Questo virus non fermi l’industria
Tecnologie, smart working e capacità di crisis management per mantenere l’Italia competitiva ai tempi del coronavirus.
Stefano Cuzzilla
Presidente Federmanager
Non possiamo calcolare con esattezza gli effetti economici dell’epidemia Sars-CoV-2, ma le ripercussioni risultano evidenti su più fronti: dalle numerose aziende che operano con la Cina, al fermo del settore del turismo, dalla crisi dell’agroalimentare fino al blocco del Salone dell’auto di Ginevra.
Uno scenario di stallo dell’export che ci preoccupa molto. Come sappiamo, sono le esportazioni a tenere in equilibrio la nostra bilancia commerciale. L’Italia genera un volume di esportazioni pari a 461 miliardi di euro. La Lombardia da sola esporta per 127 miliardi, pari al 27,6% del totale Italia.
I mercati di riferimento stanno cambiando, guardiamo a paesi sempre più lontani che hanno logiche di business molto diverse da quelle a cui siamo abituati. Non possiamo più dipendere dalla Germania che ha chiuso il 2019 con una crescita zero. Non possiamo dipendere dalla Cina, dove è isolata la regione di Wuhan, che è chiamata “la Chicago cinese” per la concentrazione di imprese siderurgiche e metalmeccaniche, e sono compromesse la maggioranza delle produzioni di semi-lavorati che compongono le catene globali del valore da cui anche noi dipendiamo.
Tutto questo si inserisce in un contesto già complicato, dove le dinamiche del commercio internazionale sono state stressate dalla cosiddetta guerra dei dazi, dall’embargo della Russia sui prodotti europei e, dal primo febbraio, dall’entrata in vigore della Brexit.
Dobbiamo spostarci quindi verso i paesi emergenti e considerare che il 98% della nostra manifattura è fatta di Pmi. Queste imprese hanno bisogno di manager specializzati per ragionare sui mercati in ascesa, veloci nei cambiamenti ed estremamente flessibili. È stato calcolato che solo il settore della manifattura di qualità ha un deficit di esportazioni potenziali pari a 45 miliardi di euro l’anno, che si traducono in circa 600 mila posti di lavoro.
È un potenziale che non sfruttiamo abbastanza. È il made in Italy di cui siamo orgogliosi e che in queste ore è messo a dura prova dalla concentrazione del contagio nelle aree del nord del Paese, che rappresentano il nostro cuore produttivo.
Per questo, è essenziale che le imprese non si fermino. Il fattore tempo è una variabile critica, ma le tecnologie, lo smart working, la capacità di crisis management sono strumenti validi a cui dobbiamo fare appello per restare competitivi. È importante che la politica risponda adeguatamente agli attacchi sleali che vogliono mettere in quarantena il Paese e adotti misure eccezionali per sostenere l’attività d’impresa.
In Lombardia si trova ben il 44% dei dirigenti italiani. I nostri manager sono chiamati a uno sforzo di responsabilità e a prendere decisioni strategiche.
Oltre l'emergenza, serve un piano di politica industriale per la situazione di crisi. Noi dobbiamo preoccuparci come ricostruire questo Paese. I manager stanno dimostrando una grande capacità di gestione della crisi e sono consapevoli che dovranno cambiare modelli di business, modelli organizzativi e di produzione.
La salute di tutti noi è in cima all’agenda, seguiamo con attenzione tutte le raccomandazioni delle istituzioni per contenere la diffusione del coronavirus, ma l’industria italiana non deve fermarsi.
01 aprile 2020