Congresso Federmanager
I delegati delle 55 Associazioni territoriali Federmanager riuniti a Roma il 12 novembre per confermare il Presidente Cuzzilla e il programma triennale dedicato alla prossima generazione, che riassumiamo nello speciale Dirigenti Industria
A cura della redazione
Nei sei anni alla guida di Federmanager, Stefano Cuzzilla ha centrato indubbiamente molti obiettivi e oggi la Federazione vanta un’organizzazione solida, rinnovata, in grado di riassegnare valore ai contratti collettivi della dirigenza e di comunicare con autorevolezza all’esterno e all’interno del sistema di rappresentanza.
Il programma proposto dal candidato Presidente non abbandona la strada intrapresa, ma guarda al nuovo e vuole rispondere all’inatteso. In questo momento straordinario, in cui è necessario fronteggiare sfide imprevedibili, che mai avremmo immaginato, l’obiettivo più importante resta quello di rilanciare la Federazione della dirigenza industriale preparandola alle nuove generazioni con un programma ancorato a 2 capisaldi, diretto da 7 valori guida e articolato in 5 missioni.
Primo caposaldo: superare la pandemia
La protezione della nostra salute è stata l’urgenza a cui rispondere. Abbiamo fatto ricorso a regole emergenziali, rivoluzionato il nostro stile di vita, la concezione che avevamo del tempo, del lavoro, dello stare insieme, persino della libertà personale quando abbiamo scelto, convintamente, di metterla al servizio di un bene prevalente che rischiava di essere compromesso. Abbiamo contato troppe vittime e abbiamo toccato da vicino le conseguenze di una crisi che è stata prima sanitaria, poi sociale, quindi economica. Se la prima fase d’emergenza è auspicabilmente alle nostre spalle, è ancora presto per dire se siamo stati in grado di uscirne più forti di prima. Ecco la scommessa più grande: riparare ciò che è stato danneggiato, ricomporre le ferite e trasformare la crisi in opportunità.
Il primo caposaldo di questo programma ha origine in questo quadro e incide sull’intera strategia. Gestire e superare la pandemia significa creare le condizioni per la ripresa e per il rilancio del Paese. Il nostro compito è quello di supportare il cuore produttivo della nostra Italia al meglio delle nostre possibilità, perché si tratta delle nostre persone, delle nostre imprese e delle nostre famiglie.
L’impresa è un attore economico e sociale importantissimo e la dirigenza avverte la rilevanza della sfida e la necessità di cambiare paradigmi, di dover trovare soluzioni adeguate, consapevoli di trovarci all’inizio di una nuova era che potrà anche schiudere enormi opportunità se sapremo attraversare la tempesta e conservarne memoria.
Secondo caposaldo - Puntare al 2030
Il programma triennale è dedicato a creare le condizioni per guardare oltre, ponendo i presupposti per il futuro, per consegnare una Federmanager più forte, in grado di porsi in modo vincente in tutti i consessi, istituzionali, industriali, di rappresentanza, nazionali, europei e internazionali, con tutte le carte in regola per affrontare il nuovo che verrà, perché sarà solida finanziariamente, predittiva negli interventi, rifiorita nei numeri e nella qualità delle persone che unisce, un punto di riferimento per la crescita del Paese.
L’orizzonte 2030, preso a riferimento dalle Nazioni Unite costituisce la prospettiva della Federazione per gli obiettivi comuni, per lavorare alacremente a consolidare e rilanciare la Federazione rispetto ai target che contano: uno sviluppo sostenibile, un Paese più prospero, un welfare che funziona, una manifattura che produce ed è competitiva nel mondo, un’Europa coesa, un’Italia più giusta, inclusiva, dove le tasse si pagano perché tornano in termini di servizi efficienti alle persone, dove le donne hanno pari opportunità degli uomini di affermarsi e restituire valore, dove i più giovani entrano nel mercato del lavoro con aspettative occupazionali migliori e dove il patto intergenerazionale porta l’equilibrio tra nuove competenze ed esperienza, piantando i semi per la prossima fioritura.
Federmanager nel 2030 si presenterà come la casa naturale del manager, il luogo delle opportunità, l’anteposto per innovare e crescere insieme. L'impegno di consiliatura produrrà i suoi effetti oltre il triennio per essere la migliore eredità per le generazioni di manager che proseguiranno in futuro.
Pima Missione - Contare di più e crescere ancora
Rappresentanza
La questione del peso della rappresentanza è innanzitutto aritmetica. A numeri più alti corrisponde una maggiore incisività della propria azione, solo se sapremo crescere ancora, riusciremo a contare di più nel nostro ruolo di rappresentanza istituzionale della dirigenza.
