Passaggio di testimone

Marco Larentis, io mi chiamo fuori

Marco Larentis  

Presidente Federmanager Trento
Tre anni fa mi venne affidato l’incarico di presidente (apprendista) per “traghettare” l’Associazione verso nuove mete. 
Mi ero presentato con le motivazioni:
  • da sempre rivolto allo spirito Associazionistico 
  • da sempre interessato alla costruzione e costituzione di forme di aggregazione franche e leali tendenti allo sviluppo degli obiettivi desiderati e condivisi 
  • da sempre sostenitore del “gioco di squadra” nella valorizzazione delle competenze 
  • da sempre orgoglioso di essere “Apprendista”. 
Motivato a incoraggiare il cambiamento necessario creando un ambiente più simile alla fantasia, alla creatività e improvvisazione di una band di jazz. 
Fare (impresa) associazione: comunicare, articolare e lavorare per obiettivi e non per compiti, guardando oltre le mere funzioni, sviluppare il team, eliminare ciò che impedisce il successo, essere d’esempio
…non bisogna insegnare a essere… 
basta che ci si guardi… 
la formazione si fa con l’esempio! Leader: energia, entusiasmo, visione, ispira e motiva (fa aprire porte che si aprono su altre porte) Perché tanti uomini incompetenti diventano leader? 
Nuovo cuoco (metafora dirigente?): “essere poeta per allontanare noia e stanchezza, geometra nel ben disporre le forme dei cibi, piatti e vassoi, matematico nel contare pentole e padelle, pittore nel colorare arrosti salse e intingoli, medico nello scegliere l’ordine dei cibi e la loro digeribilità e chirurgo per l’abilità a tagliarli, filosofo per conoscere la natura dei cibi, le stagioni e gli elementi più o meno ricchi del fuoco”. (Sperone Speroni, Padova 1500-1588) Ma… sembra che ciascuno invece si preoccupi più della propria immagine, del proprio profilo. Mi sono trovato (forse ritrovato) in eventi in cui la libidine del potere, il rappresentare pseudo-manager, l’essere asini con la pelle di leone, l’uso smodato di video che mi fanno vedere il mondo ma non facendone parte, mi hanno fatto nascere serie riflessioni
Coniugando una passione di-vina, e non solo, ho sempre ritenuto che metaforicamente: “Parlare di cibo con un altro essere umano significa entrare in una relazione profonda con lo stesso: ogni essere vivente si alimenta per sopravvivere ma l’unico che dona a questo atto un valore simbolico è l’uomo. 
Non c’è uomo che non possa mangiare e bere ma sono in pochi in grado di capire che cosa abbia sapore” (Confucio) 
Corriamo il rischio di diventare dei robot. 
La socializzazione è il carburante della felicità quotidiana (anche nel lavoro). 
Antico proverbio cinese: non importa di che colore sia il gatto purché prenda il topo. 
Quanta saggezza! Ma deve essere un gatto che vuole prenderlo, il topo, non qualche clericus vagans alla ricerca della piazza migliore per esibirsi
Spesso si sventolano idee usate come bandierine e anche i contenuti, sovente, fanno la fine del segnaposto per dire “io sono qui”. 
Ecco, io mi chiamo fuori.