CAMBIAMENTI CLIMATICI:
dati e fatti concreti alla base delle azioni.
Un approccio equilibrato
Il Cambiamento Climatico è uno dei temi più dibattuti a livello scientifico e politico. Spesso trattato in termini di eccessiva banalizzazione e semplificazione. Occorre invece affrontare l’argomento con metodo scientifico ragionato, a fronte di sistemi altamente complessi dalle molte variabili, ad evoluzione lenta, tuttora con margini di incertezza non pienamente definibili anche dai modelli più evoluti.
di Massimo Kolletzek
Il Cambiamento Climatico è uno dei temi più dibattuti a livello scientifico e politico. Spesso trattato in termini di eccessiva banalizzazione e semplificazione. Ne consegue una percezione superficiale e disinformata che genera visioni estremizzate, catastrofiste o di negazione dei fenomeni. Quasi un confronto tra “opposte tifoserie”.
In un sistema «sano» per definire scelte strategiche efficaci si dovrebbe ricorrere ad un approccio neutro, basato su criteri tecnici e scientifici oggettivi, liberi da ogni colore ideologico-politico e da interessi di parte.
Le osservazioni recenti
Il trend degli ultimi 50 anni evidenzia una crescita costante del riscaldamento globale, tuttavia una analisi accurata dei dati storici mostra (Fig.1) un incremento di + 0,5 °C dal primo decennio del 1900 alla metà degli anni ’40, seguito da una discesa di -0,4 °C fino alla metà degli anni ’70, dopodiché, fino ad oggi, di nuovo una crescita di +0,7 °C, con un andamento che si è mantenuto costante e non accelerato. Appare dunque legittimo chiederci se questo trend proseguirà con lo stesso ritmo negli anni a venire, se ciò avverrà in modo accelerato o se al contrario vi sarà un rallentamento o una inversione di tendenza. Su questi punti, benché la narrazione dominante tenda ad accreditare un consenso al rialzo, in realtà gli scienziati del clima non sono concordi e in molti casi non hanno certezze.
Senza addentrarci in trattazioni più complesse, è doveroso ricordare, semplificando, che il clima terrestre è influenzato da numerosi fattori sia interni, solo parzialmente controllabili dall’uomo (pianeta come sistema chiuso), sia esterni di origine cosmica (pianeta come sistema aperto), noti anche come “space weather”, e sui quali l’umanità non può evidentemente esercitare alcun tipo di controllo. Tra i primi ricordiamo il ciclo dell’acqua, il ciclo del carbonio, l’uso delle risorse, la gestione rifiuti, la deforestazione, mentre tra i fattori esterni rientrano ad es. l’attività solare, in questo periodo ai suoi massimi, i moti del sistema solare e di altri corpi celesti, le variazioni nella densità di polveri e gas interstellari che il sistema solare incontra nel suo spostamento nella galassia (a velocità stimata in circa 792.000 km/h, pari a 220 km/s).
Senza addentrarci in trattazioni più complesse, è doveroso ricordare, semplificando, che il clima terrestre è influenzato da numerosi fattori sia interni, solo parzialmente controllabili dall’uomo (pianeta come sistema chiuso), sia esterni di origine cosmica (pianeta come sistema aperto), noti anche come “space weather”, e sui quali l’umanità non può evidentemente esercitare alcun tipo di controllo. Tra i primi ricordiamo il ciclo dell’acqua, il ciclo del carbonio, l’uso delle risorse, la gestione rifiuti, la deforestazione, mentre tra i fattori esterni rientrano ad es. l’attività solare, in questo periodo ai suoi massimi, i moti del sistema solare e di altri corpi celesti, le variazioni nella densità di polveri e gas interstellari che il sistema solare incontra nel suo spostamento nella galassia (a velocità stimata in circa 792.000 km/h, pari a 220 km/s).
La componente antropica e quella naturale
Il contributo prevalente al sistema climatico terrestre è dato dal vapore acqueo, che genera oltre 2/3 dell’effetto serra naturale. In assenza di vapore acqueo in atmosfera la temperatura media del globo sarebbe di circa 18°C sotto zero, invece degli attuali +15°C.
Gli altri gas serra, insieme, contribuiscono per meno di un terzo e tra questi il più noto al grande pubblico è il biossido di carbonio (CO2), presente oggi nella concentrazione dello 0,0042%.
Secondo il 5° Rapporto IPCC, la concentrazione di CO2 è per circa il 96% di origine naturale, mentre la componente antropica si attesta intorno al 4%. Vi sono poi altri gas in atmosfera in concentrazioni minime ma dal potenziale di riscaldamento globale (GWP) molto maggiore, quali il Metano (CH4) con GWP 23 volte superiore alla CO2 e gli Ossidi di Azoto (GWP ben 310 volte maggiore) di origine prevalentemente naturale. Pur non addentrandoci in questa sede in trattazioni più dettagliate, è opportuno ricordare l’effetto del tempo di permanenza di questi gas nell’atmosfera, che, se prolungato come nel caso della CO2, fa sì che anche limitate quantità aggiunte al bilancio naturale possano generare per accumulo conseguenze incrementali, che tuttavia, secondo recenti studi, sarebbero in gran parte bilanciate dal raggiunto limite di assorbimento della radiazione IR.