Negli ultimi anni la dirigenza si è indebolita sotto i colpi di ristrutturazioni e riorganizzazioni, delocalizzazioni e demansionamenti, scivoli pensionistici di varia fattura che hanno causato la fuoriuscita delle figure più senior senza bilanciare con l’ingresso di nuovi manager. Nell'ultimo periodo, in cui il quadro è stato aggravato dalla crisi causata dalla pandemia, Federmanager ha mantenuto saldo il numero degli associati. Se abbiamo perso alcuni di loro, altri sono entrati per la prima volta. Siamo in equilibrio e questo è un ottimo risultato.
Abbiamo alcuni strumenti che si sono rivelati vincenti e su cui dobbiamo continuare a investire, e molti sono così rilevanti da meritare un capitolo a sé in questo programma: il contratto, la qualità e uniformità dei servizi, la digitalizzazione, i grandi progetti per il lavoro, la prossimità del nostro intervento.
Per aumentare il numero dei nostri associati, dovremo:
- interpretare in modo evolutivo la bilateralità come strumento di riaffermazione della rappresentanza per entrambe le parti negoziali;
- utilizzare gli enti e le società del sistema come leva di associazionismo, ancorando il servizio di welfare al requisito dell’iscrizione o, quanto meno, a stabilirne una connessione
- proporre soluzioni nuove, perché il fabbisogno dei manager è profondamente mutato;
- aprire ad altre forme di adesione, intercettando affini figure professionali e/o settori produttivi;
- privilegiare adesioni in forma collettiva, stringendo patti con le maggiori aziende italiane.
Politica industriale
Fare politica industriale non significa occuparsi delle crisi aziendali, ma significa prevenirle e investire sul futuro della manifattura, sui territori e nelle filiere. In secondo luogo, occorre innovare nel profondo perché l’industria ha bisogno di visione, programmazione, pianificazione e attuazione.
L'industria ha bisogno di "Politica", ovvero di scelte che indichino quale modello produttivo, quale settore di investimento, quale leva di competitività, quale tipo di produzione, quali filiere e quali mercati. Stiamo entrando in una stagione di grandi opportunità che dobbiamo afferrare riportando al centro il futuro industriale del nostro Paese, investendo bene le risorse che arrivano dall’Europa, abbracciando un definito programma industriale a favore di sostenibilità, innovazione, crescita.
Per mettere al centro del Paese una vera strategia di politica industriale, dovremo:
- aumentare la nostra presenza sui tavoli istituzionali competenti;
- rafforzare la nostra azione di lobbying parlamentare;
- condividere alcune azioni con altre organizzazioni per aumentare la massa critica, a partire da Confindustria;
- scegliere un modello misto per il rilancio delle nostre Commissioni di politiche industriali, coinvolgendo colleghe e colleghi più specializzati e più disponibili, anche in termini di tempo, accanto ad esperti esterni alla Federazione, per costruire posizioni autorevoli e documentate.
Persone giuste nei posti giusti
Per contare di più e per crescere ancora abbiamo bisogno delle nostre persone, della loro energia, motivazione e senso di appartenenza a questo progetto forte che chiamiamo Federmanager. Abbiamo altresì bisogno di competenza, efficacia, specializzazione. Chi possiede queste caratteristiche, tecniche e trasversali, deve essere valorizzato, favorendo l’inserimento di managerialità nel mondo dell’impresa.
Per far emergere il merito dovremo:
- offrire formazione manageriale d’eccellenza;
- moltiplicare le occasioni di networking e di sviluppo di carriera.
Seconda missione - Lavoro, lavoro, lavoro
Risposta alla crisi
Dobbiamo occuparci di lavoro, perché il lavoro è l’anima di ogni organizzazione di rappresentanza. La strada per recuperare i posti persi durante la fase più acuta della pandemia è ancora lunga e dall’esito incerto. Solo nei dodici mesi di emergenza (febbraio 2020-febbraio 2021), circa un milione di lavoratori ha abbandonato il mercato. La maggioranza dei fuoriusciti era donna, under 35 e con un contratto a tempo determinato. Oggi, a ottobre 2021, ne abbiamo recuperati molti, ma il saldo resta negativo di oltre 390mila unità.
Anche per i manager, licenziamenti e risoluzioni sono alla porta, con una penalizzazione maggiore per la componente femminile e con un drammatico stop ai nuovi ingressi di giovani dirigenti. Dalle indagini realizzate negli ultimi 18 mesi, le colleghe e i colleghi hanno individuato tre problemi su tutti: al primo posto, la sospensione lavorativa e le ferie forzate, al secondo la minaccia/proposta di licenziamento, infine, la riduzione della componente variabile della retribuzione.
C'è molto da fare per recuperare il gap che si sta generando: nel breve termine, dobbiamo arginare la fuoriuscita di competenze dal mondo del lavoro e riparare le conseguenze economiche e sociali di questa crisi; nel medio-lungo termine, dobbiamo risolvere il problema della mancata attrazione di nuove figure, trattenendo in Italia i giovani migliori e incoraggiando i talenti stranieri a lavorare nel nostro Paese, con un programma al rialzo che premi il valore e la capacità di fare. Bisogna guardare in alto e investire le risorse Next Generation Eu.
