecchi) una spinta rapida (e difficilmente prevedibile nei suoi effetti) al cambiamento e allo sconvolgimento di schemi che hanno costituito fino ad oggi un riferimento della cultura manageriale.
Una riflessione sul ruolo del manager, che Federmanager e la CIDA hanno avviato, anche se stenta a trovare una forma strutturata di svolgimento, può trovare utili analogie nel paragone con gli strumenti di analisi che alcune discipline scientifiche hanno elaborato per interpretare sistemi complessi come gli ecosistemi.
Il sistema economico, analogamente alle foreste, al mare o alle colonie di formiche, è un sistema adattativo nel quale fenomeni e comportamenti locali possono ripercuotersi a cascata e imporre una forma diversa di organizzazione all’intero complesso. Data questa premessa, autorevoli studi(1) hanno dimostrato che le teorie tradizionali del management, che presuppongono che il sistema aziendale sia pienamente controllabile e predicibile, ora sono inadeguate per affrontare le sfide poste dalla gestione del business attuale.
In un sistema adattativo complesso, gli eventi locali e le interazioni tra agenti eterogenei (nel caso di un'impresa i dipendenti e le unità organizzative), riformulano il sistema con una serie di processi a cascata che possiamo definire “emergenza”. Ne consegue che la cultura di una azienda è determinata dai comportamenti e dalle interazioni di chi ci lavora (dalle loro azioni e parole, dalle loro relazioni reciproche), molto più che dalle declaratorie della proprietà o dei manager. A differenza dei processi produttivi di fabbrica, che possono essere ingegnerizzati e scalati con processi gerarchici, la cultura aziendale non può essere controllata direttamente e meccanicamente dai manager. Essi hanno però il delicato compito di influenzarla positivamente con il loro stesso comportamento che fornisce un esempio, oppure progettando sistemi incentivanti di buone pratiche, empiricamente emerse. 
Per esempio, aziende con una cultura ostile alla diversità trovano difficoltà a modificarla, perché l’avversione alla diversità non origina da una singola sorgente individuabile e controllabile, ma da convincimenti impliciti, attese e comportamenti di tutti coloro che ci lavorano. Interventi diretti, del tutto plausibili, come corsi obbligatori sulla diversità e programmi di promozione strutturati restano spesso senza effetti. Si dimostra infatti che le iniziative top-down di questo tipo, in cui regole e obbligatorietà frustrano la necessaria autonomia dei lavoratori e provocano reazioni negative, spesso depotenziano l’obiettivo iniziale.
Molti esempi stanno dimostrando che un management “meccanicistico” basato sulla previsione di andamenti lineari e relazioni causa-effetto dirette, che ignorano effetti di ordine più elevato, sopprime l’apprendimento adattativo perché minimizza la tolleranza alle oscillazioni ed  alle deviazioni dal processo prescritto. Ciò non toglie che una pratica gestione aziendale debba essere basata su solide basi e strumenti di analisi e supporto alle decisioni. Come le scienze della meteorologia e del clima hanno progredito, con indubbi vantaggi nella capacità predittiva grazie all’adozione di statistiche e di modelli probabilistici che hanno sostituito l’approccio deterministico, così anche le previsioni di sviluppo di capitali “venture” si baseranno sempre più su strumenti statistici. Analogamente  la teoria del controllo ad agenti permette di interpretare ed utilizzare l’esperienza derivata da processi locali per inferire i possibili output a livelli e scale superiori.
Aggiungo un’ultima analogia ecologica per illustrare questo trend di evoluzione del pensiero manageriale, che ritengo molto fruttuoso. Quando si è dimostrato che gli incendi spontanei controllati possono essere un fattore positivo nello sviluppo e mantenimento delle foreste, gli interventi di gestione sono evoluti dallo spegnimento di qualunque focolaio alla attenta sorveglianza e contenimento degli eventi di minore entità, diminuendo i casi di incendi incontenibili di vaste proporzioni. Nel mondo del business questo può significare che episodi locali di insuccesso, che comportano costi nel breve, sono peraltro essenziali per la vitalità del successo aziendale complessivo. Ciò significa una aumentata sensibilità dei manager alla gestione delle relazioni tra livelli diversi delle aziende e dei propri partners strategici.
Concludo questa “provocazione”, che meriterà un più ampio sviluppo nel dibattito aperto sul ruolo del manager nell’industria contemporanea, con l’auspicio che, anche nella gestione di un sistema adattativo complesso come ALDAI, dai livelli di organizzazione dei servizi agli associati, fino alla gestione delle relazioni con gli stakeholders, si possa trovare un equilibrio tra  le esigenze locali ed immediate e quelle di più ampio ordine sociale che guidano lo sviluppo delle nostre aziende e dell’intero Paese.

1) Reeves M., Levin S., Ueda D. 2016: The Biology of Corporate Survival. Harvard Business Review.
Archivio storico dei numeri di DIRIGENTI INDUSTRIA in pdf da scaricare, a partire da Gennaio 2013.