Essendo la CO2 il “principale imputato” dal mainstream odierno, di seguito si analizza il contributo alle emissioni da parte delle diverse regioni economiche mondiali e dai vari Paesi. Secondo i dati COP 27 (CO2 Emissions of All Countries, 2022 Report) la Cina è il paese responsabile delle maggiori emissioni con quasi 12.5 mld di ton/anno, seguito da USA, India e Russia. All’Italia viene attribuita una quota pari a 319 mln. di ton/anno. Tutto questo, se nei numeri può a prima vista apparire enorme, va comunque rapportato alle emissioni di origine naturale valutate, sempre da fonte IPCC, dell’ordine di 800 miliardi di ton/anno.
Di tutte le emissioni antropiche (4% sul totale), i report IPCC e IEA attribuiscono all’Europa un contributo pari ad un modesto 7%, quindi il 7% del 4%, corrispondente allo 0,28% rispetto al totale delle emissioni naturali ed antropiche.
Riscaldamento edifici 45% (0,28 x 0,45) = 0,126 %
Mobilità e Trasporti 25% (0,28 x 0,25) = 0,070 %
Industria ed Energia 23% (0,28 x 0,23) = 0,064 %
Agricoltura + Allevamento 7% (0,28 x 0,07) = 0,020 %.
Variazione delle emissioni dal 2000 al 2023 per regione economica mondiale
(Fonte: I.EA. – CO2 Emissions in 2023 updated Feb 2024)
La regione che nel periodo ha manifestato il maggiore incremento di emissioni (tuttora in crescita) è la Cina, seguita, in misura inferiore dall’India. Mentre EU, USA e Giappone hanno progressivamente ridotto le proprie emissioni.
Nella Fig. 3 sopra riportata viene mostrata la variazione nell’anno 2023 rispetto al 2022 delle emissioni di CO2 suddivisa per tipo di combustibile fossile suddivisa e regione economica.
Si evidenzia come, secondo questa analisi IEA:
1) le economie “avanzate” (USA, EU+UK, Giappone) in un solo anno (2023 vs. 2022) a fronte di incremento del PIL dell’1,7% hanno ridotto le loro emissioni di CO2 del 4,5% (-520 Mton) ritornando al livello di cinquanta anni fa;
2) la Cina nel solo 2023 ha manifestato il maggiore incremento tra tutte le economie mondiali, con un aumento della CO2 di +565 Mton, prova di una crescita economica ad elevata intensità di emissioni;
3) anche come emissioni pro-capite la Cina ora supera del 15% l’insieme delle economie “avanzate” (Nord-America, EU+UK, Giappone).
Si evidenzia come, secondo questa analisi IEA:
1) le economie “avanzate” (USA, EU+UK, Giappone) in un solo anno (2023 vs. 2022) a fronte di incremento del PIL dell’1,7% hanno ridotto le loro emissioni di CO2 del 4,5% (-520 Mton) ritornando al livello di cinquanta anni fa;
2) la Cina nel solo 2023 ha manifestato il maggiore incremento tra tutte le economie mondiali, con un aumento della CO2 di +565 Mton, prova di una crescita economica ad elevata intensità di emissioni;
3) anche come emissioni pro-capite la Cina ora supera del 15% l’insieme delle economie “avanzate” (Nord-America, EU+UK, Giappone).
Non meno rilevante è sottolineare che l’Unione Europea, come riportato nel Report sui finanziamenti per il clima della COP 28, risulta essere il principale finanziatore a livello globale di interventi per il contenimento del cambiamento climatico con 28,5 mld di Euro pubblici e 11,9 mld da privati.
Conclusioni
I dati dei maggiori organismi mondiali impegnati nello studio e lotta ai cambiamenti climatici, IPCC, IEA, WMO, AEA, rivelano il peso reale da attribuire alla componente antropica nelle diverse regioni economiche rispetto alla globalità dei fenomeni e le conseguenti alternative di intervento.
Il Continente Europeo, che già opera con scelte di investimento e politiche di decarbonizzazione intensiva, tali da mettere gravemente a rischio il proprio sistema economico e sociale, dovrebbe piuttosto impegnarsi maggiormente nell’adattamento, nel sostegno alla ricerca avanzata e nello sviluppo di tecnologie green proprietarie nell’ambito territoriale dei suoi Stati membri, rimodulando le tempistiche della c.d. “transizione green”.
Ciò non significa ovviamente rinunciare: l’obiettivo deve restare quello di “non metterci del nostro”, senza favorire economie molto più impattanti a scapito della nostra, che da decenni si impegna con determinazione.
Occorre quindi un approccio orientato a bilanciare il processo di adattamento con una transizione in sintonia con l’evoluzione tecnologica e l’ingegnerizzazione dei sistemi senza penalizzare lo sviluppo sociale ed economico, la cui limitazione ridurrebbe la disponibilità delle risorse necessarie a fronteggiare i problemi che si vogliono risolvere, per soddisfare la domanda e garantire uno sviluppo equo, diffuso e sostenibile.
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02 settembre 2024