Per rispondere alla crisi del mondo del lavoro e per cogliere tutte le opportunità di crescita legate al PNRR, dovremo:
- sensibilizzare i nostri strumenti di welfare bilaterali e di tutela;
- migliorare ulteriormente i nostri interventi di assistenza agli associati su tutti gli aspetti contrattuali, offrendo consulenze personalizzate e di alto profilo;
- gestire il cambiamento in atto del mondo del lavoro, investendo sulle competenze e reinterpretando il ruolo del manager del futuro;
- puntare su nuovi profili manageriali, che promettono di essere maggiormente richiesti dal mercato;
- favorire lo sviluppo di modelli di business agili;
- aumentare gli strumenti di aiuto al manager e alla sua famiglia;
- stabilire azioni di sistema che coinvolgano il mondo dell’impresa, dell’università e delle amministrazioni pubbliche, anche locali;
- fare ricerca e ascoltare il fabbisogno della base associativa.
Il contratto collettivo
Tutto prende origine e trova fondamento nel contratto che racchiude i diritti, le tutele, le regole condivise tra impresa e management. Un punto di riferimento per tutti, anche per chi, per esempio, è costretto a forme consulenziali di lavoro o a incarichi temporanei. È la base per la contrattazione collettiva aziendale e per la contrattazione di secondo livello.
La strategia per arrivare a un rinnovo soddisfacente si baserà sulle ottime relazioni industriali costruite con la presidenza e la direzione generale di Confindustria, che vanno mantenute e capitalizzate. Il dialogo franco e l’idea condivisa di poterci rafforzare insieme hanno completamente ribaltato le logiche trattanti e oppositive.
Con questi presupposti, da parti che condividono una nuova cultura dell’impresa e del management, dobbiamo fare di più. Occorrerà essere pronti a trattare capitolo su capitolo sin da subito, con il coraggio di intervenire sugli istituti che intendiamo rafforzare e introducendone di nuovi.
Dobbiamo chiederci: chi è il manager che rappresentiamo? In cosa lo dobbiamo tutelare meglio? E in cos’altro lo possiamo invece valorizzare? Quali strumenti, quali leve?
Lo sguardo deve essere spalancato su ciò che ci circonda e accade intorno a noi. Non possiamo focalizzarci sull’obiettivo del rinnovo perdendo di vista il quadro economico e sociale, l’andamento del mercato del lavoro o, piuttosto, le circostanze emergenziali che possono verificarsi. Né possiamo esimerci dal considerare gli effetti che il contratto genererà: significa leggere l’impianto contrattuale alla luce di tempi ed esigenze future, sapendo che da esso dipenderà anche la possibilità di aumentare il numero dei nostri iscritti.
Per un contratto che possa resistere ai cambiamenti dovremo:
- stabilire la centralità della parte variabile della retribuzione, cruciale in un periodo storico altalenante in cui risultati e obiettivi sono volubili, senza perdere di vista l’adeguatezza del trattamento nel suo complesso;
- rafforzare il modello gestionale degli enti bilaterali;
- difendere tutte le tutele legali del manager, a partire dalla responsabilità ex art. 15;
- inserire un capitolo forte sulla formazione manageriale, da interpretare quale diritto soggettivo del manager;
- aumentare l’impegno in favore della parità di genere nel contratto e nella prassi aziendale;
- porre le condizioni per uno sviluppo ulteriore extra-contrattuale di benefici e tutele di welfare;
- far conoscere il contratto, rendendo le aziende e i dirigenti protagonisti diretti di regole e tutele;
- introdurre formule associative più vincolanti al fine di supportare le campagne di iscrizione a Federmanager ;
- utilizzare la leva dell’accreditamento istituzionale per ottenere misure fiscali di favore che agevolino il miglioramento delle risorse che affluiscono nei nostri fondi bilaterali di welfare.
Managerializzare l’impresa
Precondizione per il successo a lungo termine, perché da esso dipendono la capillarità del contratto, la diffusione della nostra presenza nei territori, lo sviluppo associativo.
L’impresa che investe in competenze di alto profilo ottiene performance migliori e resta competitiva sul mercato con un orizzonte di lungo termine.
Negli ultimi mesi, complice un Governo che ha riposizionato al centro il valore del merito e della competenza, si torna ad affermare pubblicamente la necessità di dotarsi di metodo e capacità manageriali, a tutti i livelli.
Il tema della governance è diventato ancor più sensibile alla luce dell’orizzonte 2026 del PNRR: pianificazione, programmazione e attuazione sono attitudini di ogni manager.
Servono manager soprattutto per le Pmi, che rappresentano il 98% della nostra manifattura. Un tema innanzitutto culturale che si realizza nei fatti, si fa forte dell’esperienza, ha bisogno di esempi e strumenti operativi che aiutano a comprenderne l’attualità e a innovarla.
Per managerializzare l’impresa, dovremo:
- investire nell’azione dei territori e sulle filiere, tramite le Associazioni territoriali;
- siglare partnership trasversali per settori produttivi;
- sviluppare la figura del temporary manager a diversi gradi di specializzazione;
- riprodurre esperienze simili a quella avviata nell’ambito dei Digital Innovation Hub, creando ecosistemi di accelerazione basati sull’apporto del know-how manageriale;
- costruire reti di innovazione e di scambio di competenze in linea con le priorità individuate dal PNR, a partire dalla transizione verde e da quella digitale;
- finanziare percorsi di autoimprenditorialità per avviare manager alla gestione d’impresa;
- utilizzare la leva dell’accreditamento istituzionale per promuovere misure fiscali di favore per agevolare l’assunzione di manager da parte degli imprenditori.
Politiche attive del lavoro
La vera protezione del lavoro manageriale non può ridursi a difendere il collega dal licenziamento, bensì esige che gli sia offerta la concreta possibilità di trovare subito un nuovo lavoro.
Per vincere questa scommessa su scala nazionale, c’è bisogno di un intervento pubblico serio e programmatico. Sulla riorganizzazione dell’intero sistema di politiche attive continueremo a incidere nel dibattito istituzionale e a fornire le proposte ai decisori pubblici affinché sia adottato un piano nazionale che affronti questa sfida.
Ciò che possiamo fare in maniera autonoma è già stato ben impostato: sono operativi gli interventi di placement che vengono in soccorso di chi sta affrontando un periodo di interruzione lavorativa mentre è al nastro di partenza il più grande progetto pluriennale di sostegno al management. Parliamo di un finanziamento eccezionale che è strutturato su due pilastri: l’assessment dei fabbisogni aziendali da un lato, la ricerca e selezione dei manager in cerca di occupazione, dall’altro.
Abbiamo creato enti bilaterali dedicati alle politiche attive del lavoro in un momento in cui era impossibile anche solo immaginare la situazione attuale. L’impegno per i prossimi dieci anni è quello di consolidare questo intervento, renderlo flessibile per rispondere alle prossime incognite e, soprattutto, finanziarlo ancora. Un sistema strutturato in cui Federmanager, Confindustria e Confapi sostengono iniziative che avvicinano la domanda e l’offerta di competenze manageriali.
Se questa missione si intitola “Lavoro, lavoro, lavoro”, occuparci di politiche attive è la nostra risposta a chi si rifugia ancora in logiche assistenziali e passive.
Non solo supporto immediato a chi ne ha bisogno, ma anche interventi strutturali che aiutino a prevenire la fuoriuscita dal mercato, “ascoltando” le esigenze del tessuto produttivo e riallineando le competenze dei manager.
Formazione
Di recente, abbiamo chiesto ai manager iscritti cosa ritenessero “più urgente” per risollevarci dalle difficoltà attuali: le risposte spaziavano dalla crescita economica alla sostenibilità, fino alla necessità di istituzioni più forti e dinamiche. Per uscire dalla crisi, il primo strumento individuato dai rispondenti è stato “l’accesso a un’istruzione di qualità”. Sintomo di un’attenzione particolare al nesso tra formazione e crescita.
Molto dobbiamo fare per il riconoscimento del lifelong learning come elemento ineludibile per lo sviluppo individuale e collettivo.
Per quanto riguarda il nostro impegno nella formazione dovremo:
- utilizzare al meglio le risorse dei Fondi interprofessionali per alimentare e moltiplicare le iniziative aziendali di formazione interna, esercitando un controllo di qualità sull’erogazione dei corsi;
- ripensare e specificare la mission delle società e dei fondi di sistema a cui è affidato lo sviluppo della formazione manageriale;
- occuparci della formazione dei profili manageriali del futuro, a partire da figure come il “mobility manager”, l’”energy manager”, il manager per la sostenibilità, puntando anche sulla certificazione terza di chi supera i programmi di valutazione specifici;
- potenziare la fruizione digitale dei contenuti formativi (e-learning);
- favorire il trasferimento di competenze, coinvolgendo i manager senior e/o che hanno raggiunto il pensionamento per la formazione della nuova classe dirigente;
- aumentare i progetti di mentoring;
- includere nel contratto collettivo uno specifico diritto alla formazione del manager;
- capitalizzare le partnership attivate con le primarie accademie del Paese e business school, stringendone di nuove.
Terza missione - il manager al centro
Un approccio bottom-up
Il ruolo e le attese della categoria sono cambiate al passo con i rivolgimenti economici e sociali che hanno interessato il Paese. I manager sono inseriti in contesti molto diversi, spesso lavorano o hanno lavorato in settori che poco hanno a che spartire l’uno con l’altro, sono impegnati all’estero in grandi multinazionali mentre altri rappresentano l’unica figura manageriale all’interno di una piccola impresa a conduzione familiare. Quelli in pensione attendono da noi risposte precise su politiche di assistenza, di welfare, di protezione.
La nostra sfida consiste nel rappresentarli tutti, e per riuscirci, oltre ad aumentare la nostra vicinanza alla realtà di ciascuno, dobbiamo rivoluzionare completamente la nostra attitudine.
Siamo ad esempio abituati a erogare i nostri servizi in sede, chiedendo all’iscritto di raggiungere uno sportello o di prendere un appuntamento per risolvere un problema. Oppure a costringerlo a digitare tanti numeri di telefono quante sono le questioni su cui chiede delucidazioni.
Questo approccio non funziona più in un mondo digitalizzato e disintermediato, dove la tecnologia ha reso superfluo persino il contatto umano. Non funziona inoltre per un errore di prospettiva: non è il manager che deve raggiungere noi, siamo noi che dobbiamo andare da lui.
La relazione personale e fisica è importantissima e sarà ancora più apprezzata se sapremo adottare un metodo di lavoro che mette le esigenze del collega al centro del nostro intervento.
Per mettere il manager al centro della nostra azione, dovremo:
- uniformare le banche dati a nostra disposizione e farle interagire tra loro;
- abbracciare una logica “digital first”, continuando a investire nelle piattaforme digitali e dotandoci di sistemi di customer care per monitorare la nostra azione;
- costruire un unico touch point con l’iscritto, in grado di rispondere a tutte le domande in merito ai servizi che offriamo
- Portare a compimento il progetto di CRM (Customer Relationship Management);
- seguire il manager in tutte le fasi di carriera e anche successivamente, supportandolo con una consulenza sempre più tailor made;
- svolgere indagini periodiche sul grado di soddisfazione verso i nostri servizi;
- dotarci delle tecnologie adeguate a efficientare e razionalizzare i costi di gestione delle richieste;
- aumentare la fidelizzazione dell’associato attraverso una profonda riforma di semplificazione delle procedure, a partire dal processo di iscrizione telematica;
- continuare lo sforzo di uniformare la comunicazione in ogni luogo e a qualsiasi livello.
Servizi uniformi su tutto il territorio
Una strategia che voglia mettere il manager al centro di ogni politica merita una finalizzazione. Il punto di atterraggio è rappresentato dai servizi che offriamo. In questi anni abbiamo costruito una rappresentanza moderna, capace di evolvere dal ruolo di mero sindacato: non solo un’organizzazione che difende e risolve problemi, ma anche un sistema che promuove opportunità. Ciò che ci distingue è l’eccellenza delle prestazioni che eroghiamo, sia attraverso la nostra Associazione, sia attraverso gli enti propri e bilaterali.
L’esempio più calzante viene dall’esperienza in campo previdenziale con un servizio di consulenza di altissimo profilo, qualificato sulla specificità della posizione manageriale, personalizzato e alimentato da professionalità dotate di grande esperienza e specializzazione. La consulenza previdenziale e fiscale che offrono i nostri uffici rappresenta un unicum nel panorama italiano. E questo servizio, che tra l’altro ha portato all’iscrizione di top manager dal curriculum di grande caratura, è stato realizzato con un’azione di coordinamento e di formazione interna che sta permettendo alle sedi territoriali di Federmanager di agire in modo coordinato e di gestire insieme alla sede nazionale casi sempre più complessi.
Il progetto previdenza rappresenta un valido modello per ciò che dovremo realizzare in tutti i settori “core” della nostra attività: dalla gestione delle risoluzioni e degli aspetti contrattuali, all’accesso ai servizi di previdenza complementare, all’erogazione delle pratiche di assistenza sanitaria, alle offerte di servizi assicurativi, formativi e di politica attiva del lavoro.
Ovunque vada, ovunque si trovi, il manager deve incontrare persone preparate e soluzioni rapide ed efficaci. Tutte uniformemente caratterizzate da alti livelli di prestazione.
Per mettere il manager al centro, dovremo:
- acquisire nuove professionalità che possano rafforzare la nostra struttura operativa, considerando che il volontariato non può essere la risposta maggioritaria;
- investire nella formazione del personale già in forza, sia a livello centrale sia territoriale;
- stringere il raccordo tra le attività degli enti e delle società del sistema con ciò che è deliberato a livello centrale, abbracciando un modello che vede nella Federazione centrale la cabina di regia sia per le azioni sul territorio sia per le iniziative condotte a livello confederale e/o europeo;
- impegnarci in una comunicazione coordinata e uniforme;
- rinnovare il nostro parco di risorse umane, attirando nuove leve capaci di formarsi rapidamente in materia altamente specialistiche.
Vantaggi tangibili
Consulenza, opportunità di carriera, networking, welfare per tutta la famiglia. È possibile indicare pochi, buoni motivi per iscriversi a Federmanager? E se questo è possibile, quanto sono palesi questi buoni motivi? Le leggi del marketing ci costringono a misurarci con questi interrogativi, ma noi sappiamo ciò che ci rende forti e decisivi.
Chi si unisce a Federmanager deve avere dal primo istante l’impressione di unirsi a una collettività che conta.
Quello che facciamo per la difesa delle pensioni, per un fisco più equo, per lottare contro i furbetti dell’evasione, per alleggerire il cuneo sul lavoro, per introdurre incentivi all’assunzione di manager, per ristabilire una parità di trattamento tra uomini e donne, noi lo dobbiamo fare mettendo il manager al centro.
Puntando al 2030 possiamo ancora fare molto per aumentare la nostra rappresentatività. Parte di questo lavoro consiste nell’accreditamento istituzionale e nella capacità di influenzare le scelte pubbliche.
Quarta missione - Un’organizzazione agile e forte
Un’altra geografia
Uno degli effetti dei provvedimenti emanati per contrastare la diffusione del virus Covid-19 è stata l’adozione dello smart working e il conseguente invito a ripensare i modelli organizzativi e di business. Tale esperienza, nata sull’onda dell’emergenza, è destinata a lasciare il segno.
Il tema del lavoro flessibile e delle nuove forme di lavoro imposte dalla tecnologia è diventato di strettissima attualità ed esercita un’influenza diretta sul primo degli assi strategici di questo programma, vale a dire il superamento della pandemia.
L’obiettivo a lungo termine è quello di provvedere a una speculare evoluzione della nostra organizzazione, che sappia ridisegnare i rapporti tra centro e territori sulla base di un modello che si ispira a questo nuovo paradigma “agile”, finalizzato a rendere l’organizzazione sostenibile dal punto di vista delle risorse, attenta alle esigenze del territorio e vicina alla categoria.
Con l’emergenza pandemica auspicabilmente alle spalle, avremo l’opportunità di costruire una nuova normalità che sia solida come quella a cui eravamo abituati, ma radicalmente diversa nel metodo, nei tempi, nello spazio d’azione.
Poter contare su una Federazione finanziariamente in salute ha permesso di far fronte ai bilanci territoriali con la forza del gruppo e nessuno è lasciato indietro. Tuttavia, se condividiamo l’ambizione a fare meglio e di più, dobbiamo anche riconoscere che il modello organizzativo e di governance che conoscevamo non risponde alle esigenze di oggi e pare inadeguato a far fronte a quelle di domani.
L’equilibrio dei rapporti tra centro e territori va ritrovato secondo schemi innovativi e moderni. Il centro non deve sopprimere l’autonomia dei territori, bensì cogliere le best practice locali e portarle a sistema. Di contro, l’ottimizzazione che arriva dal centro è fondamentale per disegnare nuove geografie territoriali che alimentino la carica innovativa, senza nemesi storica.
Per ottenere un’organizzazione più agile, più resiliente e più coesa, dovremo:
- lavorare per progettualità trasversali, aggregando le forze in riferimento a iniziative condivise per territorio, per aree di intervento e per competenza;
- selezionare alcuni grandi interventi e strutturarli sotto la cabina di regia nazionale;
- abilitare tutte le sedi all’utilizzo delle nuove tecnologie;
- stringere patti sul territorio per rafforzare le sinergie locali con gli altri centri di rappresentanza;
- promuovere contatti frequenti tra centro e territorio in una logica di sussidiarietà reciproca e orizzontale;
- interpretare il ruolo della sede nazionale come unica cabina di regia con funzione di indirizzo e coordinamento delle azioni sui territori;
- alleggerire l’organizzazione, privilegiando la concentrazione delle iniziative e dei servizi laddove sono più richiesti, ottimizzando le risorse e modulando l’offerta.
Statuti
Aggiornare lo Statuto federale e gli Statuti territoriali risponde alla stessa insistente domanda di ammodernamento che c’è nel Paese e che riguarda anche noi. Rispetto a ieri, abbiamo compiuto passi avanti che tuttavia non hanno centrato l’obiettivo di restituirci un sistema di governance ispirato a quei principi di agilità e di prossimità all’iscritto. Cambiare lo Statuto significa volersi dotare di un sistema più agile, più snello e più semplice.
È davvero impensabile credere che la struttura che ci siamo dati oltre 75 anni fa possa essere sufficiente ad affrontare le prossime sfide. Lo Statuto è la nostra Carta costituzionale e dovrebbe prevedere la possibilità di evolvere e migliorarsi. Cambiare non è mai facile e soprattutto non si tocca una carta fondamentale senza un largo consenso.
Dunque, nei primi mesi del nuovo mandato l’attenzione andrà rivolta a verificare la percorribilità di alcune soluzioni che riguardano principalmente il contratto e lo sviluppo associativo quali fattori destinati a influenzare le regole comuni. Se diventerà possibile, ad esempio, adottare sistemi automatici di iscrizione, avremo effetti certi sulla rappresentanza e, conseguentemente, sul tema dei servizi essenziali all’associato.
Per costruire le premesse favorevoli a chi guiderà questa Federazione dopo di noi, dovremo:
- riavviare rapidamente i lavori di revisione delle regole condivise, accettando da subito e con onestà intellettuale che ogni scelta implica una rinuncia;
- fare scelte coraggiose sulla governance interna che garantiscano la sopravvivenza futura dell’organizzazione e il passaggio di testimone, riconoscendo il Consiglio Nazionale quale luogo privilegiato di dibattito;
- individuare i principi comuni per il sistema, validi a livello centrale, territoriale e confederato;
- alleggerire le procedure e le regole di funzionamento;
- utilizzare i criteri di delega e rappresentatività per individuare incarichi e missioni ai diversi livelli;
- introdurre criteri di selezione dei nostri rappresentanti basati su esperienza, merito e conoscenza del sistema;
- rafforzare la nostra brand identity introducendo un unico codice comunicativo, uguale per tutti.
Un’unica voce per donne, giovani e senior
Siamo abituati a orientare le nostre attività ripartendole tra gruppi omogenei. Questo approccio non funziona bene. Se riflettiamo su ciò che ci ha tenuto in vita durante i mesi più duri, se ci fermiamo a considerare da dove si sono originate le soluzioni e le controffensive, scopriremo che la stragrande maggioranza di esse proviene dall'unione spontanea delle nostre migliori energie. Non abbiamo bisogno di categorie cristallizzate. Non possiamo separare ciò che non ha ragione di essere diviso.
Questo è il tempo in cui dobbiamo lavorare tutti insieme a un’unica grande azione di rappresentanza. Pertanto i gruppi Giovani, Minerva e Pensionati, pur continuando a muoversi nelle proprie specificità e secondo i propri obiettivi, dovranno lavorare con coordinamenti trasversali e collaborazioni miste che possano davvero esprimere un’unica voce, un’unica posizione.
L’esempio più calzante di questa nuova strategia riguarda il tema della diversity e, in particolare, la diseguaglianza di trattamento di genere: non possiamo pensare che l’inclusione delle donne nel mondo del lavoro a livelli apicali sia una battaglia esclusivamente femminile. Per sanare la sottorappresentazione delle donne nella nostra popolazione, per coinvolgere un numero maggiore di manager invogliandole all’iscrizione, per ristabilire una parità di opportunità, salari, welfare, occorre agire tutti insieme.
Stesso principio vale per i giovani dirigenti, che pur se devono meritare azioni calate sulle loro esigenze, hanno bisogno di confrontarsi con chi in questa Federazione c’è da più tempo; sono pur sempre uomini e donne che dobbiamo saper coinvolgere perché essi rappresentano il nostro futuro: il loro successo coincide con il nostro.
Il tema delle pensioni, poi, è scorretto riferirlo a chi ha già raggiunto il traguardo del pensionamento: i nostri senior stanno facendo un lavoro straordinario di vigilanza e difesa dei diritti acquisiti, ma la previdenza riguarda tutti ed è bene che coloro che sono in servizio diano ugualmente il loro contributo.
Dobbiamo, insomma, evitare il rischio che la suddivisione in sottoinsiemi escluda altri iscritti dalla partecipazione alle attività associative.
Quinta missione - investire sul futuro
Il nuovo welfare
Se sarà mai necessario superare una prova più dura della pandemia, la resilienza del nostro sistema di welfare darebbe ancora dimostrazione di sé. Dobbiamo riconoscere il grande apporto che questo sistema ha offerto ai manager, alle famiglie, al Paese, in un momento di assoluta incertezza.
Ciò che interessa in questa sede è verificare, con una logica di miglioramento continuo, su quali capitoli continuare a investire, quali ridimensionare e, soprattutto, quali introdurre. Questo metodo va applicato tanto alle società Federmanager, tanto a quelle a cui partecipiamo in quota parte.
In premessa, va considerato quanto già sostenuto nel punto programmatico riguardante il contratto e il valore degli enti bilaterali: nel contratto collettivo è possibile rafforzare gli strumenti esistenti e anticipare gli interventi utili alle sfide future, disegnando la vision e la mission di ciascun organismo da qui ai prossimi dieci anni, trovando la convergenza necessaria all’interno del nostro sistema sulle scelte che richiedono da parte di tutti una verifica sullo stato dei nostri fondi e società; valutando l’apporto che essi garantiscono alla sostenibilità della Federazione, chiarendo gli obiettivi futuri e comprese le ragioni di quelli mancati.
Tradotto in termini concreti, significa individuare precise linee di investimento, ricordando che i nostri enti bilaterali si basano sul contributo di manager e imprese e il loro scopo è restituire in prestazioni il sacrificio finanziario che manager e imprese sostengono.
Avanzamento tecnologico
Digitalizzare tutto il sistema. Semplificare, rendere accessibile, uniformare, collegare, comunicare.
Per una Federazione forte e capace di incidere nei prossimi anni, dovremo investire massicciamente in tecnologie abilitanti e in competenze digitali.
I dati sulla diffusione delle competenze digitali di base, che ogni anno sono forniti dalla Commissione europea tramite l’indice Desi, raccontano un’Italia ancora molto indietro rispetto agli altri paesi europei (al 25esimo posto in Ue nel 2019). Noi non facciamo eccezione. Se vogliamo davvero giocare un ruolo da protagonista, dobbiamo accelerare.
Unire la dirigenza
È il tempo in cui dobbiamo lavorare tutti insieme a un’unica, grande, azione di rappresentanza. Su fisco, previdenza, transizione ecologica e digitale, sull’attuazione del PNRR, occorre che la dirigenza esprima una visione condivisa innovando la funzione aggregativa di CIDA, creando le condizioni, anche economiche, che la possano rendere un’organizzazione influente.
Per unire la dirigenza sotto un vero progetto Paese, dovremo:
• individuare i temi da portare a un livello confederale;
• coinvolgere altre rappresentanze nelle battaglie trasversali, inserendoci con un’unica voce nel dibattito pubblico;
• focalizzare meglio il rapporto con la dirigenza pubblica;
• indire un congresso sul futuro di CIDA.
Preparare la successione
Qualsiasi azienda che sia orientata al futuro adotta piani di successione interna. Il management costituisce per natura la componente più fluttuante di un’organizzazione ma anche la più strategica. Quindi, le imprese virtuose si esercitano con anticipo nell’individuare le risorse che possono ambire al ruolo di leadership, consentendo ai collaboratori più brillanti di crescere e di prepararsi, un giorno, a ricoprire le posizioni che qualcun altro lascerà vacanti.
Ciò assicura la continuità aziendale, lo sviluppo competitivo del business, il rinnovamento delle competenze interne, la job rotation necessaria ad acquisire esperienza sul campo, la fidelizzazione delle risorse di maggior talento.
Ebbene, c’è da chiedersi quanto siamo lontani da questo modello virtuoso e merita riflettere sulle aree critiche: non sono presenti le seconde linee, scontiamo un deficit di competenze che si è rivelato costoso nei passaggi di direzione, patiamo un lento impoverimento delle presenze di professionisti con certe responsabilità, i ruoli di presidenza si trovano troppo isolati sia nella loro funzione di rappresentanza politica sia nella gestione delle relazioni industriali ad alti livelli.
Il programma presentato da Stefano Cuzzilla per il suo ultimo mandato triennale è dedicato a chi verrà dopo di lui preparando la successione in modo che, chiunque prenderà la presidenza, potrà contare su una Federmanager forte, preparata e rinnovata.
Insieme, dobbiamo individuare i migliori tra noi e affidare loro il nostro futuro. Dobbiamo quindi fissare i presupposti per preparare davvero la nuova classe dirigente, sapendo che i compiti futuri potranno essere ancora più complessi di quelli che abbiamo conosciuto finora.
Per adottare un piano di successione dovremo:
- analizzare le specifiche posizioni di governance che sono in scadenza o che prevedono un cambio di vertice;
- conoscere le competenze specifiche necessarie a ciascun ruolo di leadership;
- individuare le persone più capaci e in grado di assumersi responsabilità maggiori, facendole emergere;
- prevedere sezioni di training e di formazione per le risorse destinate ai ruoli di leadership;
- avviare processi di job rotation per verificare tutte le potenzialità della risorsa individuata e, eventualmente, destinarla a compiti più in linea;
- trasferire le conoscenze e i rapporti istituzionali dal management uscente a quello che lo sostituirà;
- assicurare alla nuova governance il tempo necessario a prepararsi a prendere il testimone, con un cronoprogramma di azioni inclusive e a responsabilità crescente;
- ragionare anche in termini di emergenza, abbinando ai piani di successione soluzioni di crisis management;
- lavorare per aumentare la quota di persone di nostra espressione nei posti apicali degli enti e delle società del sistema.
I capisaldi, i valori e le missioni del programma proposto dal Presidente Stefano Cuzzilla esprimono chiaramente l'impegno a favore della PROSSIMA GENERAZIONE
01 gennaio 2022